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Ugo
Ojetti (Roma, 15 luglio 1871 - Firenze, 1 gennaio
1946) è stato uno scrittore e un critico
d'arte italiano. Figlio di un architetto e restauratore,
e quindi educato all'arte, si laureò
in legge a ventuno anni, dopodichè si
dedicò prevalentemente al giornalismo
ed alla critica d'arte. Personalità di
vastissima cultura, scrisse per diversi giornali,
dall'Illustrazione italiana, alla Tribuna al
Corriere della Sera. Organizzò numerose
mostre d'arte, come esperto in particolare del
Rinascimento e del Secentismo, ma con interessi
che spaziavano fino alla pittura e scultura
contemporanea, e dette vita ad importanti iniziative
editoriali, come "Le più belle pagine
degli scrittori italiani" per l'editrice
Treves e la collana de "I Classici italiani"
per Rizzoli. Per il teatro scrisse, assieme
a Renato Simoni, la commedia in quattro atti
Il matrimonio di Casanova. Fece parte fino al
1933 del consiglio di amministrazione della
Enciclopedia Italiana.
Nei sette volumi che costituiscono la raccolta
Cose viste sono contenuti articoli da lui scritti
per il "Corriere della Sera" dal 1921
al 1943. Quelli scritti fra il 1904 e il 1908
per l'"Illustrazione italiana" vennero
invece pubblicati nei due volumi de I capricci
del conte Ottavio, usciti rispettivamente nel
1908 e nel 1910. Scritto con uno stile che si
pone fra la critica e il reportage, Alla scoperta
dei letterati, pubblicato ancora in giovane
età nel 1895, fu considerato, e come
tale fece discutere, un momento di analisi profonda
del movimento letterario dell'epoca ricavato
attraverso interviste a scrittori celebri dell'epoca
come Fogazzaro, Carducci, Matilde Serao e Gabriele
D'Annunzio.
Profondo conoscitore ed appassionato studioso
di arte, Ugo Ojetti ha pubblicato sull'argomento
diversi importanti libri: Ritratti di artisti
italiani (in due volumi, 1911 e 1923), I nani
tra le colonne (1920), Raffaello e altre leggi
(del 1921, La pittura italiana del Seicento
e del Settecento (1924), l' Atlante di storia
dell'arte italiana (due volumi, 1925 e 1934)
e La pittura italiana dell'Ottocento (1929)
e Ottocento, Novecento e via dicendo (1936).
Come scrittore di narrativa, Ojetti è
ricordato per i romanzi Senza Dio (scritto quand'era
poco più che ventenne nel 1894), Mimì
e la gloria (del 1908) e Mio figlio ferroviere
(1922).
Fondatore della rivista d'arte "Dedalo"
(uscita dal 1920 al 1933), Ojetti diresse a
Milano dal '33 al '35 "Pan", rivista
fondata sulle ceneri della precedente esperienza
fiorentina della Rassegna di lettere ed Arti
"Pègaso".
Nominato Accademico d'Italia nel 1930, Ojetti
è celebre anche per i suoi aforismi,
massime e pensieri, molti dei quali sono raccolti
nel volumetto Sessanta, uscito nel 1937, ma
scritto dall'autore per i suoi sessant'anni,
cioè nel 1931. Ne citiamo a titolo di
esempio tre che sono rimasti famosi: "Dì
bene del tuo nemico soltanto se sei certo che
glielo andranno a riferire", "Se vuoi
offendere un avversario, lodalo a gran voce
per le qualità che gli mancano"
"Amare col buio, dormire col sole, mangiare
in silenzio:tre sciocchezze", dove il cinismo
romanesco si unisce efficacemente ad una saggezza
senza tempo.
Colpevolmente dimenticato dopo la morte, anche
per l'enorme importanza avuta durante il fascismo,
Ojetti sta ritrovando una certa visibilità
e viene più frequentemente citato, specie
nella storia e critica d'arte, negli ultimissimi
anni. La sua ricca biblioteca (circa 100mila
volumi) venne donata nel 1977 da sua figlia
Paola, anche lei giornalista e dedicataria delle
Cose viste, al Gabinetto Viesseux di Firenze,
dove si trova tutt'oggi, come fondo Ugo e Paola
Ojetti.
