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GIOVANNI
PASCOLI
(1855-1912)
di R.M.L.Bartolucci
Verso
il 1880 in Italia ci furono degli anni piuttosto
"caldi" e movimentati: frequenti
erano le manifestazioni di piazza di anarchici
e socialisti per protestare contro le dure
condizioni di vita dei lavoratori, e spesso
scoppiavano tafferugli. Nel 1878 a Bologna
durante una di queste manifestazioni venne
arrestato un giovane studente che non aveva
fatto in tempo a scappare. Egli rimase per
ben tre mesi in carcere in attesa del processo,
con l'accusa di "partecipazione a manifestazione
sediziosa e resistenza alla forza pubblica".
Al processo, però, il giovane fu
assolto con formula piena. I giudici tennero
in massimo conto quanto dichiarò
un testimone d'eccezione, il grandissimo
poeta Giosuè Carducci, di cui l'imputato
era l'alunno preferito. Certo, lo studente
Giovanni Pascoli senz'altro aveva partecipato
al corteo, ma era del tutto impossibile
che avesse commesso azioni violente. Chi
lo conosceva in profondità sapeva
che quel ragazzo pallido e dall'aria sognante
era la personificazione stessa della mitezza
e provava uno spontaneo orrore per la violenza,
poiché proprio della violenza era
stato vittima innocente.
La tragedia che aveva sconvolto la sua esistenza
aveva avuto luogo in una sera d'agosto del
1867, quando Giovanni era ancora un bimbo
di dodici anni. Fino ad allora la vita della
famiglia Pascoli era trascorsa felicemente
nella grande fattoria di San Mauro di Romagna.
Genitori e figli erano profondamente legati
da un grande affetto, e in questo ambiente
armonioso e sereno crescevano sani ben otto
ragazzi. Indimenticabili furono quei momenti
per Giovanni, indimenticabili la vecchia
casa tra gli alberi, il cortile e la grande
cucina dove ci si riuniva a tavola o accanto
al fuoco. Il padre era l'amministratore
della tenuta, e la famiglia viveva anche
in una certa agiatezza economica. Ma in
quella sera d'agosto quel bellissimo mondo
armonioso di affetti era stato spazzato
via brutalmente: un assassino, che rimase
per sempre sconosciuto e quindi impunito,
aveva ucciso il padre del Pascoli sparandogli
a bruciapelo. Quel delitto sembrava tanto
più feroce perché colpiva
un uomo giusto e mite, stimato da tutti.
Seguì a questo episodio una catena
di lutti. Dopo meno di un anno morì
la madre, disfatta dal dolore, poi una sorella,
poi altri fratelli. La famiglia si era decimata
e la miseria incombeva sui superstiti.
Molto sensibile, malinconico e pessimista,
in un primo momento il Pascoli non era stato
capace di reagire: chiuso nel suo dolore
viveva nel rimpianto di una felicità
perduta per sempre. Aveva continuato i suoi
studi a costo di incredibili sacrifici,
e per la sua intelligenza era divenuto il
prediletto di tutti i suoi maestri, che
gli profetizzavano un brillante avvenire.
Ma neppure gli incoraggiamenti più
autorevoli riuscivano a fargli guardare
al futuro con un po' di speranza in più.
Dentro di sé coltivava il culto del
passato: le immagini dei suoi cari ormai
scomparsi, della sua casa, della sua terra
e di quelle mille piccole cose che avevano
costituito il mondo della sua infanzia.
In questa prospettiva anche i fatti e gli
oggetti più comuni assumevano così
una dimensione inconsueta: quel particolare
giorno di sole, o quel fiore colto nel campo,
o quel canto di uccelli ascoltato a sera
prima che la mamma chiamasse per cena. L'amore
e il dolore gli facevano riscoprire e apprezzare
tutto ciò che agli occhi degli altri
può apparire insignificante.
Il giovane Pascoli ebbe qualche slancio
di entusiasmo solo durante i primi anni
di Università, quando gli ideali
umanitari del socialismo lo portarono a
credere nella possibilità di una
"fratellanza universale" di tutti
gli oppressi: fu allora che il gelo della
sua solitudine sembrò disciogliersi
nel calore della lotta comune. Ma ben presto,
disgustato dalle intemperanze di tanti irresponsabili
e provato dall'amara esperienza del carcere,
tornò al suo solito isolamento. Si
sentiva segnato dal dolore e vittima di
un'oscura persecuzione del destino alla
quale era inutile opporsi. Però pian
piano questo terribile pessimismo andò
attenuandosi: diventando uomo, era la vita
stessa che lo spingeva ad andare avanti.
Dovette lavorare, provvedere a se stesso
e agli altri familiari, insomma agire, fare
qualcosa, pur senza rinnegare la sua indole
di solitario e sognatore.
Nel 1882 si laureò in lettere e iniziò
ad insegnare, senza ambizioni di carriera,
mirando solo a procurarsi da vivere nel
modo più silenzioso. Così
si trovò a percorrere tutti i gradini
della sua professione, fino a ricoprire,
nel 1906, l'incarico più prestigioso:
quello di professore ordinario di letteratura
italiana all'Università di Bologna,
succedendo al suo antico maestro Giosuè
Carducci.
Quest'uomo timido e mite, oltre che grande
poeta, fu uno studioso di grande valore.
La sua conoscenza delle letterature classiche
era eccezionale, e il riconoscimento della
sua autorità in materia avvenne tramite
i premi vinti al "Concorso internazionale"
di Amsterdam, una gara annuale tra cultori
di lingua latina di tutto il mondo, che
sottopone al giudizio di una giuria di altissimo
livello composizioni poetiche in lingua
latina. Tale "olimpiade ideale"
con cui si intende rendere omaggio a una
grande civiltà del passato si svolge
ancora oggi. Pascoli vi riportò il
massimo numero di primi premi mai aggiudicati
a uno stesso concorrente, rivelandosi il
più grande poeta latino dei tempi
moderni. Questi onori mai sollecitati lo
resero meno timido della gloria e gli dettero
una serenità che fino ad allora gli
era mancata, anche se nella sua indole rimase
sempre lo stesso "fanciullo dolente"
di un tempo.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita
tra Bologna e Castelvecchio di Barga, un
piccolo paese toscano dove aveva comprato
una villetta e una vigna. Non si sposò
mai; fedele compagna della sua vita fu la
sorella Maria, da lui affettuosamente chiamata
Mariù, la sola che poteva condividere
con lui dolori e ricordi. E nella mano di
lei egli tenne la sua al momento della sua
morte, il 6 aprile 1912 a Bologna.
Rossella Maria Luisa Bartolucci
rbart@ciaoweb.it
Opere poetiche in lingua italiana:
Myricae (1891), Poemetti (1897), Canti di
Castelvecchio (1903), Primi Poemetti (1904),
Poemi conviviali (1904), Odi e Inni (1906),
Nuovi Poemetti(1909).
Opere poetiche in lingua latina:
Carmina (in due volumi pubblicati postumi:
1914 e 1930)
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