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ALESSANDRO MANZONI
(1785-1873)


di R.M.L.Bartolucci

Di una vita molto sommessa, trascorsa quasi in punta di piedi, rimane un ricordo tangibile di un unico avvenimento "clamoroso": si tratta di una lapide in marmo nella chiesa parigina di San Rocco La vita in questione è quella del famosissimo scrittore Alessandro Manzoni, e l'avvenimento "clamoroso" è la sua conversione religiosa. Il 2 aprile 1810 la capitale francese era in gran festa, poiché si celebravano le nozze dell'imperatore Napoleone con l'arciduchessa Maria Luisa d'Austria. Per le strade la folla straboccava disordinatamente. Manzoni e sua moglie Enrichetta erano pigiati nella calca. Improvvisamente si udì lo scoppio di una serie di mortaretti: la folla ebbe un sussulto, si scompigliò. Lo scrittore, perduta di vista la sua compagna, ebbe grande paura che ella venisse soffocata in quel trambusto. Senza rendersene quasi conto, egli si ritrovò sulla scalinata della chiesa di San Rocco, e non si sa bene in che stato si introdusse all'interno del tempio. In quel momento si accorse di essere solo. Alcuni cronisti dicono che a quel punto ebbe una folgorazione nella sua anima e pronunciò le parole: "Dio, se esisti, rivelati a me!". Altri biografi riferiscono che egli si limitò a chiedere una grazia particolare: poter riabbracciare la moglie sana e salva. Poi, uscito dalla chiesa, Enrichetta, incolume e sorridente, gli sarebbe venuta incontro. Avendo visto la mano della Provvidenza in quell'avvenimento, il Manzoni si sarebbe poi convertito.
Egli era nato nel 1785 da un nobiluomo di stampo campagnolo, Pietro Manzoni, e da Giulia Beccaria, gaia ed intelligente figlia di quel Cesare Beccaria che aveva conquistato già mezza Europa col suo libretto "Dei delitti e delle pene", che per quei tempi era diventato un vero e proprio beast - seller. In realtà gli ultimi studi critici dicono che egli fosse figlio di uno dei fratelli Verri e che la Beccaria, già incinta, avesse accettato di sposare Pietro Manzoni per dare una paternità al figlio. Alessandro trascorse l'infanzia nella villa paterna del Caleotto, in riva a quel lago di Como in cui più tardi ambienterà la storia dei protagonisti del suo principale romanzo, Renzo e Lucia. Dopo i sei anni visse in collegio a Merate, a Lugano, a Milano. Di quegli anni gli rimase impressa soprattutto la dolcezza del Padre Soave, suo insegnante a Lugano, che non aveva mai il coraggio di usare la bacchetta che nascondeva nella manica per punire gli studenti riottosi. Molto presto Alessandro fu affascinato dalla poesia, e soprattutto da Virgilio, che studiava con passione, e dall'allora famoso Vincenzo Monti, sul modello del quale egli compose le sue primissime opere poetiche, anche se già si sentiva in esse qualcosa di molto personale, specialmente una tendenza acuta alla penetrazione psicologica e la precisione nel ritratto esteriore e morale al tempo stesso. Al termine degli studi, per un brevissimo periodo si abbandonò alla dissipazione e negli anni successivi si rimproverò molto la vita brillante, anche se mai eccessiva, vissuta in quell'epoca della sua esistenza. Il disordine di cui egli accusava se stesso era soprattutto di ordine intellettuale. Durante la gioventù aveva subito molto gli influssi dell'illuminismo e di Voltaire in particolare, dimostrandosi irreligioso e anticlericalista anche in maniera violenta. La conversione operò nel suo animo una graduale presa di coscienza dei veri valori della vita umana. Gran parte del merito del suo cambiamento fu opera della moglie, la dolce Enrichetta Blondel, che egli aveva sposato nel 1808. Ella era calvinista convinta e profondamente devota. Fu lei per prima a convertirsi alla religione cattolica, abiurando solennemente dalla religione calvinista, e il Manzoni la seguì a ruota. Allora i due coniugi vivevano a Parigi, dove Alessandro aveva raggiunto la madre. La conversione segnò per lui l'inizio di una nuova vita. La verità cristiana, "…il Vero come l'unica sorgente di un diletto nobile e durevole" divenne il centro ispiratore di tutta la sua opera, dagli Inni Sacri alle due tragedie "Il conte di Carmagnola" e "Adelchi", ai saggi filosofici e storici, fino a giungere al suo capolavoro, quei "Promessi Sposi", "romanzo della Provvidenza", in cui egli trasfuse tutta la sua poesia, tutta la sua umanità, tutta la sua concezione della storia come guidata misteriosamente dalla mano di Dio. L'idea di una poesia che avesse per oggetto la verità e che si proponesse di divertire e di educare al tempo stesso era propria non solo del Manzoni, ma di tutto il Romanticismo più sano: "…Ecco perché io vedo nel Romanticismo uno spirito cristiano", affermava lo scrittore. E in questo senso egli fu romantico, anzi il caposcuola del Romanticismo lombardo.
