Le opere di Gordiano Lupi si possono
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SE NON CI FOSSI TU
[Racconto inedito]
Un
raggio di sole risveglia il mattino.
Una luce che entra improvvisa su questi giorni sempre
uguali. Mi è rimasto poco della vita e guardare
indietro e pensare al passato mi fa solo male. Anche
oggi sono stato dal medico. Domande su domande. Soprattutto
domande che non comprendo. Fa parte dei doveri di
questa nuova brav'uomo, si comporta come fosse mio
amico.
Ma io non ho amici. Non ne ho mai avuti.
Passa un'ora intera a dire di rilassarmi e di ricordare.
Poi tira fuori da un cassetto degli strani disegni.
Macchie di colore dalle forme orribili. Io dico che
mi ricordano dei mostri senza testa. Lui non pare
contento. Poi mi fa tante domande e io non so rispondere.
Riesco solo a dire che amavo mia madre come l'unica
certezza della mia vita, come è vero che odiavo
mio padre, con tutto il cuore. Mi fa ripensare a tutte
le volte che l'ho vista soffrire, perché lui
la picchiava, segnandole il corpo con lividi scuri.
Era terribile dopo che aveva bevuto.
Adesso so che non accadrà più.
"Dottore, - dico ad un tratto - rammenti le carezze
di tuo padre?" Il dottore non risponde. Dice
che le domande le fa lui.
E continua. A quel punto non rispondo più neppure
io. Perché quando si parla lo si fa in due
e io non accetto nessun fottutissimo interrogatorio.
Mi irrigidisco in un mutismo totale, fino a che non
mi riportano nella mia stanza.
Quando rientro e il maledetto secondino chiude la
porta con il catenaccio, mi rendo conto di nuovo che
la mia stanza è solo una prigione. Non uscirò
mai di qui, sinchè vivo.
E non sono pentito di niente. Come non sono pazzo,
anche se mi trattano come se lo fossi. Sono stato
solamente giusto. E nessuno comprende. Nessuno può
comprendere.
Distendo il mio corpo stanco sulla brandina, che da
tempo è il mio letto. In una stanzetta di pochi
metri quadri hanno racchiuso la mia vita e tutto quello
che serve per consumarla.
Un tavolaccio di legno, due sedie e un bagno molto
essenziale. Uno spaccato di finestra fa intuire i
raggi del sole.
Ogni tanto mi portano in cortile, a prendere un po'
d'aria. Lo faccio di mala voglia, perché vedo
sguardi di odio negli occhi degli altri. Tutti mi
evitano. Una volta hanno persino tentato di uccidermi.
Per fortuna sono intervenuti i secondini e mi hanno
liberato dalla stretta di uno che mi stava soffocando.
E' accaduto nel bagno del cortile. Mi ha preso alla
sprovvista mentre mi stavo tirando su i pantaloni.
Mi ha bloccato alle spalle e ha stretto forte la gola.
Sono arrivati in tempo.
Lo hanno portato via che gridava: "Lasciatemi.
Lo voglio ammazzare quel frocio assassino".
Chi mi ha salvato non ha detto una parola.
Lo ha solo portato via.
Un altro secondino mi ha detto: "Tanto prima
o poi ti fanno la pelle, stronzo. Quelli come te non
piacciono a nessuno".
Per questo esco poco e sono sempre più solo.
E quando sono solo penso.
Penso che in fondo sono sempre stato solo.
A parte mia madre. Lei mi ha voluto bene, come io
gliene ho voluto, fino al giorno in cui siamo stati
insieme.
Ricordo quando mi leggeva storie nelle lunghe sere
d'inverno, o quando mi aggiustava il vestito prima
di uscire, pettinandomi i capelli con la brillantina
e mi raccomandava di non fare tardi. Io tornavo presto
e lei lo sapeva che non disubbidivo mai. E poi non
avevo amici e preferivo stare in casa a guardare la
tivù o a farmi raccontare storie.
Avevo quindici anni quando mi accorsi di tutto e lo
confessai. Solo a lei, però. Perché
sapevo che soltanto lei avrebbe capito. Forse già
lo sospettava, perché da buona mamma sapeva
in anticipo ciò che mi passava per la testa.
Non dico che ne fu contenta, questo no.
Però comprese.
"Non lo dire a tuo padre" mi disse.
Io non lo avrei mai fatto, anche perché con
mio padre non ho mai parlato. Lui sapeva ragionare
solo con le mani e i discorsi più importanti
li affrontava con una cinghia di cuoio nero, che ha
lasciato a lungo ricordi bluastri sulla mia carne.
Però lo venne a sapere ugualmente e non la
prese bene. Quel giorno mi massacrò di botte
e andai a scuola segnato da lividi e sangue. Maledetto.
Maledetto bastardo. Mi disse che ero la sua disgrazia
peggiore dal giorno in cui ero nato. Mi disse che
lui un figlio non lo avrebbe mai voluto e che ero
stato solo un maledetto errore. Mi gridò in
faccia che avrebbe preferito che morissi, piuttosto
di sopportare la vergogna di avere un figlio frocio.
Adesso che le ha pagate tutte dovrei essere pentito.
O almeno l'avvocato dice che mi converrebbe. Non sono
pentito, anche se non uscirò mai più
da questa cella bianca che ha catturato i miei diciassette
anni in un giorno di ottobre. Mi dispiace solo per
mia madre, perché ho dovuto colpire anche lei.
