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Simonetta De Bartolo Intervista
ANDREA MONETI


Chi è...
Andrea Moneti

Andrea Moneti, nato ad Arezzo, dove vive tuttora, ingegnere gestionale, ha pubblicato due romanzi storici, “Eretica Pravità”(ed. L’Autore Libri Firenze, 2004), primo premio nei concorsi letterari “Mario Soldati” e “Michelangelo”, e “1527”(ed. Stampa alternativa, 2005), evidenziando passione e rigore di studioso del Medioevo e del Rinascimento. Ha in preparazione altri romanzi. Collabora con il sito www.storiamedievale.net e cura la rubrica “Eresie medievali”.

 

Andrea Moneti è autore di:

1527
I lanzichenecchi a Roma

Anno 2005 - Stampa Alternativa
207 pp.
ISBN 2147483647

Leggi la recensione pubblicata sul sito

Allora… Chi è Andrea Moneti?
Andrea Moneti è un toscano, aretino per la precisione, che, nella vita di tutti i giorni, è un ingegnere gestionale. Ma questo non è che il “fare” della mia vita. “L’essere” è altra cosa, per fortuna. Sono una persona curiosa. Mi pongo molte domande e non ho che poche risposte. Sono una persona che si ostina ancora a credere ai valori dell’amicizia e della lealtà e che non sopporta l’ipocrisia e l’adulazione. Pur essendo toscano, quindi appartenente a una regione fortemente campanilistica, mi sento un cittadino del mondo. Nel meticciato non ci vedo nulla male e nessun pericolo, anzi può essere una ricchezza. Basta sapere chi sei e da dove vieni.

Quali sono le sue letture preferite?
Non amo un genere in particolare. Quello che leggo è frutto del momento. Non sono affezionato a scrittori se non a Forsyth (mi piace molto il suo modo di scrivere). Leggo un po’ di tutto, dalla narrativa alla saggistica, in particolare quella che ha per argomento il Medioevo e il Rinascimento. Se proprio devo ricordare alcuni autori, o libri, che mi hanno maggiormente impresso, posso citare, in un ordine puramente casuale, “Momo” di Micheal Ende, “Il nome della Rosa” di Umberto Eco (probabilmente l’unico libro che ha scritto: gli altri sono solo virtuosismi intellettuali, ma che hanno poco o nulla a che fare con la narrativa), “Q” di Luther Blisset (oggi i Wu Ming Fundation), “Destra e sinistra” di Norberto Bobbio, “Il diavolo nel deserto” di Jim Crace (dove dimostra una capacità descrittiva unica). Aggiungerei anche “La noia” di Alberto Moravia e “Il processo” di Kafka. Già che ci siamo, anche “La peste” di Camus e “Il mondo di Sofia” di Jostein

Gaarder.

Ci sono note la sua collaborazione con il sito www.storiamedievale.net e la sua rubrica “Eresie medievali”. Semplicemente appassionato o studioso? Da quanto tempo?
Sono un appassionato che, con il tempo, si è trasformato in uno studioso (ovviamente sempre per puro interesse personale). Questa passione della Storia, e del Medioevo in particolare, la porto sempre con me, fin da bambino.

Del mondo delle eresie medievali, cosa l’ha maggiormente attratto?
Vede, la Storia è tutto ciò che rimane, ma non necessariamente ciò che è stato. È sempre stata scritta dai vincitori. Dei perdenti nulla, o poco più, rimane e, quel poco che sappiamo di loro, a stento affiora attraverso le pieghe del tempo. Quando si parla di eresie, in primo luogo, si parla di “scelte”. Pochi sono coscienti del fatto che, al di là del significato negativo che il termine ha assunto nel linguaggio corrente, - linguaggio imposto da un’istituzione egemone, la Chiesa - il termine “eresia” deriva dal greco hàiresis, termine che, nel suo significato originale, significava, appunto, “scelta”. Per questo le eresie medievali suscitano in me un fascino intrinseco. Proprio perché si tratta di una Storia minore, marginale, ma non per questo meno avvincente. Storia, si badi bene, fatta da uomini e donne di popolo e che hanno compiuto “scelte” di vita distinte dal contesto socio-culturale egemone – contesto in cui, le più volte, potere civile e potere religioso erano schierati dalla stessa parte. Ogni ideologia o religione, intesa come istituzione, ogni verità e pensiero che assume il valore assoluto di un dogma, porta con sé i germi dell’eresia. Mi preme sottolineare anche che la libertà di pensiero, una conquista relativamente moderna, derivi, in parte, anche dalle “scelte” di questi uomini e donne, decisi a vivere e a interpretare liberamente il proprio credo. Questa ricerca, che traeva spunto da un malessere religioso di fondo e il cui denominatore comune erano l’esperienza del Vangelo, la tensione positiva verso i suoi fondanti motivi etici e morali, e la protesta contro la Chiesa feudale e feudalizzata, mai, se non in rari casi, ha avuto un carattere sovversivo. Direi che piuttosto si è contraddistinta per la sua mitezza rispetto alla dura repressione portata avanti “dall’ortodossia”.