Cose
viste di Ugo Ojetti
Mondadori, 1960 (ed.completa)
Avagliano 2003 (antologia)
296 pp. 11 euro
Un testo letterario può avere validità
e significato sotto vari aspetti. C'è
il valore letterario tout court, ma sicuramente
in molti casi c'è anche il valore
documentale, relativo a come l'autore ha
cercato di tracciare il proprio ritratto
personale di certe situazioni ambientate
in un'epoca particolare. Il valore documentale
è sempre presente nel buon giornalismo.
Più difficile è trovare del
giornalismo che abbia un significativo valore
letterario, specie al livello di quella
prosa d'arte che aveva tanta voga in Italia
intorno agli anni '20 ed anche successivamente,
e che fu in buona parte spazzata via dall'ondata
del neorealismo nel dopoguerra.
Un caso di scritti al confine tra giornalismo
da terza pagina e prosa d'arte è
fornito dalle "Cose viste" di
Ugo Ojetti, sette volumi di scritti vari,
di lunghezza abbastanza uniforme, oscillante
intorno alla decina di cartelle l'uno, pubblicati
dall'autore sul Corriere della Sera, di
cui fu anche direttore nel 1926-27. Delle
"Cose viste" esiste un'edizione
mondadoriana del 1960, in un unico volume,
la cui mole comprensibilmente intimidisce,
in quanto si tratta di qualcosa come 1500
pagine piuttosto fitte, che trattano
Beh,
un po' di tutto, e cercherò di dare
qualche saggio dei temi trattati nel seguito.
Romano autentico, Ojetti era una personalità
di spicco in diversi campi, dal giornalismo
alla critica d'arte e letteraria. Non si
professava particolarmente esperto di musica,
ed infatti cercò di trattarla con
leggerezza, anche quando incontra Giacomo
Puccini già malato ed ossessionato
dalla Turandot, che teme di non finire,
come infatti fu, o quando si imbatte in
Umberto Giordano, che valuta con bonomia
meridionale ed umanità dei cantanti
lirici per cercare di capire se abbiano
la "stoffa", ma per il resto dà
l'idea di avere una vastità di interessi
e di competenze non comune.
Gli anni delle Cose viste coincidono suppergiù
con il "ventennio". Fu fascista,
Ojetti? Di sicuro non fu un entusiasta ad
oltranza, certo fu un sostenitore, ma questo
si può dire di tanti scrittori dell'epoca.
Non mancava però di coraggio, nel
1925 scrisse un pezzo visitando l'amico
Salvemini incarcerato dal governo, pezzo
che poi la direzione del Corriere decise
di non pubblicare, nel 1928 esprimeva la
sua opinione di critico d'arte e di romano
sulla "liberazione" del teatro
di Marcello con la distruzione di piazza
Montanara, seconda piazza "a fiocco"
della topografia romana dopo piazza di Spagna,
professando il suo amore per quel luogo
caratteristico, pur se umile, della città
eterna. Certo, era un amante del classicismo,
anche nella sua versione un po' cinematografica
e cartapestacea dell'E 42 (o EUR, come si
dice oggi). Alla nascita dell'EUR è
dedicata una Cosa vista del 1938. E' l'angolazione
che è particolare, Ojetti riesce
a vedere la nuova zona dell'Esposizione
Universale dal convento delle Tre Fontane,
che è quanto di più sobrio
e meno declamatorio ci possa essere, come
riesce a vedere la fondazione di Littoria
(oggi Latina) dagli sguardi degli operai
a mensa. Parimenti descrive i Fori Imperiali
ricordando la sua conoscenza di una servetta
che abitava nelle demolende case di via
Cremona (via che esiste ancora oggi, ma
che delimita ormai solo gli scavi del foro
di Trajano, dove c'è anche quella
curiosa statua di Cesare, che indica col
braccio un certo balcone
).
