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12 Ottobre 2016
Il Tempo perduto della Ricerca
di Loris Ferrari
Europa Edizioni 2016 (Collana: Edificare Universi) Prezzo 332 euro Pagine 15
Prefazione (dell'autore)
Il giocatore, dicono, si conosce dalle mani... Questo l’inizio di un romanzo che mi venne in mente di scrivere nel 1983, in un giardino pubblico di Santa Fiora (GR), sorvegliando mia figlia di 4 anni che saltellava nei vialetti. Trent’anni dopo, nel 2013, la frase è finita in un capitolo centrale del testo definitivo. Tuttavia, ritenendola tuttora un buon incipit, non ho saputo resistere alla tentazione di metterla comunque all’inizio del libro, se questa auto-prefazione si può considerare parte del libro stesso. Un romanzo scritto nell’arco di trent’anni è, di fatto, opera di molti autori. Tutti quelli che si sono succeduti, con lo stesso nome, ma con età, sensibilità e caratteri diversi, a mano a mano che il testo procedeva, regrediva, si arenava. In effetti, dire che questo libro l’ho scritto io è soltanto una semplificazione anagrafica. Ad ogni fascia di età (ad ogni autore, dunque) ha corrisposto una versione diversa. Il cosiddetto “io” più recente, l’Ultimo degli Autori, ha capito che era tempo di mettere la parola “fine” quando, scrivendo una progettata V Parte, si è reso conto che stava in realtà cominciando un altro libro. Sottoposto a vari editori, il romanzo ha ricevuto parecchi silenzi e qualche rifiuto. Alla fine, si è trovato chi lo avrebbe pubblicato, a patto dell’acquisto, da parte mia, di cinquanta copie al prezzo di copertina. Un contributo di pubblicazione ragionevole, in fondo. Cinquanta copie non ingombrano il garage più di tanto, e cinquanta amici e conoscenti a cui regalarle si trovano sempre. Non ho alcuna intenzione, infatti, di sottopormi al tragico (in senso fantozziano) rito della “presentazione”. Un povero Cristo, vittima innocente della propria condiscendenza (nessuna buona azione resterà impunita!), che si trova a dover commentare un testo letto in fretta e di malavoglia, all’insegna del “chi me l’ha fatto fare?”. Per non parlare della sparuta platea dei suddetti amici e conoscenti, col sorriso sulle labbra, il sedere martoriato da scomode panchette, e la mente rivolta al prossimo, inevitabile esborso. Un dono, invece, è un atto di gentilezza che si esaurisce nel ringraziamento immediato e nemmeno impegna il donato a future arrampicate sugli specchi, per commentare l’Opera con l’Autore. Per tacita convenzione, infatti, il regalo di un libro non prevede l’obbligo di lettura. Gli amici noteranno e spero apprezzeranno la finezza di una dedica scritta a matita. Perché? Ma per poterla cancellare quando si vorrà rivendere il libro a qualche libreria tipo Melbook. Consiglio di mescolarlo ad altri testi, per facilitarne lo smistamento verso gli scaffali dell’usato. Alcuni selezionatori sono più severi, altri meno. Riprovateci, nel caso. Non si pensi che tutto questo sia solo ironia. Tutt’altro: un libro che prende polvere in un angolo, inalienabile solo perché munito di dedica, è molto peggio di un libro usato, riciclato, con qualche speranza di un nuovo lettore. Una delle pochissime lettrici del mio primo romanzo lo trovò in un cestone di libri a un euro fuori da una toilette, mentre aspettava il suo turno per fare pipì. Tanto varie e imprevedibili, sono le vie della lettura. L’evidente disincanto con cui parlo di questa avventura editoriale può spingere a domandarsi perché abbia voluto darle corpo. Due sono le ragioni, la prima delle quali è la mia relazione di amore/odio con la Piccola Editoria. Questo strano mondo, a mezza costa tra le cime vertiginose della Letteratura e i franosi pendii della sopravvivenza aziendale. Un po’ parassiti e un po’ mecenati di quella sterminata fauna di fancazzisti che il Benessere ha forgiato (ma durerà ancora poco, state tranquilli) dalle fucine del Debito Pubblico: insegnanti, magistrati, postelegrafonici, alcuni in pensione, altri no, tutti dediti (come me, beninteso) alla sublime arte dello Scrivere, invece di lavorare, o giocare a tressette, come si faceva una volta. Eppure, è solo da questo letame che, come diceva De Andrè, nasce ogni tanto il fiore del Buon Libro, quello che vale la pena leggere e, soprattutto, rileggere. Le mie cinquanta copie acquistate a prezzo di copertina sono, in effetti, un contributo di solidarietà al sogno micro-editoriale del Capolavoro che verrà. Poi c’è una questione personale. Da giovane scrivevo perché sentivo di avere “qualcosa da dire”, e che il Mondo sarebbe stato più povero, senza conoscere quel “qualcosa” così originale, così nuovo, così decisivo. Oggi mi accorgo di scrivere ormai soltanto per non dimenticare quello che penso. Ma riesumare i miei pensieri digitalizzati nel sarcofago del computer è un vizio pericoloso. Troppo facile correggere, modificare, ristrutturare. Si cade in un interminabile esercizio di necrofilia, sul cadavere delle proprie storie ed elucubrazioni. Invece, affidarle a un libro vero, di carta, all’ultima forma di memoria analogica che ci è rimasta, fa sì che storie ed elucubrazioni passino davvero a miglior vita. Il libro cartaceo, come il drakkar di un funerale vichingo, le avvia verso una loro modesta eternità, ormai stabili, incorreggibili, definitive. Che il Mondo se ne arricchisca, o meno, il mio “qualcosa da dire” diventerà qualcosa già detto, da non dire più. E potrò finalmente dimenticarmene.
Bologna, 14 Luglio 2015 (A proposito: l’ho presa, la Pastiglia? ...)
Loris Ferrari: Nato nel 1953, professore associato di Struttura della Materia al dipartimento di Fisica e Astronomia dell’università di Bologna. Autore del romanzo “Damnati ad Metalla” (Robin Edizioni, 2005). Il tempo perduto della Ricerca è, in realtà la sua opera prima, in quanto iniziata nel 1983 e terminata (per sfinimento, assicura l'autore) trent’anni dopo.
Email: ferrari.loris@alice.it
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