Come riesce a far coesistere i suoi interessi ed impegni scientifici con quelli letterari?
E’ assai dura. Perché oltre all’impegno professionale, concorrono a rendere le cose più difficili anche i due miei figli, entrambi piccoli. Però, una volta iniziata, scrivere è un’esperienza a cui non puoi rinunciare.

Scrivere è…
Scrivo perché scrivere è emozione, azione e pensiero. Scrivo perché scrivere è un po’ come mettersi in cammino e intraprendere un viaggio dentro di sé. Scrivo perché scrivere è incontrarsi con i lettori, con gli altri. Forse la cosa più bella è proprio fare conoscenza con persone di ogni luogo e pensiero.

“Eretica pravità” è il suo esordio narrativo? Nel suo apprendistato, ci sono state precedenti esperienze letterarie?
Niente di particolare. Le solite cose. Pensieri, poesie, saggi, etc. Eretica pravità è stata la mia prima prova e fatica letteraria.

Cos’ha provato Andrea Moneti nell’essere premiato più volte per la sua prima opera?
Eretica pravità ha ottenuto oltre dieci riconoscimenti letterari. È indubbio e banale sottolineare la gioia immensa che ho provato ogni volta che è accaduto. Ma la cosa forse ancora più bella è aver potuto conoscere persone interessate impegnate nella cultura e stimolanti.

Nella letteratura italiana il romanzo storico per eccellenza è I promessi sposi di Alessandro Manzoni. L’ha tenuto presente nella stesura di “1527-I lanzichenecchi a Roma”?
A essere sincero, assolutamente. Piuttosto direi che del Manzoni, non so fino a che punto consapevolmente, ho tenuto conto del contenuto della sua famosa Lettre à Monsieur Chauvet. In particolare quando dice che la storia ci fornisce avvenimenti esteriori e conosciuti. In altre parole ciò che gli uomini hanno fatto. Ma non ciò che hanno pensato e i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e azioni. E tutto questo è dominio dello scrittore.

“Immagina il sapore del sangue/che inonda la bocca nell’ora della morte./Immagina la paura e l’odio,/tra il sibilo delle frecce e il nitrire dei cavalli” (così nella dedica di “1527”). Cos’è che, attraverso i secoli, rimane immutato nelle più terribili espressioni individuali e collettive di violenza?
Cambia la tecnica con cui si uccide, ma non il dolore e il terrore. Non c’è assolutamente nulla di nobile e di giusto nella guerra. Purtroppo la storia non insegna nulla. O forse l’uomo in definitiva è ancora un animale molto stupido. Provo un profondo disgusto e nausea tutte le volte che sento parlare di “effetti collaterali” quando qualche cosiddetta “bomba intelligente” colpisce innocenti. È un’espressione terribile, che trasforma l’orrore della guerra in un videogame.

Romanziere, storico e “giallista”. In che misura e in che modo ha bilanciato le parti per tessere la trama di “1527”?
“1527” è nato da un progetto preciso. Scrivere un libro sulla guerra, descrivere il suo vero volto. Spingere alla riflessione senza predicare, però. L’ispirazione l’ho avuta con la situazione odierna in Iraq e sul muro di incomunicabilità che è sorto tra Occidente e Oriente. Mi sembrava, però, fin troppo banale scrivere un romanzo ambientato, che ne so, nel periodo delle crociate, oppure ai giorni nostri. Ho pensato a una situazione simile. E mi è venuto in mente il famoso Sacco di Roma del 1527, per opera dei lanzichenecchi (ma non solo). Una città occupata e divisa tra le profonde divisioni tra protestanti e cattolici. Sembra la Bagdad di oggi, no? Per unire il vero con l’interessante, e rendere il romanzo ancora più avvincente e attuale, impiegando un linguaggio moderno e scarno, ho escogitato il thriller, lasciando i miei personaggi liberi di muoversi con le loro personalità, carattere e cultura.

