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BRUNELLA GASPERINI
(1918-1978)


Fu celebre per le rubriche di lettere che tenne prima su Novella 2000, poi su Annabella (che diviene Anna nel 1974), a partire dai primi anni ’50, raccolte in una selezione presso Rizzoli nel 1981. Non meno importanti sono stati i suoi romanzi tra cui ricordiamo “L'estate dei bisbigli” (1956), “Le vie del vento” (1957), “Dopo di lei” (1957), “Fanali gialli” (1957), “Le ragazze della villa accanto” (1958), “Le note blu” (1958), e specialmente “Rosso di sera” (1964) e “Grazie lo stesso” (1975), e le raccolte di racconti, forse la misura più giusta della sua scrittura, tra cui “Storie d'amore storie d'allegria” (1976) ed i vari libri di cronache familiari, editi in un volume complessivo “Siamo in famiglia” (1974).
Attiva e convinta sostenitrice del ruolo della donna nella vita sociale e politica, ha anche pubblicato vari manuali “utili”, come per esempio “Il galateo di Brunella Gasperini” (1975), in cui ugualmente si nota il suo umorismo sottile e spesso auto-ironico, che le permise di innovare quel genere, allora in voga. Si trovano sue notizie autobiografiche, solo lievemente romanzate, in “La donna ed altri animali” (1978). Pubblicò prevalentemente per Rizzoli. Vedi anche il saggio di Marina Tommaso “Brunella Gasperini. La rivoluzione sottovoce”, Diabasis, 1999. (C.Santulli)

Due ricordi di Brunella Gasperini

di Gianna Messori...