Quindi c'è Roma, la Roma imperiale
del discorso mussoliniano seguito alla vittoria
in Etiopia, e la Roma del popolo, la gente
comune che sciama a conoscere il Parco di
Castelfusano nel 1932, la cosiddetta "pineta
di Ostia" appena aperta al pubblico,
e negli ultimi anni sciaguratamente bruciata
in buona parte da qualche delinquente, rimasto
impunito. E lo scritto su Castelfusano è
delizioso, lieve ed umoristico, pur nella
leggera coloritura retorica, c'è
la famigliola che fa un pic-nic, il marito
che fa inavvertitamente cadere a terra due
panini, la moglie che dice "Questi
adesso te li magni tu" e lui che replica
"Se lo sapevo, ne facevo cadere di
più". Ci sono anche i romani
vicini al Vaticano, che non più abituati,
scoprono dopo il Concordato del '29, che
si può andare, come un tempo, a rivedere
il Papa a San Pietro, ma dopo tanti anni
si è persa la tradizione, e tutti,
ad incominciare dallo stesso Ojetti, in
marsina dalle sette del mattino, sembrano
non sapere esattamente come ci dovrebbe
comportare davanti a quel pontefice tanto
vicino da sempre, ma volutamente recluso
in Vaticano per quasi settant'anni
E si parla del matrimonio del Principe Umberto,
il futuro "re di maggio", con
Maria José, ma ancora una volta visto
dalla porta di servizio, da quella popolana
che vista la giovane età e la prestanza
dei due sposi, si chiede quando lasceranno
da soli i "pori fiji" perché
facciano quel che natura vorrebbe.
Un grande giornalista di costume, insomma.
E la letteratura? Ci sono tutti gli scrittori
dell'epoca, come a vederseli davanti, c'è
D'Annunzio in tutte le sue varie forme,
dal poeta combattente al collezionista un
po' maniacale del Vittoriale al commosso
ricordo qualche anno dopo la morte, c'è
la notizia della morte di Pirandello portata
ai membri dell'Accademia d'Italia e la corsa
in auto verso la dimora periferica romana
del grande drammaturgo, ci sono Panzini
e Moretti nella loro Romagna, uno robusto
e vivace, l'altro allampanato e crepuscolare,
la spiaggia di Bellaria contro il porto-canale
di Cesenatico
, Matilde Serao che conciona
gli ospiti in dialetto e che ugualmente
in dialetto confessa e consola un'accorata
Eleonora Duse, uno dei ritratti più
umani del libro, Salvatore di Giacomo che
si lamenta della qualità della pizza,
già allora
e Vincenzo Gemito,
con la sua memoria inossidabile, oltre che
la sua notoria ed enfatizzata povertà.
E' come cercare di far sciogliere un libro
di letteratura o di storia dell'arte in
un bicchiere d'acqua, per farcelo meglio
digerire, allo scopo di cercare di avvicinare
gli uomini di cultura a noi lettori. Insomma,
è divulgazione allo stato puro, ed
anche per questo di interesse in una rivista
per tutti come Progetto Babele. Come tanto
giornalismo, va letto poco a poco, come
fu scritto, articolo ad articolo: un'overdose
creerebbe qualche problema di assimilazione...
Tuttavia, la maggior parte delle Cose viste
sono ancora godibili e vantano sempre qualche
zampata vincente, ed alcuni pezzi sono famosissimi,
come quello che inizia con "Odio il
punto esclamativo, questo cappello su una
testa molto grande", che prelude ad
un'interessante disquisizione su quando
sarebbe nata la necessità di esclamare,
che non esiste certo in Dante e Petrarca,
e sembra apparire dal nulla tra il Seicento
ed il Settecento. Ojetti, da buon critico
battagliero, dichiara la sua guerra personale
al punto esclamativo, come altri oggi hanno
dichiarato (per motivi di ritmo, dicono)
odio alla parentesi. Il sottoscritto, che
ama ed usa spesso l'uno e l'altra, rimpiange
però il garbo dell'argomentazione
ojettiana rispetto alla brutalità
delle regole di scrittura odierne
E gli viene un po' di tristezza, pensando
al tramonto della "terza pagina".
Ma penso non sia un caso che mi piacciano
le riscoperte. (C.S.)
a cura di Carlo
Santulli
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