Alla fine degli anni Cinquanta, una ragazza italiana profondamente colpita dalla lettura di alcune pagine di Simone Weil si reca a Parigi per ritrovare le tracce della poetessa-filosofa francese ormai scomparsa nei suoi manoscritti inediti. Ma ancora di più spera di ritrovarne il profilo e quanto di lei ancora traspaia dal vibrante ricordo di sua madre, M.me Weil.
Sarà proprio questo incontro a rivelare a una giovane Margherita Pieracci come fosse naturale e inevitabile per Simone raggiungere, in una vita non meno breve che intensa, una rara identità di rigore e semplicità nello stile come nel pensiero.
Sedendo sulla seggiolina accanto a M.me Weil, che alterna la copia di meravigliosi frammenti all’ascolto assoluto di Albinoni e Monteverdi e a evocazioni ora commoventi ora lievi di storie familiari, la ragazza intuirà come Simone abbia potuto raggiungere, quando era ancora quasi bambina, la percezione di cosa fossero la giustizia o l’attenzione. Ed ecco la percezione chiara di come quel miracoloso virgulto, Simone, avesse succhiato dal suo nobile tronco alcune fasi del suo stupefacente sviluppo. L’attenzione, ad esempio, che apprese dal modo in cui la madre ascoltava la musica, e l’ascoltava con tutta l’anima, senza possibili frange di distrazione. E la carità e la giustizia crescevano in quella casa dalla pratica dell’attenzione esperita nei rapporti tra i suoi membri, per offrirle poi a chi era fuori. E l’onnipresenza della bellezza: come M.me Weil assorbiva attraverso i vetri del balcone della “camera di Simone”, inquadrato di pois de senteur, quella luce di Parigi che nessuno che abbia letto il Prologue potrà più dimenticare
Tutto questo qui non si tenta di spiegare: solo di condividere, specialmente offrendo le lettere di M.me Weil, presentando i suoi amici e un po’ di quell’atmosfera.