E’ giovedì e piove a dirotto. In libreria hanno messo uno stuoino supplementare appena dentro. I due che mi precedono, lo saltano entrambi. Non c’è il cartello: SALTARE LO STUOINO. Ma non c’è neppure il cartello: PULIRSI I PIEDI. Io, però, se mi mettono davanti uno stuoino, mi pulisco i piedi. Be’, semmai le scarpe. A voler sottilizzare, la suola delle suddette scarpe.
I libri sono in ordine alfabetico per autore e li scorro con gli occhi negli scaffali, da sotto insù e viceversa. Sono arrivata alla I e torno indietro. Alla G ho visto qualcuno o meglio qualcuna. Una vecchia amica: Brunella Gasperini.
Vecchia per modo di dire. I suoi libri grondano giovinezza, c’è tanta voglia di vivere, tanta voglia di ridere con le lacrime agli occhi e di piangere col sorriso sulla bocca. Aveva la facoltà di scrivere cose serie facendole sembrare facezie e di far diventare facezie cose serie. C’è una vena di allegria anche nei capitoli malinconici. Una malinconia allegra. Esiste? Forse no. E allora perché io la sento?
Ci dice che un critico letterario, l’unico che l’abbia letta e recensita con serietà, l’ha definita: “questa singolare scrittrice di romanzi patetici che rivela il suo talento sul versante comico.”
Facendo il gioco del “se fosse” io direi che se fosse un vino, sarebbe un Brachetto. Dolce con un retrogusto amarognolo. Se fosse una scrittrice - come in effetti è - direi, anzi dico, che è Brunella Gasperini.
L’ho letta postuma, per caso, attratta da un titolo, come a volte succede. E dopo aver letto quel primo libro, ho comprato gli altri
Ed è proprio quel primo libro che lessi anni fa, che adesso prendo dallo scaffale: “Una donna e altri animali” .
Non dobbiamo farci confondere dal titolo. Gli “altri animali” non sono solo i cani, i gatti e gli uccelli che abbaiano, miagolano e volano nella trama del libro, che, di primo acchito, può sembrare un po’ sconclusionato. E’ un altalenare tra presente e passato, quadretti di come siamo e di come eravamo. Ci sono i figli, c’è il “compagno della sua vita”, urlatore cronico, ci sono il padre, la madre, i fratelli, il nonno, le zie, insomma c’è una vita che si snoda intrecciandosi ad altre vite, brulicante di aneddoti, storie e storielle, buffe e tragiche, allegre e tristi. Così com’è la vita stessa che non è mai del tutto buffa e non è mai del tutto tragica, non è mai sempre allegra e non è mai sempre triste. E’ semplicemente la vita.
Uno di questi altri animali a due gambe, è il proprio direttore. I direttori cambiano, si sa, vanno e vengono con la facilità di funghi che spuntano nel periodo autunnale. Era lei che restava sempre lì, alla mercé del direttore di turno.
A pag. 8 sta dicendo al direttore di turno che non se la sente di fare interviste, non è una giornalista, ma una scrittrice, e lui le impone: «E allora scriva.»
Dice bene, lui. Mica facile, scrivere. Davanti a un foglio banco, ci si blocca. Si scrive una frase, la prima, tipo: Il primo cane della mia vita... e si fanno ghirigori con la biro in attesa della seconda. E la testa si riempie di ricordi dolce-amari.
Sul muro accanto al tavolo, che istoriava di graffiti, scrisse: E’ DURO DOMARE UNA SCRIVANIA.
Ma poi riscriveva su un foglietto: Il primo cane della mia vita..., e rifaceva ghirigori, la mente persa nei ricordi.
Li amava, i cani. Svisceratamente, direi. I figli erano “gattari”. Come me. “Gattara” dalla punta dei piedi alla punta dei capelli.
Tra gli animali a due gambe, spicca il Nero Veloce. Il suo medico e amico, chiamato così perché, fin dai tempi dell’università, entrava in un bar chiedendo “un nero veloce”. La tacciava di essere ipocondriaca. Lo era. Le faceva bigliettini rassicuranti promettendole anni di vita. Le chiedeva: Ma vuoi vivere per sempre?
No. Per sempre no. Abbastanza. E quant’è abbastanza? Giusto: quant’è?
In casa sua, vigeva il caos. Figli con la chitarra, amici dei figli con altre chitarre, urla del compagno della sua vita che non sopportava le chitarre, cani che abbaiavano, gatti che le saltavano addosso, saltavano sul tavolo e sulla macchina per scrivere, il merlo indiano o gracula religiosa, che, uscito dalla voliera, si piazzava sui mobili e cantava.; “Scacciati senza polpa - gli anarchici van via.” Ci aveva perso le ore per insegnargli a dire colpa, ma niente da fare. Poveri anarchici, pure senza polpa. .
In quel caos, lei ci viveva, ci lavorava seduta al suo tavolo, davanti a quella macchina per scrivere, e tutti le rompevano il filo.
Ma come faccio a scrivere?, diceva a tutti e a nessuno.
Scrisse sul muro: NON ROMPETEMI IL FILO.
Un filo fragile, aggrovigliato, che le sfuggiva di continuo.
Poi si è corretta. Rompetemi tutti i fili che volete, ma non rompetemi quel filo là.
Il filo della vita alla quale era abbarbicata.
Scrisse sul muro: LA DONNA SI E’ ROTTA, SIAM PRONTE ALLA LOTTA, da cantare sull’aria di Fratelli d’Italia. Se aggiungeva un punto interrogativo, diventava: SIAM PRONTE ALLA LOTTA?, frase sulla quale si poteva riflettere a lungo. Erano gli anni settanta, femminismo o no, le lettrici che le scrivevano avevano ognuna un proprio problema che non si poteva impacchettare per farne un unico problema, con una soluzione estemporanea uguale per tutte.
Scrisse sul muro il suo testamento spirituale, suscitando lo sdegno del compagno della sua vita, che non voleva sentir parlare di ceneri e urne funerarie. Men che meno vederle scritte su quel muro.
METTETE LE MIE CENERI SOTTO IL MIO GELSOMINO
E SCRIVETE SULL’URNA: VIAGGIO’ TUTTA LA VITA
INTORNO A UN TAVOLO
E in tempi più recenti, qualcuno aggiunse un post scriptum:
SENZA PERALTRO COMBINARE UN CAVOLO
Chi era stato l’infame che aveva vergato la sacrilega riga? Il compagno della sua vita?
No. Era stata lei.
Lei, Brunella Gasperini.
Che sapeva prendersi in giro con grande ironia.