Gridava come una forsennata, quando l'ho fatto a pezzi.
Diceva che ero un assassino e che avrebbe chiamato
la polizia.
"Ma io l'ho fatto anche per te, mamma - le dicevo
- adesso siamo liberi".
Lei non capiva e ho dovuto usare di nuovo il coltello.
Non c'era altra scelta. Povera mamma. Lei mi aveva
sempre capito e protetto. Adesso sono solo davvero.
Però ho messo le cose a posto. E lo rifarei,
dottore. Sì che lo rifarei. Non sono pentito.
Mia madre viene a trovarmi ogni notte in questa cella.
Ed è più bella che mai. E mi vuol più
bene che mai. Adesso mi ha detto che ha compreso ed
è contenta che l'abbia liberata. Finalmente
può abbracciarmi forte e tenermi stretto al
suo cuore, senza temere le botte di mio padre. Come
sempre è la mia unica amica.
La sola a capirmi. Domani glielo dirò a quel
maledetto dottore. Domani glielo dirò che sono
contento di averlo ammazzato, trafiggendolo al cuore
e poi sezionandolo con cura con il coltello grande
da cucina. Sono dispiaciuto soltanto di non aver nascosto
per tempo i pezzi. Sono pentito solo di aver dovuto
colpire mia madre.
Lei mi ha perdonato però.
Questa è l'unica cosa che conta.
La vedo ogni notte e conservo la sua foto sul comodino
in una cornice dorata. Mi parla e lo fa con dolcezza.
Lei sola sa essere carina con me. Ha sempre saputo
farlo.
"Piccolo mio, no che non sei un assassino. -
Mi dice - Sei solo un bambino che ha bisogno d'affetto".
"Se non ci fossi tu, mamma, preferirei morire"
rispondo.
Poi mi addormento e la sogno.
L'unica donna della mia vita.
La sogno come la ricordo.
In cucina tra i piatti da lavare, o seduta alla macchina
per cucire, mentre mi taglia i pantaloni per i giorni
di festa. Le chiedo se mi vuole sempre bene, nonostante
tutto.
Non sono pazzo, caro dottore. E cosa importa se vedo
i mostri nelle macchie di colore. Non sono pazzo,
lo ha detto anche mia madre. Sono solo un bambino
che ha bisogno di affetto. Adesso più che mai.
La sua mano mi carezza la fronte. Dita scarne e affusolate
pettinano i miei capelli con amore.
"Se non ci fossi tu, mamma " mormoro
nel sonno.
E mi pare di sentirla la sua voce, nel silenzio innaturale
della mia cella. E' un soffio leggero di vento che
viene dal passato.
"Io ci sarò sempre" mi dice.
Solo che il dottore non lo vuol capire. Non crede
alle mie parole. E continua a tormentarmi con assurde
domande. Dice che ho fatto una cosa terribile e non
mi comprende. Io ne ho abbastanza di non essere capito.
Voglio restare solo tra le braccia di mia madre. Come
una volta. Come quando ero bambino. E lei di nascosto
a raccontarmi una storia, facendo piano, per non svegliare
mio padre. Adesso può farlo tranquilla. Lui
non c'è più a dare ordini e ad alzare
le mani.
Nessuno deve più dirmi cosa devo fare.
Neppure quel maledetto dottore.
Perché se solo ci prova gliela farò
vedere.
Non ho dimenticato come si usa un coltello.
Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Direttore Editoriale
delle Edizioni Il Foglio. Collabora con Mystero e
con la Casa Editrice Profondo Rosso di Roma. Collabora
con Thriller Mania delle Edizioni Master. Pubblica
racconti per X Comics, Blue e Underground Press. Scrive
soggetti e sceneggiature per fumetti realizzati graficamente
dal disegnatore Oscar Celestini (pubblicati su X Comics,
Blue e Underground Press). Ha pubblicato: Lettere
da Lontano (Tracce, 1998), Il mistero di Incrucijada
(Prospettiva, 2000), Letà doro
(Il Foglio, 2001), Il giustiziere del Malecón
(Prospettiva, 2002), Le ultime lettere di Pilvio Tarasconi
(Il Foglio, 2002), Per conoscere Aldo Zelli (Il Foglio,
2002). Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro
Torreguitart Ruiz: Machi di carta (Stampa Alternativa,
2003), La Marina del mio passato (Nonsoloparole, 2003)
e Vita da jinetera (Il Foglio, 2005). I suoi lavori
più recenti sono: Nero Tropicale (Terzo Millennio,
2003), Cuba Magica conversazioni con un santéro
(Mursia, 2003), Cannibal il cinema selvaggio
di Ruggero Deodato (Profondo Rosso, 2003), Unisola
a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana
(Bastogi, 2004), Quasi quasi faccio anchio un
corso di scrittura (Stampa Alternativa, 2004 - due
edizioni in un anno), Orrore, erotismo e pornografia
secondo Joe DAmato (Profondo Rosso, 2004), Tomas
Milian, il trucido e lo sbirro (Profondo Rosso, 2004),
Serial Killer italiani (Editoriale Olimpia, 2005),
Nemici miei (Stampa Alternativa, 2005) e Le dive nude
- vol. 1 - il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech
(Profondo Rosso, 2006).
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