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UNA
INTERVISTA DI SALVO ZAPPULLA
Intervista
a: TEA RANNO
La
voce dell'isola (da La Sicilia del
18/10/2007)
Dopo
il successo di "Cenere", la scrittrice
siciliana si ripresenta al suo pubblico, a distanza
di soli diciannove mesi, con un nuovo romanzo:
"In una lingua che non so più
dire" (Edizioni e/o 2007, pagg. 222
€ 17,00).
Una storia completamente diversa, contemporanea,
in cui la Ranno dimostra grande versatilità
di scrittura. Cenere è ambientato nel
Seicento e lo stile barocco si identifica con
la storia narrata."In una lingua che non
so più dire" racconta di stragi
mafiose, di attentati delle Br. Andrea, il personaggio
chiave del nuovo romanzo, è un giudice
combattuto tra Milano e la Sicilia, sua città
d' origine. Un uomo concreto, asciutto, severo,
che ha sempre saputo cosa chiedere alla vita..
Arriva per tutti il momento di saldare il conto
con il proprio destino, umili e potenti, e il
giudice si ritrova solo, colto da infarto, a
meditare sulla sua esistenza. I flash back della
memoria si snodano lucidi a rinverdire gli affetti
perduti. Un viaggio a ritroso nel tempo alla
ricerca dell'Isola Felice, l'infanzia, la spensieratezza,
i rimbrotti benevoli del nonno. E poi Teresa,
che incarna i sapori genuini, il profumo delle
frittelle, le conserve di pomodoro, gli anni
innocenti del liceo. Teresa si erge candida
e maestosa come la cima di una montagna imbiancata,
un gigante con cui confrontarsi. Teresa è
il rimorso, le crisi di coscienza, la polvere
che scivola dentro il pugno e non si può
più afferrare.
Le pagine del romanzo scorrono fluide, leggere,
sospese tra realtà e sogno. Tea gioca
a mescolare rimpianti e ricordi con grande scaltrezza,
ha la capacità di trasformare le parole
in suoni, sembra quasi di sentirlo lo scalpiccio
del mulo, lo stridere del portone arrugginito,
il vento che ulula. Anche le balbuzie del nonno
sono una brillante trovata letteraria, a rallentare
il tempo, a scandagliarne i frammenti ed estrarre
da esso tesori inestimabili. E poi il finale
amaro, come amari sono tutti i ritorni, quando
ci si illude di poter trovare le cose così
come si erano lasciate, sperando che le leggi
inclementi del tempo non le abbiano scalfite.
E invece...
E invece... Tea, partiamo proprio da questa
frase lasciata in sospeso: il tempo, il viaggio
a ritroso nella memoria. In questo romanzo ci
sono i ricordi, i profumi perduti, la nostalgia;
è una storia delicata e soffice come
una piuma, che scava nell'animo umano con un
profondo lavoro di introspezione. Ho colto nel
segno?
Sì, hai colto perfettamente. Mi piaceva
- scrivendo - giocare col senso di lievità
che è proprio di certi ricordi: la vaghezza,
quel loro farsi nebbia, nuvola, spuma di mare.
E il loro immancabile tramutarsi in macigno
quando la realtà si sostituisce alla
fantasia. Quello che racconto è un tempo
lieve che diventa di piombo mano a mano che
Andrea ripercorre lo spazio tra Milano e la
Sicilia, e torna ai luoghi dai quali era partito,
anzi, dai quali si era staccato con un taglio
netto, di quelli che non ammettono ritorni.
E per quarantadue anni era stato così:
il giudice si era alimentato di fantasie vaghe
e leggerissime, inventando per Teresa la vita
che lui stesso le aveva destinato: laurea, matrimonio,
figlie, vita mondana in una Londra letteraria
e irreale. Sogni che erano diventati la spina
dorsale della sua vita fasulla condotta a Milano.
E invece la sorte riserva tutt'altro.
Qual è il messaggio che il romanzo
vuole trasmettere?
