GLI
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Idealmente, la letteratura fantastica,
che si tratti di fiaba, fantasy
o fantascienza, vuole assolvere
il compito, non modesto né
semplice, di chiarire i principi
che fanno muovere ed agire il
genere umano (la morale altro
non è, se non un insegnamento,
spicciolo quanto si vuole, ma
spesso onesto e limpido, anche
se non privo di implicazioni psicanalitiche,
come si sa). Non mi riferisco
semplicemente ad una visione didascalica
della letteratura che credo Paolo
Durando troverebbe riduttiva.
Penso piuttosto che, nel momento
in cui si parla prepotentemente
di crisi della fantascienza, scientifica
od umanistica che sia, opere come
questo romanzo doppio ci riportino
un po' alle premesse che hanno
fatto sì che gli scrittori,
interrogandosi sul progresso e
sulla vita umana, concepissero
di spiegare l'uno e l'altra con
la propria capacità di
immaginazione e di predizione
del futuro, in una parola con
la fantasia.
La fantasia è un po' estrapolazione,
dai progressi della chirurgia
e della genetica si riesce per
esempio a prefigurare i successivi
stadi che saranno raggiunti dalla
bionica, come dalla mongolfiera
si potevano immaginare i viaggi
interplanetari. L'estrapolazione
è un procedimento semplice
(basta prendere una curva e continuarla
fino oltre i bordi del foglio,
della stanza o della mente, a
nostro piacimento), ma va applicato
con premesse rigorose per dare
risultati credibili. Invece, quel
che è successo nel campo
della fantascienza, specie cinematografica,
è che si siano spinti dati
scarni (o, se preferite, punti
molto dispersi) fino alle estreme
conseguenze, senza curarsi del
fatto che le estrapolazioni fatte
avessero senso, punto per punto,
cioè affermazione per affermazione,
esercizio pignolo, ma necessario
alla riuscita dell'operazione.
Tuttavia, la fantasia è
anche introspezione: in questo
caso, come nel libro di Durando,
il principio che muove l'elaborazione
fantastica dei dati reali parte
dall'interno dell'uomo, dalle
conoscenze antropologiche. Potremmo
essere, e forse siamo, nel campo
di quella fantascienza, che alla
scuola antropologica di Poul Anderson,
per fare un nome, ha trovato una
nuova ragione di esistere, ma
il sincretismo romanzato che ci
offre Durando ha anche altri ingredienti.
Mahalabrint è la storia
di Almina, un nome che suggerisce
un'ingenuità non infantile,
ma poetica, e della sua presa
di coscienza del mondo fantastico
che la circonda, un mondo senza
tempo, fatto di tecnologia, ma
anche di poesia, di filastrocche,
ma anche di macchine complesse
per usi antichi, anzi atavici.
Qui gli stucchi floreali e la
coloritura mitologica si confondono
in una natura non soltanto rigogliosa,
ma ispiratrice e filosoficamente
descritta.
E' il continuo divenire della
natura di Empedocle e di Lucrezio,
un divenire che ispira la prosa
di Durando, dove le parole sono
scelte per sovrapposizioni diacroniche,
che non sono mai casuali, ma indicano
la volontà e la necessità
di andare a fondo, di immergersi
in una spiegazione unitaria, ma
flessibile e perfino volubile,
se non capricciosa, dell'evoluzione
del mondo.
Capire dove va il mondo ci porta,
forse inevitabilmente, a discutere
di una possibile fine del mondo,
quell'apocalisse rappresentata
infinite volte dagli scrittori
di fantascienza, spesso in verità
con esiti discutibili. Riflettere
sulla Fine della Storia porta
invece Durando, con voluta e consapevole
sublimazione letteraria, a meditare
sul silenzio, un concetto che
ricorre, e può essere ancestrale,
profondo, perfino normale (aggettivo
insolito in un mondo che tende
al caos), ad indicare che la sorte
necessaria del mondo è
di seguire un proprio ciclo di
Surk, mentre il destino, o forse
la maledizione della maggior parte
degli esseri umani è quella
di ignorarlo e di confondersi
fino a stordirsi in illusioni
di progresso. Nel Ciclo di Surk
il positivismo appare per quel
che tragicamente è, una
metafora del mondo atta ad acquietare
le incertezze filosofiche e le
pulsioni verso la conoscenza,
più che ad aiutare l'introspezione
ed il riconoscimento di sé
nel cosmo.
La capacità di linguaggio
di Durando sono fuori discussione,
come è accurata, anche
filologicamente, la scelta dei
nomi di persone e cose, senza
il quale non c'è ricostruzione,
fattuale o mitologica, che tenga.
Volevo soltanto notare la capacità
di contaminazione da diversi generi
dell'autore, con la possibilità
di spaziare da registri di fiaba
a sottintesi psicologismi un po'
landolfiani fino alla disperata
allegria di certa letteratura
sudamericana, a volte nel corso
della stessa frase (trovo emblematico
un periodo come "L'amica
preferita di Larospa era una donna
piccolissima, dallo sguardo perso
in una felicità insensata,
che ad ogni parola reagiva come
se la facesse ridere un sacco
e piegava il volto radioso verso
mondi interni e stupiti; Larospa
era sua padrona e le teneva la
mano e le parlava"). Dove
però il gioco si fa duro,
come in certi luoghi del ciclo
di Surk, dove l'Olocausto si affaccia
come sterminio programmato originato
dal totalitarismo, Durando sa
essere distaccato, ma partecipe,
anche al limite della commozione.
Il suo stile è ben lontano
dal cinismo di certa letteratura
contemporanea, e vuole non solo
descrivere gli incubi, ma spiegare
il processo mentale e storico
che li produce, in un testo solido
e costruito con robustezza, ma
non privo di gradevolezza ed anche
di apprezzabili spunti poetici,
i grandi assenti (purtroppo) di
molta fantascienza di oggi, che
con l'ingenuità di Almina,
ci fa piacere riconoscere e salutare
uno ad uno in quest'opera.
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