Dal 1815, maturata in pieno la sua conversione religiosa, il Manzoni scrisse per un decennio un grande numero di opere. Tornato da Parigi fin dal 1810, trascorreva la sua vita tra Milano e Brusuglio, dove aveva una villa. Non avendo problemi economici, poiché sia lui che la moglie possedevano parecchie proprietà che garantivano loro una vita agiata e tranquilla, potè rivolgersi tutto all'interno di se stesso. Ogni tanto gli nasceva un figlio o una figlia (ne ebbe in tutto nove). Nel frattempo scriveva con foga, pur se tra mille dubbi e incertezze, come rivelano i suoi manoscritti autografi, pieni di cancellature nervose, di sostituzioni di periodi interi, di richiami, di annotazioni, di segni d'inchiostro. Solo una volta riuscì a comporre qualcosa di getto: fu quando, nel parco di Brusuglio, leggendo un giornale apprese la notizia della morte di Napoleone. Ne rimase sconvolto, perché affascinato dal fatto che il grande generale potesse essere stato uno strumento nelle mani della Provvidenza divina per portare a compimento nella storia i progetti di Dio stesso. Allora il poeta si chiuse in casa per tre giorni, ossessionato da una marea di impressioni e di versi che egli cercava disperatamente di stendere sulla carta. E per tre giorni Enrichetta, la moglie, rimase al pianoforte suonando brani che tenessero desta in lui l'ispirazione. Alla fine di questo "tour de force" letterario-musicale dei due coniugi finalmente vide la luce l'ode "Il Cinque Maggio". Per paura di cominciare a revisionarlo per troppo tempo, come era sua abitudine con i suoi scritti, Alessandro decise di divulgarlo immediatamente: e fu un successo strepitoso. L'ode, tradotta in quasi tutte le lingue europee e finanche in latino, capitò tra le mani del grande Goethe, che ne rimase entusiasta.
Dopo il 1826 Manzoni non si applicò più alla poesia, e, pur continuando i suoi studi letterari, storici e filosofici, si dedicò per lo più a perfezionare il suo romanzo "I Promessi Sposi" con un attento "labor limae". Poiché Enrichetta soffriva di cattiva salute ed aveva bisogno di aria pura e bagni di mare, la famiglia si trasferì prima a Genova, poi lungo la costa e infine a Firenze, dove poté "risciacquare i suoi panni in Arno", cioè depurare il suo italiano e renderlo più funzionale tanto che, divulgato attraverso il suo romanzo, esso divenne la lingua delle persone colte di tutta l'Italia.
Alla fine della sua vita rimase in silenzio per ben cinquant'anni, vivendo quietamente. Pian piano era divenuto un autentico patriarca della cultura italiana. Era considerato con venerazione e i suoi sentimenti patriottici lo rendevano ancora più grande nel momento in cui si sviluppava il Risorgimento. La sua dirittura morale, la sua modestia e la sua intelligenza fervidissima e lucidissima nell'accostarsi ai problemi culturali lo rendevano quasi un'incarnazione vera e propria del genio nazionale. Eppure egli visse senza solennità pur tra tanta gloria. Non amava la folla, anzi la temeva, poiché era fragile di nervi fin dalla giovinezza. Se doveva parlare in pubblico balbettava. Amava molto, invece, la serenità della sua casa, dove poteva parlare liberamente con i familiari e i domestici l'aristocratico dialetto meneghino di un tempo, con le "erre" rotolanti secondo l'uso francese. Ancor più amava la limpidezza del paesaggio Brianzolo, poco lontano da quel lago di Como che il suo romanzo aveva reso famoso e amato da tutti. Ma quei cinquant'anni di silenzio non furono lieti, a causa di una serie interminabile di sventure che egli dovette sopportare: gli morirono in breve tempo cinque figlie e due figli, un altro figlio lo amareggiò con il suo comportamento. La mattina di Natale del 1833 gli morì anche la sua cara Enrichetta. In seguito, la sua situazione finanziaria peggiorò: spese un mucchio di soldi per una sfortunata edizione illustrata del suo romanzo; editori di pochi scrupoli pubblicavano le sue opere senza concedergli i dovuti diritti d'autore ed egli, pur se vinceva cause in tribunale contro di loro, non ebbe mai il coraggio di infierire su di essi. Nel 1848 durante la guerra la sua villa di Brusuglio fu devastata. Nel frattempo si era risposato con Teresa Borri Stampa, forse per dare una madre ai figli, ma ugualmente amata con molta sincerità. Sopravvisse, però, anche alla seconda moglie.
Il Manzoni non si lamentò mai delle sue sventure, poiché aveva una fede troppo radicata e profonda per non vedere in esse la mano del Signore che dà e poi toglie secondo il suo disegno provvidenziale. La sua morte arrivò lentamente. Una fredda mattina di gennaio in cui lo scrittore, ormai novantenne, si era recato alla Messa per fare la comunione nella Chiesa di San fedele, cadde sui gradini del tempio e battè la testa. Lo portarono a casa privo di conoscenza e lo deposero sul suo modesto lettino di ferro dipinto in rosso. Fisicamente si riprese un poco, ma non riacquistò più la lucidità mentale che tanto lo aveva caratterizzato: rimase in uno stato di demenza tranquilla e pietosa. Tornò lucido poche volte, e in una di queste rare occasioni si dovette annunciargli la morte di un altro figlio che soffriva da tempo di un male inguaribile. Tornò lucido per l'ultima volta poco prima di morire: fece appena in tempo a ricevere i Sacramenti e spirò durante la notte, il 22 maggio 1873.

Rossella Maria Luisa Bartolucci
rbart@ciaoweb.it

 

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