Il
libro è come un viaggio senza il
peso dei bagagli
di Sabina Marchesi
Si dice di lui che Mare e Giungla sono
due parole che appartengono alla sua genealogia,
non v'è praticamente nessuno che
non abbia mai preso in mano o prima o poi
un suo volume, ciascuno, anche il lettore
meno diligente o appassionato, può
dire di conoscere almeno una delle sue opere,
che sia La Tigre della Malesia, o Il Re
del Mare, o Iolanda la Figlia del Corsaro.
Nacque a Verona, nell'Agosto del 1862 da
madre veneziana e padre veronese, ambedue
modesti commercianti. Nel 1878 si iscrisse
al Regio Istituto Tecnico e Nautico "P.
Sarpi" di Venezia, non terminò
mai gli studi ma, pur senza averne diritto,
si presentò spesso come Capitano
di Cabotaggio, giungendo perfino a firmare
con questo titolo alcuni suoi romanzi ed
a difenderlo in duello. Per essere un uomo
che seppe mirabilmente narrare di terre
lontane, di paradisi incontaminati, di mari
selvaggi, di giungle e isole, stupisce sapere
che non lasciò mai l'Italia, che
si spinse fino a Torino e a Genova come
massimo polo di esplorazione, e che compì
un solo unico e breve viaggio di mare nel
1880, andando su e giù da Venezia
alla Dalmazia fino a Brindisi per tre mesi
sulla "Italia Una".
Era uno scrittore ispirato che si documentava
minuziosamente in biblioteca e passava le
notti insonne a scrivere romanzi, saghe,
racconti ed episodi, forse il più
prolifico di tutti gli autori, se si contano
anche le innumerevoli opere del genere avventuroso
che scrisse sotto falso nome per aggirare
le clausole capestro impostegli dagli editori,
e cercare di arrotondare le entrate per
mantenere un tenore di vita dignitoso.
Pur essendo forse uno dei più famosi
scrittori italiani di tutti i tempi, visse
sempre in estreme ristrettezze, terrorizzato
dallo spettro della povertà al punto
da morire suicida in maniera atroce, quando
sentì di non poter uscire dalle sue
misere condizioni economiche e si avvide
che nessuno voleva o poteva aiutarlo, nonostante
fosse stato nominato Cavaliere addirittura
dalla Regina d'Italia.
All'età di soli venti anni vendette
il suo primo racconto ambientato in Papuasia,
pubblicato a puntate, solo nel 1883 iniziò
la collaborazione con La Nuova Arena di
Verona che pubblicherà i primi episodi
della Tigre della Malesia. Risale invece
al 1887 l'uscita del primo romanzo completo
in volume, La Favorita del Mahdi, all'epoca
tacciato di erotismo.
Ambientati in Malesia, nel Borneo, in Papausia,
in Australia, e ovunque nel mondo, i suoi
romanzi diventano presto famosissimi e imitatissimi,
tanto che ancora oggi ci si districa con
difficoltà nell'identificare correttamente
la paternità delle numerosissime
opere a lui attribuite, alcune delle quali
pubblicate postume, ad opera del figlio
Omar e del suo caro amico e sostenitore
Motta, che cercarono di imitarne lo stile.
Ebbe sempre grandissime difficoltà
che spesso gli imposero un compenso fisso,
invece del consueto contratto sui diritti
editoriali, al punto che neppure al culmine
della fama potè trarre beneficio
dalla gloria riscossa, costretto com'era
a dibattersi tra i debiti. Poco lungimirante
dunque o titubante sulle sue capacità,
compì frequenti cambi di editori
che ogni volta gli costarono un patrimonio
in penali contrattuali.
Nel 1892 sposò l'amatissima Ida Peruzzi
e nel 1894 si trasferì a Torino.
Qui, in quello stesso anno, pubblicò
per Paravia "Il continente misterioso",
ambientato in Australia, per Speirani "Il
tesoro del Presidente del Paraguay"
ed una collezione di racconti di mare, "Le
novelle marinaresche di Mastro Catrame".
Nel 1898 cambiò nuovamente editore,
sottoscrivendo un contratto in esclusiva
con le Edizioni Donath e si spostò
vicino Genova. Risale al 1896 il primo romanzo
del filone sui pirati occidentali, il famosissimo
Corsaro Nero.