Nel suo libro ci sono scene degne di un kolossal. Spera che sia preso in considerazione da un regista?
Molti, direi la maggior parte di chi ha letto “1527”, mi ha detto che il libro sembra una sceneggiatura di un film. La stessa cosa mi è stata detta per Eretica Pravità. Credo che poter vedere un proprio libro trasformato in un film, sul piccolo o grande schermo, sia il sogno nel cassetto di ogni autore. Non solo per la fama che ne deriverebbe e i diritti di autore. Ma anche per vedere in carne e ossa i propri personaggi. Se c’è un regista o uno sceneggiatore nei paraggi, spero che accolga la mia richiesta di aiuto!

Quanto la sua scrittura è spontanea e quanto “sotto stretta sorveglianza”?
La parte rigorosa del romanzo è senz’altro quella che riguarda le fonti storiche e l’ambientazione. Quando scrivi un romanzo storico, o comunque con del contenuto storico, l’ultima cosa che puoi fare è inserire delle inesattezze. Il lettore appassionato di questo genere ne è in caccia. Il resto, dialoghi, situazioni sceniche, sono state scritte praticamente in presa diretta. E rappresentano la parte spontanea del romanzo (fino a un certo punto, però, visto che la storia è un giallo).

Allo splendore del Rinascimento segue un’età di crisi profonda. Crede che nella storia ci siano realmente i “corsi e ricorsi storici” di concezione vichiana?
Sinceramente no. Ognuno è figlio del suo tempo. I ricorsi storici sono semplicemente il frutto della supponenza delle nuove generazioni, spesso incapaci di ascoltare chi le ha precedute. E questa mancanza di una visione storica ci impedisce di imparare dal passato per guardare con fiducia al futuro.

Quanto è importante, per uno scrittore emergente, conoscere la storia, la letteratura, l’arte e la politica?
Credo che sia fondamentale. Se non altro per avere argomenti da scrivere. E poi un libro non è mai un lavoro a sé stante. E’ sempre il frutto di un insieme di esperienze: dello scrittore, dei libri che ha letto, dell’editor e così via. Credo che non si possa scrivere se non si legge. Leggere è una condizione necessaria, preliminare per poter scrivere.

In Bel Ami Maupassant afferma che i giornalisti analizzano i libri “con quel colpo d’occhio pratico e quella maniera di vedere propria dei mercanti di notizie, degli spacciatori della commedia umana un tanto alla riga”. E’ d’accordo?
Sostanzialmente sì. Spesso criticano libri senza neppure averli letti. C’è molta presunzione e prevenzione. Del resto devono andare avanti sempre i soliti famosi “noti”. Bisognerebbe porsi la domanda come mai in Italia, paese dove si legge poco, rispetto agli altri paesi europei e di oltreoceano, ci siano così pochi autori emergenti. Non credo che dipenda dagli scrittori, ma dal sistema che crea caste intoccabili e impenetrabili.

Quali possibilità ha un esordiente di farsi conoscere? Quali sono le maggiori difficoltà?
Per un esordiente è quasi impossibile farsi conoscere. Le possibilità sono note e sono sempre le stesse: premi letterari, mailing, e case editrici disposte a scommettere sul nuovo (in realtà pochissime: Stampa Alternativa, in questo, è un’eccezione).

Secondo quali parametri si sceglie una casa editrice?
Dal suo catalogo. Vedendo quanti autori emergenti ha lanciato. Ma attenzione. Molte lo fanno solo per farsi pagare la pubblicazione. È bene verificare anche che abbia una buona distribuzione.

Fatta la scelta, si trova adeguata collaborazione? Consigli? Quali, per esempio?
Soprattutto il supporto e il contatto umano. Da lì si capiscono molte cose.

C’è, sempre, il personale addetto alla revisione pre-editing?
In poche. Anzi pochissime. Perché l’editing costa. Ma avere alle spalle un buon editor è fondamentale per la stesura di un buon libro. Direi essenziale. Perché l’editor ha la capacità di aggiungere alcuni accorgimenti necessari che, in genere, all’autore sfuggono.

Quanto tempo trascorre prima della pubblicazione?
In base alla mia esperienza personale, direi tra i sei e gli otto mesi.

Il suo prossimo romanzo?
Sono alla stesura finale di un thriller ambientato ai giorni nostri, che ha per protagonista un serial killer. Dopo aver scritto avvertivo la necessità di misurarmi con un genere diverso, anche perché mi hanno detto più volte che l’impianto di “1527” è un buon giallo. Poi ho già il materiale pronto per un nuovo romanzo storico, ambientato nella Comune di Parigi del 1871. In testa ho anche almeno altre tre storie. Ma ancora in fase più che embrionale.

Intervista già pubblicata su www.LaTelaNera.com.
per gentile concessione di Simonetta De Bartolo
e Andrea Moneti

 

inserito 19/03/07
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