…e Carlo Santulli

Gli uomini, si sa, non leggono la letteratura femminile. Si sa, perché il più delle volte lo dichiarano loro stessi, quasi con sdegno. Specie se sono quelli un po’ intellettuali, cui piace essere aggiornati, à la page, come si dice. Ci sono dei casi (tanti, davvero) in cui sbagliano. Ma non diteglielo, se potete.
Così, si sbagliava quel “marito di sua moglie”, dal titolo di una novella di Brunella Gasperini, che non ce la faceva a tornare a casa, dalla moglie, che faceva tutto come dieci donne (ridere, piangere, scrivere, ecc.), e preferiva una ventenne, morbida, magari la tipica cassiera di un bar, anche se per continuare a guardarla dobbiamo riempirci lo stomaco di bitter, che non ci piacciono mica poi tanto, ed ovviamente pagarli. Per scoprire che la cassiera, la Floretta, altro non voleva che conoscere nostra moglie, quella che scrive le novelle che tutte leggono, con gli occhiali e sempre indaffarata intorno ad una pagina o ad uno scritto, o magari intorno al nastro della macchina da scrivere inceppato. “Il marito di mia moglie”, tematica che Brunella Gasperini espande in un intero breve romanzo, un’autentica perla di lieve umorismo familiare, “Io e loro. Cronache di un marito”. Guardarsi come mi vedono gli altri di casa, non è da tutti, sembra quasi un esercizio di bilocazione, più che un racconto.
Titolo non granché originale, e credo volutamente, “Il marito di mia moglie”, è stato un film tedesco degli anni ’30, ma ancora prima è una novella di Pirandello, ed una pochade francese, tradotta in romanesco, e portata al successo da Checco Durante già nell’anteguerra. Ma la questione del titolo “usato”, anzi abusato, è indicativa del modo di lavorare di Brunella Gasperini: non pretende di cambiare il mondo, e nemmeno di raccontare verità sconvolgenti, ma vorrebbe che quelle che sono le nostre realtà di ogni giorno le vivessimo diversamente, per esempio con un sorriso, magari ironico. Senza dimenticare che dal sorriso e dall’ironia partono le vere rivoluzioni, quelle che cambiano il mondo, quelle fatte con le armi durano poco.
Anche la realtà di essere bocciati ad un esame, al primo esame, quello dato di fronte ad un professore annoiato e stanco in uno di quegli interminabili pomeriggi passati a ripercorrere i corridoi eterni di un dipartimento, credendo (ancora) che l’università sia una cosa non solo difficile (come può esserlo, eccome), ma seria, come probabilmente non è (anche se legioni di genitori fanno finta di pensarlo). Ecco, quel ragazzo ero io a diciotto anni, e mi sono trovato specchiato in questa novella di una scrittrice che conoscevo appena. E diceva delle cose di me che avevo sempre pensato, non tutte positive veramente, ma aveva un modo di dirlo, quasi accennato, come quella parola su cui vorremmo sorvolare e che scappa detta, perché siamo tutti un po’ distratti, ed una piccola malignità non voluta, a volte, è anch’essa distrazione.
Ma non insisto: perché se lo facessi, forse vi accorgereste che, nelle piccole cose che provo a scrivere, come questo breve ricordo di Brunella Gasperini, penso di esserle debitore (ed un po’ invidioso) di questa capacità di esprimere cose profonde ed importanti senza perdere mai il senso della misura, che è poi l’essenza dell’educazione, di quella vera.
Una scrittrice che ha avuto un solo torto: quello di sparire troppo presto. Oggi, più che mai, la sua autoironia e corposa leggerezza sarebbe servita. E’ probabile che abbia cercato di trattare, con quelle sue armi delicate e sottili, fin con la malattia e con la morte. Ma questa dal lato dell’ironia ci sente poco, perché il suo dovere, ingrato, è un altro.


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