Nel frattempo la famiglia si era allargata,
nel 1892 infatti, era nata la figlia Fatima,
nel 1894 Nadir, nel 1898 Romero e nel 1900
Omar. Purtroppo, le prime avvisaglie della
grave malattia della moglie incrinano la
felicità del matrimonio.
Nel
1900 uscì in volume le Tigri di Mompracem,
forse il romanzo più famoso di Salgari,
che segnò al contempo l'apica della
sua fama e l'inizio di una fase discendente
che lo avrebbe condotto al suicidio di lì
a pochi anni..
Tornato di nuovo a Torino, nel 1903 la moglie
fu costretta a un ricovero per problemi
mentali, nel 1906 è la volta di un
ulteriore cambio di editore. E' un periodo
di attività frenetica (ben 19 romanzi
scritti tra il 1907 e il 1911) e di grande
stress fisico e mentale, che vide Salgari
curvo giorno e notte sulla scrivania, nel
tentativo impossibile di adempiere alle
condizioni contrattuali, in lotta continua
con i debiti incalzanti.
Nel 1910 la salute della moglie peggiorò
bruscamente e lo scrittore tentò
il primo suicidio, fallendo. Nell'Aprile
dell'anno successivo, una sola settimana
dopo il ricovero della moglie in manicomio,
ripeterà il tentativo, questa volta
squarciandosi ventre e gola con un rasoio
affilato, e morendo suicida, come già
aveva fatto suo padre nel 1889 e come avrebbe
fatto suo figlio Romero nel 1931.
Lo avevano portato a quel gesto disperato
le difficoltà finanziarie, il rapporto
difficile con gli editori, il dolore per
le condizioni della moglie e la paura per
l'indebolimento della vista, che rischiava
di rendergli impossibile la scrittura .
Lasciò lettere vibranti di sdegno
e di accuse per gli editori e i direttori
dei giornali, e colme di affetto e di rimpianti
per i suoi familiari, agli editori disse:
"pagate voi per i miei funerali, voi
che mi avete affamato e lasciato morire
in miseria". Furono accuse pesanti
che scossero l'opinione pubblica e che radunarono
una vera folla il giorno del suo funerale.
La sua vita era stata sicuramente inadeguata
al suo talento ed al suo successo, i ragazzi
che partivano per la Tripolitania e la Cirenaica
scrivevano a casa citando le frasi dei protagonisti
dei suoi libri, il loro stesso valore, coraggio,
fedeltà, eroismo erano ispirati dalle
pagine dei suoi romanzi. In prossimità
del suicidio chiese sovvenzioni, aiuto,
ma nessuno rispose al suo appello così,
tutto solo, Salgari prese il tram, si recò
su una collina dove era solito fare merenda
con la sua famiglia, e si uccise sventrandosi
ventre e gola in perfetto stile giapponese,
come uno dei suoi eroi, rivendicando con
questo atto estremo onore e dignità.
Lo trovò una contadina, dopo che
il sangue aveva intriso la terra, ed egli
imitando lo spirito dei suoi personaggi
lasciò questo mondo dicendo a chi
lo aveva tradito: vi saluto spezzando la
penna, pagate almeno i miei funerali.
Nel complesso sono a lui attribuite ben
81 opere tutte del filone avventuroso che
egli seppe magistralmente rappresentare,
ispirandosi a tematiche eroiche e fortemente
moralistiche, esaltando il coraggio, il
disprezzo del pericolo, lo spirito di sacrificio,
la fedeltà ai valori di patria e
amicizia, la noncuranza per la ricchezza
e l'esaltazione dell'onore e dell'eroismo
sopra ogni altra cosa.
I suoi eroi sono giunti intatti fino a noi,
Yanez, Sandokan, Tremalnaik, Kammamuri,
Il Corsaro Nero, Iolanda, spiccano dalle
pagine ed incarnano perfettamente lo spirito
di un'epoca avventurosa e impavida e se
accuse di imprecisione sono state fatte
alle sue opere ciò si deve solo alla
poca accuratezza dei testi che egli consultò
per documentarsi, e non a sua imperizia
o mancanza, per cui possiamo annoverarlo
a pieno diritto nell'Olimpo dei Classici
come il vero padre del romanzo di avventura
italiano. (
Sabina Marchesi)