Non credo che il romanzo abbia un messaggio
da trasmettere, almeno, non nelle mie intenzioni:
ho raccontato la storia di una partenza e di
un ritorno.
Una partenza che, nei propositi del protagonista,
avrebbe dovuto portare a una vita più
libera: il Continente, Milano, le donne, la
libertà sessuale, la partecipazione a
eventi di cui in Sicilia, spesso, giungono soltanto
gli echi. Una visione profondamente egoista,
perché il ragazzo Andrea all'inizio pensa
soltanto a se stesso. Certo, l'amore per Teresa
è una spina, ma qualcuno provvede a informarlo
che lei s'è già fidanzata e non
pensa certo a lui. Una menzogna. Che sarà
il fondamento di altre menzogne. E di menzogna
in menzogna la vita del giudice andrà
avanti, falsa "come può essere falso
un set cinematografico in cui si ubbidisce a
un copione che mette in scena la vita".
Poi c'è il ritorno. Una necessità
che nasce all'improvviso una mattina d'estate
in piazza Duomo. Andrea sente alcuni ragazzi
parlare nella lingua del suo paese e quelle
parole sono come rasoiate nello stomaco, acido
che sfalda la crosta delle abitudini e gli restituisce,
intatto, il mondo di quando era bambino. Il
bisogno di tornare - scansato per quarantadue
anni - diventa fortissimo, così Andrea
prende il treno (non l'aereo, no, ha bisogno
di avvicinarsi lentamente per non soccombere
a un impatto troppo violento con l'isola) e
ripercorre lo spazio che lo riporta all'origine
di tutto.
La scrittura. Sei passata da uno stile
barocco, molto ridondante, a uno più
asciutto ed essenziale. Quanto è importante
e professionale per uno scrittore avere questa
capacità di adeguare un linguaggio ogni
volta diverso alle proprie storie?
E' la storia che ti chiede di essere raccontata
in un certo modo. Quando ho scritto di Stèfana
avevo bisogno di uno stile ricco, visionario,
fortemente evocativo, capace di ricostruire
il mondo di stucchi e parvenze nel quale si
muovono i secenteschi personaggi di Cenere.
Questa di Andrea e Teresa è una vicenda
ambientata nel duemila, il linguaggio doveva
essere necessariamente diverso, più attuale,
altrimenti la storia non sarebbe stata credibile.
Andrea è un personaggio di grande
spessore, riesce da solo a sostenere tutta l'impalcatura
architettonica del romanzo, anche se poi con
lo scorrere della pagine cresce e giganteggia
la figura di Teresa, il personaggio femminile,
quasi ad annientarlo. E' stata una tua precisa
scelta?
No. In genere non c'è nulla di predeterminato
nei miei romanzi. La storia evolve secondo la
sua necessità: a differenza di Cenere,
in cui avevo chiarissimo l'inizio del romanzo,
in questa di Andrea sono partita dal cuore:
avevo scritto un racconto che poi è diventato
la parte centrale della narrazione, e intorno
a questo nucleo ho cominciato a tratteggiare
l'intera vita dei due protagonisti. Andrea è
colui che ritorna, quello che ha tanti conti
da saldare. Teresa è quella che aspetta.
Ma è anche la donna che incarna il sogno.
E i sogni, si sa, sono lievissimi. Ma pesanti
come macigni quando, con gli occhi aperti, si
torna alla realtà.
E' più importante nella vita essere
Teresa o Andrea?
Potrei dire che sono il tanto di bianco e di
nero presente in ognuno di noi: l'evanescenza
e la concretezza, l'amore grande e il compromesso
con la realtà, l'ideale e la prosaicità.
Se però dovessi proprio scegliere: meglio
Teresa. E' più importante, nella vita,
abbandonarsi alla passione, con tutte le conseguenze
che comporta, piuttosto che trascinarsi dentro
una vita falsa, in cui non ci si riconosce assolutamente.
Per gentile concessione di
Salvo Zappulla e Tea Ranno
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