Angelo Petix è nato a Montedoro
(CL) nel 1912, è stato insegnante
per tanti anni a Cuneo dove è morto
nel 1997. Ha pubblicato undici romanzi,
di cui il più famoso rimane La
miniera occupata, uscito nel 1957
per la prestigiosa collana La medusa
di Mondadori, dopo i pareri favorevoli di
due recensori, Raffaele Crovi e Giuseppe
Ravegnani. Lultima edizione de La
miniera occupata è apparsa
presso leditore Salvatore Sciascia
di Caltanissetta nel 2002. Fu anche nota
una raccolta di racconti, uscita presso
la Todariana Editrice di Milano nel 1976,
dal titolo Lilla e altri racconti.
Montedoro è un nome simbolico, oltre
che poetico, per un paese dellinterno
della Sicilia: loro cui si allude
è in realtà lo zolfo, di cui
il comune di Montedoro ha avuto per lungo
tempo il primato mondiale di produzione.
Paese di minatori, dunque, di povertà
dignitosa e legato a filo doppio con le
altalenanti vicende del mercato dello zolfo,
tanto lontano fisicamente dalla Sicilia
costiera, ancora nellultimo dopoguerra,
quanto poteva sia come tessuto sociale che
come modo di vita.
Tuttavia, per Petyx i minatori del suo paese
rappresentarono uno scenario che egli cercò
di rappresentare, tenendo presente lopera
verghiana, ma innestandovi motivi moderni
ed uno stile sempre combattuto tra lesigenza
neorealista del vero e le movenze da fiaba
popolare, cui molti personaggi di Montedoro
si prestano. Questo contrasto è allorigine
del successo arriso allepoca ad un
romanzo compatto e consapevole come La
miniera occupata, ed il suo significato
anche per il lettore di oggi.
La
Miniera occupata di Angelo Petyx
Arnaldo Mondadori Editore, 1957, pagine
254
(ultima edizione presso Editore Salvatore
Sciascia Caltanissetta, 2002)
Paolo Todaro è un minatore nelle
miniere di zolfo, come la maggior parte
dei suoi compaesani. E però
anche un giovane che studia, e specialmente
legge libri, che gli presta una ragazza,
Antonietta, di cui egli è innamorato,
sottraendoli alla biblioteca paterna. Cerca
anche di istruire i suoi compagni di miniera,
Cacasenno, Frischetta, il suo stesso padre,
con alterni risultati. Siamo nel 46
in una Sicilia combattuta tra la secessione
proclamata dal bandito Giuliano, e la battaglia
elettorale tra i nuovi partiti ed i residui
del fascismo, tra cui quel qualunquismo
che ebbe un effimero successo nel meridione.
Sembra che ci si risvegli da un torpore
che ammanta tutte le cose, compresa ovviamente
la vita sociale di Montedoro: Il caffè
era pieno di gente, il fumo di sigarette
e di pipa, di chiacchiere e di scommesse,
perché ceran di quelli che
ci giuocavan la testa sul risultato finale
delle elezioni (p.72).
La miniera è di proprietà
di don Basilio, che finché il fascismo
era al potere, era sicuro di avere le forze
dellordine dalla sua parte: accade
invece che, per il contributo determinante
di Paolo, i minatori si ribellino ad alcuni
carichi di zolfo non pagati quanto pattuito,
cui segue un licenziamento in massa da parte
del padrone. La miniera viene così
occupata, e don Basilio muore per una malformazione
cardiaca congenita.
I minatori, confusi e sbandati, ripresisi
appena dal lungo sonno della dittatura,
accettano abbastanza rapidamente tutte le
proposte dellingegnere nipote di don
Basilio, e che ne eredita la miniera, con
qualche dubbio sulla convocazione della
commissione interna, rimandata
a data da destinarsi.
A tutto questo si intreccia la vicenda sentimentale
di Paolo con Antonietta, che la madre ha
promesso in sposa il sarto Pippo, mentre
di Paolo è pure innamorata Rosa Frischetta,
amica e confidente di Antonietta, che vive
sola con una madre paralitica, ed il cui
fratello vive un matrimonio difficile, che
culminerà nella tragedia. Confida
Paolo ad Antonietta: Sono così
vuoto e sconvolto che non ho saputo nemmeno
dare un consiglio a Frischetta che è
stato qui da me e se nè andato
a chiedere asilo per stanotte a Rosa. Ma
quelle di Frischetta son cose che è
meglio tu non sappia. Ti basti sapere che
è un uomo infelice e rovinato, qualsiasi
cosa decida di fare (p.83)
Romanzo interessante, La miniera occupata,
per lintrecciarsi di motivi politici
e sentimentali, molto credibile nel rappresentare
limbarazzo dei minatori al nuovo stato
di cose, e dove la miseria assume a volte
toni e accenti fiabeschi, ma sempre dignitosi,
comè da fiaba la profonda malinconia
di Paolo che guarda Montedoro nella notte:
Ora spingevo il mio sguardo di là
dai tetti e dallo stesso monte Ottavio e
pensai quando bambino credevo bastasse andare
sin lì per riempirmi le tasche di
stelle. Ma io avevo paura dandarci
di sera a pigliar le mie stelle, e restavo
a guardarle seduto nel mio balconcino sempre
rimandando a una sera in cui il lupo mannaro
non mavrebbe più fatto paura
(p.211). Nel romanzo, il verismo, a volte
necessario dal dipanarsi del dramma, viene
corretto dal costante ricorso allo smorzamento
dei toni in una realtà ricca di chiaroscuri:
il profondo e doloroso amore dellautore
per la sua terra fa sì che egli cerchi
di comunicare al lettore un vero senso di
comprensione e di pietà, che è
il più caratteristico tratto della
sua ispirazione. E nella pietà rientrano
anche le notazioni sottilmente umoristiche,
in realtà rivelatrici di unepoca
e di un popolo che è il suo, visti
dagli occhi acuti e sottili di Paolo Todaro:
Sicuro, da noi una donna deve saper
piangere, strillare, strapparsi i capelli
e stracciarsi le vesti, magari pestare i
piedi, perché davanti a un cadavere
soffre di più chi più strilla
e fa gesti. Insomma, davanti ai morti da
noi le donne vogliono vedere un dolore scomposto,
violento e drammatico (p.222).
Incipit de La miniera occupata
Si levava presto, Don Basilio, con i
primi trilli dellallodola, ora che
serano aperti i comizi e lo avevano
preso nuove inquietudini e paure. Prima
che non avevamo perduto la guerra e non
si votava, nessun padrone dormiva sonni
tanto tranquilli e lunghi, ma ora si levava
con le stelle e girava per la miniera per
sentire quello che propagandava questo e
quel gruppo di solfatari.
Io vedevo che Don Basilio non era più
luomo allegro e faceto duna
volta, e non sapevo che pensare.
Ma una mattina venne al pozzo e disse: Nella
mia miniera bolscevichi non ce ne voglio,
perché gli operai li prendo per lavorare,
non per cianciare di consigli di gestione,
di rivoluzione proletaria e di repubblica
e se nandò brontolando cose
inafferrabili.
a cura di Carlo
Santulli