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GIOVANNI BOCCACCIO
(1313-1375)


di R.M.L.Bartolucci

Un uomo a cavallo avanzava velocemente sulla strada assolata sollevando un gran polverone, lasciandosi dietro le mura di Firenze. A tratti guardava dinanzi a sé, con lo sguardo di chi si dirige a un incontro che ha atteso a lungo. Finalmente, dietro una curva, ecco apparire in lontananza un piccolo drappello di viaggiatori: egli sentì il cuore battergli più forte nel petto e diede di sprone al cavallo. In breve si trovò di fronte l'uomo che avrebbe voluto incontrare di persona già da tempo. Prima di cominciare a parlargli lo fissò per un lungo istante, come per imprimersi bene nella memoria quel volto pieno, affabile, che sorrideva pacatamente nonostante la stanchezza del viaggio. Era quello il viso di Francesco Petrarca, il grande poeta, che stava recandosi a Roma in pellegrinaggio per il Giubileo dell'anno 1350 e di cui da tempo si vociferava che sarebbe passato da Firenze. Colui che non era riuscito ad attenderlo in città e colmo d'impazienza era corso incontro a lui ora poteva trattenere solo a stento la sua commozione e la sua gioia. Questi, però, non erano i sentimenti di un "ammiratore" qualsiasi che non si era mai trovato prima di fronte ad una grande personalità. L'impaziente cavaliere che aveva voluto anticipare a tutti i costi quell'incontro, poiché percepiva che quello sarebbe stato uno dei momenti più importanti della sua esistenza, era nientemeno che Giovanni Boccaccio. E la sua non era certo una sensazione sbagliata. Quell'incontro diede origine a una lunga e fruttuosa amicizia, che ebbe molta influenza sulla sua vita, tanto che essa può essere divisa in due periodi: quello precedente e quello posteriore all'incontro col Petrarca. Questa comunque è solo una delle tante partizioni che si possono effettuare circa la vita del Boccaccio, che in effetti fu alquanto movimentata. Senz'altro, però, essa appare come la più significativa, poiché segue lo sviluppo culturale e spirituale del grande novelliere e non riguarda avvenimenti esterni. Giovanni Boccaccio nacque nel 1313. A contendersi i suoi natali ci sono due località: Parigi, dove alcuni dicono che suo padre, ricco mercante, si trovasse di passaggio al momento della sua nascita, e Certaldo, un paese presso Firenze. Di certo, però, apparteneva ai fiorentini "di ceppo antico" almeno per quanto riguarda la sua famiglia e la sua educazione: leggendo la lingua in cui è scritto il suo capolavoro, il "Decameron", si fa presto a capacitarsene. La sua vocazione letteraria fu precoce e contrastata, come per molti altri grandi scrittori. Il padre, volendo avviarlo alla mercatura, lo mandò a far pratica a Napoli presso il Banco dei Bardi, grossi finanzieri fiorentini di cui lui era socio e che avevano un grandissimo giro d'affari. Ma in quella gaia città, dove aveva sede la corte di Roberto D'Angiò, il Boccaccio dimostrò di non essere affatto versato negli affari e di preferire di gran lunga lo studio delle lettere, in cui ebbe per compagni molti uomini di cultura ruotanti attorno alla corte, e la vita gaudente, in cui trovò compagnia ancor più numerosa. Come i suoi grandi modelli, Dante e Petrarca, anche lui dedicò le sue opere alla donna amata. Ma, differentemente dall'angelica Beatrice e dalla vagheggiata Laura, la sua Fiammetta era una creatura vivace e spregiudicata; e il loro amore fu scarsamente spirituale e decisamente alquanto burrascoso. Del resto il temperamento del Boccaccio era molto differente da quello di Dante o di Petrarca, come dimostrano le sue opere di quel periodo, piene di spirito profano e di sensualità. Nel 1340 il Banco dei Bardi andò incontro a quello che oggi chiameremmo un "crack" e il ventisettenne scrittore, che, pur rifiutando di esercitare l'attività di mercante non ne aveva mai disdegnato i frutti, fu costretto a lasciare Napoli e a far ritorno in Firenze, poiché il padre non era più in grado di mantenerlo "in trasferta". Ma Giovanni non si perse d'animo, continuò a scrivere e si dedicò ai viaggi. Ormai la sua fama di letterato, in crescente aumento, gli permetteva di farsi aprire le porte dei palazzi di molti signori dell'epoca: fu ospite di Ostasio da Polenta a Ravenna e di Francesco Ordelaffi a Forlì. Intanto gli frullava nella mente l'idea del suo capolavoro, che egli iniziò a scrivere nel 1348, anno della "grande peste", che tanta parte avrà nella cornice del "Decameron" e che viene rievocata nella sua introduzione. E' a questo punto che la vita del Boccaccio giunge alla svolta determinante: l'incontro con Francesco Petrarca. Dopo il 1350 i due scrittori si frequentarono sempre di più, sia di persona, ritrovandosi tra amici comuni, sia attraverso un intenso epistolario improntato alla più schietta cordialità. Dietro la spinta del suo nuovo amico, Boccaccio approfondì sempre di più lo studio dei classici latini e greci, che egli fu uno dei primi a riscoprire dopo secoli di dimenticanza. Così pervenne gradualmente ad una maggiore maturità spirituale allontanandosi pian piano dalla spregiudicata concezione della vita che aveva caratterizzato la sua gioventù. Tuttavia scrisse ancora molte opere a carattere profano, poiché non era molto portato per natura a porsi problemi di ordine spirituale e non ci si poteva aspettare da lui un cambiamento troppo improvviso. Il Petrarca stesso lo capì, e decise di non forzare l'evoluzione spirituale dell'amico. Gli diede invece il suo prezioso aiuto in uno dei momenti più difficili della sua carriera di scrittore: intorno al 1360 il Boccaccio, in seguito a una crisi di coscienza, preso da turbamento per i reiterati inviti di un monaco certosino a pentirsi dei suoi peccati, aveva cominciato a giudicare come estremamente negativo il periodo della sua gioventù e aveva deciso di distruggere le opere che aveva scritto quando era ancora lontano dalla fede. Ma il Petrarca gli scrisse una lettera molto pacata e affettuosa che lo fece rinsavire, convincendolo a non commettere un errore così irreparabile, dato che le sue opere, pur se lontane dalla morale, avevano un così grande valore artistico che neanche il loro autore avrebbe avuto il diritto di distruggerle. Subito dopo, nel 1363, lo invitò a Venezia, dove la sua amicizia fraterna gli permise di superare definitivamente la crisi e di trovare il suo equilibrio spirituale, facendolo accostare alla fede con convinzione profonda ed allontanandolo dai fanatismi. Boccaccio dedicò gli ultimi anni della sua vita a studiare e commentare il poema sacro di Dante, riguardo al quale egli criticava la suprema indifferenza dell'amico Petrarca. Memorabili rimangono le letture della "Divina Commedia" che il grande novelliere tenne per incarico della Signoria di Firenze nella Chiesa di Santo Stefano. Dopo aver soggiornato a Napoli, egli, ormai minato nella salute, si ritirò nella sua casa di Certaldo, dove morì nel dicembre 1375, un anno dopo la scomparsa del suo "padre e maestro" Francesco Petrarca.

Rossella Maria Luisa Bartolucci
rbart@ciaoweb.it

 

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