All'inizio
del '500 in Italia esisteva un uomo di
cui metteva paura anche soltanto pronunciare
il nome. Egli aveva disseminato il proprio
cammino di morti, aveva distrutto intere
famiglie, aveva messo la discordia fra
vecchi amici e alleati suscitando abilmente
tra essi invidie e rancori. Molti sostenevano
che lui fosse figlio del demonio. Si trattava
di Cesare Borgia, soprannominato il "Duca
Valentino". Grandissimi dunque furono
lo stupore e l'indignazione della maggior
parte degli uomini di quei tempi quando,
appena qualche anno dopo, quest'individuo
terribile fu commemorato con manifestazioni
di stima e di apprezzamento. Infatti così
scriveva di lui nella sua opera "Il
Principe" il grande scrittore Niccolò
Machiavelli: "Raccolte io, adunque,
tutte le azioni del Duca, non saprei riprenderlo;
anzi mi pare, come ho fatto, di preporlo
imitabile a coloro che per fortuna o con
l'arme d'altri sono ascesi all'imperio".
Cesare Borgia ritenuto imitabile e preso
ad esempio: queste parole suonavano assurde!
Chi aveva scritto ciò doveva essere
senza ombra di dubbio solo un pazzo o
un immorale. Ma Niccolò Machiavelli
non era né l'uno né l'altro:
egli si era solo soffermato a prendere
in esame gli avvenimenti da un punto di
vista differente da quello usuale, e li
aveva considerati con freddezza, lucidità
e limpidezza, senza lasciarsi fuorviare
da considerazioni diverse da quelle politiche.
I contemporanei di Machiavelli gridarono
allo scandalo soltanto perché non
avevano compreso il vero significato del
suo libro, che tra l'altro non conoscevano
per intero poiché esso fu pubblicato
per esteso solo dopo la morte dell'autore.
Il "Principe", in realtà,
in poco più di cento pagine scritte
in uno splendido italiano cinquecentesco
racchiudeva un nuovo concetto della storia
e della politica, e non voleva certo essere
un'esaltazione dei delitti e dei tradimenti.
Secondo il suo autore, la storia non è
composta di eventi che si succedono disordinatamente,
ma è come un fiume in piena a cui
però l'uomo con la sua libera volontà
può "fare provvedimenti con
ripari ed argini". Dunque sforzandosi
si può raggiungere un fine. E quando
si è Principi e quindi si ha tra
le mani il destino di un Paese, "non
bisogna fare niente che metta in pericolo
il proprio potere: perché è
il potere lo scopo a cui un principe deve
mirare". E' del tutto inutile, secondo
Machiavelli, porsi dei grandi ideali,
anche nobilissimi, se non si ha modo di
raggiungerli: prima bisogna fare tutto
il possibile per conquistare il potere
e mantenerlo. Così per Machiavelli
Cesare Borgia era un esempio di coerenza
per la sua carriera politica, poiché
usando secondo i casi l'astuzia e la forza
(cioè comportandosi "da volpe
e da lione") aveva mirato dritto
al suo scopo senza mai retrocedere. Perfino
i delitti, normalmente da condannare secondo
un punto di vista etico, in quest'ottica
si trasformavano in azioni del tutto logiche
che avevano un effetto perfettamente coincidente
con le intenzioni dell'autore. Ma come
poteva essere fisicamente un uomo così
spregiudicato da pensare ciò? Il
notissimo ritratto di Ser Niccolò
Machiavelli (un busto di terracotta che
si trova in Palazzo Vecchio a Firenze)
ci svela un viso aguzzo, una bocca sottile
che si atteggia a un tenue sorriso, un
naso lungo e diritto, due occhi vivacissimi
e sornioni, esprimenti un'insaziabile
curiosità. In effetti all'epoca
di Machiavelli le cose interessanti da
vedere erano molte, e la sua sete di conoscere
uomini e avvenimenti era ampiamente giustificata.
Egli nacque a Firenze il 3 marzo 1469,
nello stesso anno in cui Lorenzo de' Medidci,
detto il Magnifico, aveva assunto il potere
nella città. Era figlio di un nobile
che non possedeva molti beni e che tra
l'altro era esageratamente avaro anche
con i figli, che teneva a stecchetto.
Niccolò ricevette tuttavia una
buona educazione, e potè aspettare
l'età di trent'anni per scegliersi
una carriera, nonostante fosse già
sposato (e divenne padre di sei figli).
Nel frattempo studiava gli autori antichi,
prediligendo gli storici. Nel 1498, quando
Lorenzo de'Medici era già morto
da sei anni, fu nominato "Secondo
Cancelliere" della Repubblica Fiorentina.
Si fece presto onore, ottenendo incarichi
sempre più prestigiosi: come ambasciatore
ebbe contatti con le più rinomate
corti d'Italia e dell'estero, venendo
così a conoscere molte delle personalità
politiche più importanti dei suoi
tempi. Quando sostava in città,
tra un viaggio e l'altro, scriveva in
modo asciutto e scorrevole nella sua mirabile
prosa le sue esperienze di ambasciatore
e le sue osservazioni di storico attento.
Conduceva una vita attiva e ricca d'emozioni,
come aveva sempre sognato. Ma quando,
caduta la Repubblica, nel 1512 i Medici
vennero reintegrati al potere, la sua
carriera si troncò di colpo. Egli
si ritirò in una casa, detta l'Albergaccio,
vicino a San Casciano, dove lo scrivere
costituiva la sua unica consolazione.
Proprio in questo periodo videro la luce
le sue opere maggiori: "Il Principe",
la "Mandragola", novelle e saggi.
Scrisse anche molte lettere indirizzate
a persone dalle quali sperava di ottenere
un aiuto per avere qualche incarico nel
governo di Firenze: esse documentano la
solitudine in cui egli visse in quel periodo
e la sua sofferenza nel sentirsi escluso
dalla vita cittadina. Intanto cominciava
ad avere bisogni economici per mantenere
la famiglia. Dopo parecchi anni venne
finalmente "perdonato" dai Medici
e riuscì ad avere qualche incarico
ufficiale. Ricominciò a viaggiare
e ad annotare tutto ciò che le
sue orecchie a sventola avevano ascoltato
e i suoi occhietti curiosi avevano spiato.
Ma nel 1526 Carlo V, il famoso re di Spagna,
scese in Italia con le sue truppe: Machiavelli
collaborò attivamente alla difesa
di Firenze, ma, quando
arrivò la notizia del sacco di
Roma, il popolo si rivoltò e scacciò
i Medici. Con la loro caduta, lo scrittore
venne definitivamente allontanato dal
governo. Si ritirò dalla vita politica
stanco, amareggiato e ormai ridotto sul
lastrico: la sua salute, scossa dagli
strapazzi e dalle preoccupazioni trascorse,
peggiorò rapidamente ed egli morì
in breve tempo il 22 giugno 1527.
Rossella Maria Luisa Bartolucci
rbart@ciaoweb.it