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Luoghi del Novecento - Studi critici su autori italiani (Pavese, Volponi, Guerra, Bevilacqua,Piersanti)
di Alessandro Moscè
Pubblicato su PB15
Anno
2005-
Marsilio
Prezzo €
14-
160pp.
Collana Ricerche ISBN
8831786091
Una recensione
diCarlo Santulli
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"La próima paróla ch'a i ò sintói/tla mi vóita/la è stè: "du vét?" (La prima parola che ho sentito/nella mia vita/è stata:/"Dove vai?").
Sono versi del poeta romagnolo Tonino Guerra, e dipingono in poche parole un destino comune a tanti poeti e scrittori, specie se nati in provincia: andarsene dal luogo di nascita, per poi farlo misura di tutta, o di buona parte della loro espressione artistica. Non è casuale, per esempio, che le poesie più alte di Leopardi siano state composte nella lontananza da Recanati: solo la distanza stabilisce quel rapporto irripetibile e privilegiato con la terra natale, che è uno degli elementi da cui l'arte si sviluppa.
Tuttavia, in questo studio di Alessandro Moscé, c'è anche un altro centro, oltre che il distacco dalla provincia, intorno al quale si coagulano le considerazioni critiche, ed è il fatto che tutti i cinque scrittori presentati sono sia poeti che narratori, una “doppia natura” che a volte la critica percepisce come una limitazione, un "peccato" forse. Ed aggiungiamoci, per completezza, anche altri "peccati", per esempio che uno scrittore finissimo come Paolo Volponi sia stato un dirigente industriale, quindi non uno del "settore", e che un narratore di solido mestiere e di notevole profondità come Alberto Bevilacqua abbia avuto dal pubblico quel riconoscimento che meritava, solo successivamente trovando una sufficiente attenzione dalla critica.
Ne esce uno studio interessante che spazia da figure poco note, come Umberto Piersanti, a scrittori di cui sembrerebbe di saper tutto, come Cesare Pavese, ma di cui si parla meno, una volta scomparsa o quasi la generazione dei loro coetanei, e di cui specialmente si tende a soffermarsi pigramente su pochi dati, come sono nel caso di Pavese il senso panico della morte e la crisi ideologica. Moscé vuole recuperare il completo profilo umano e letterario di queste figure del novecento, proprio sfruttando la dicotomia “poesia-narrazione”, che spesso è solo apparente, come in molte prose poetiche sparse qua e là in questo saggio.
Poeti e narratori dunque, e non soltanto: anche scrittori che devono strappare alla loro vita, che "li obbligherebbe a fare tutt'altro", come diceva acutamente di sé un altro poeta "anomalo" del '900, Leonardo Sinisgalli, il momento per riflettere e per creare. A questo punto, ci rendiamo conto che la distanza non è solo fisica, c'è anche un percorso da fare per colmare il dislivello tra le esigenze della vita e quelle più profonde dell'espressione e dell'anima. E per avvicinarsi alle emozioni più intime, bisogna far riferimento più alla poesia o ai tratti più poetici nelle opere in prosa, dove l'inganno della struttura è più lieve e non riesce a nascondere quel profondo malessere, che si può mutare al contrario in un radicamento, dato dall'appartenenza ad una terra, magari lontana, e spesso mutevole col nostro animo. E’ la "terra giusta", ma in fondo ignota, nelle parole di Alberto Bevilacqua. La poesia assolve, quasi senza volerlo, lo scopo di conservare la terra e le anime e cose che più inconsapevolmente la compongono e la spiegano, dall'ubriaco che gironzola smarrito, alla monaca che rivolge un frammento di specchio verso il mondo, alle Cesane intatte, alle storie dell'Oltretorrente, ed agli uomini che la fabbrica rinchiude per non renderli più. E attraverso tante immagini di voci in apparenza tanto diverse si costruisce una riscoperta più profonda e più vera del nostro Novecento, con lo scopo, non solo di attrarre, ma di rendere partecipe il lettore di emozioni che pensavamo confinate in un passato atavico ed invece sono ancora con noi.
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