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Credo che una delle fissazioni del nostro Meridione, ma forse (tristemente), di tutta Italia, ad eccezione di qualche zona un po' più industrializzata (ammesso che ne esistano ancora), sia l'insistenza con le proprietà taumaturgiche di una laurea (ma anche di una mezza laurea, e perfino di un'iscrizione ai corsi) in giurisprudenza. Laurea che fa diventare “avvocati”, il che non significa necessariamente praticare la carriera del Foro, ma permette anche, perché no, di entrare in politica, oppure, più semplicemente, ma naturalmente in modo più oscuro e modesto, di intraprendere una carriera impiegatizia. La laurea che apre tutte le porte, chi non lo sa? E questo era tanto vero negli anni '50, come oggi, temo. Nemmeno letterariamente, comunque, era necessario laurearsi: Guido Gozzano veniva chiamato avvocato, come confida in una composizione, più o meno velatamente autobiografica, come “La signorina Felicita”, senza esserlo.
Così, nel bel romanzo di Corrado Ruggiero, “Gennarina”, il più recente di una serie dedicata alla sua città natale, Nocera, che comprende “Nuova Nocera York”, “Rossa Malupina”, “Ballata nucerinese”: “ [...] gli studenti ai quali, per consolidata usanza paesana, bastava che si scrivessero all'università di Napule, Facoltà di Giurisprudenza e issofatto acquistavano diritto al titolo. Una selva adunque di avvocatoni mezzavvocati avvocatielli avvocaticchi paglietta e aspiranti al titolo in cui era facile sperdersi e d'onde, una volta sperduto, non uscivi più” (p. 53). In una cittadina con aspirazioni ad una notorietà e fisionomia almeno provinciale, in competizione con il capoluogo “Salierno”, come Nocera, il notabilato locale assume queste complesse forme di catalogazione e di appartenenza di classe, con sfumature forse comprensibili forse solo dagli autoctoni: non mancano i bar, o circoli, con nomi incongrui, come Tropicana, dove i commenti sulle ragazze si mescolano alla discussione politica e localistica, a formare una sorta di idea del mondo.
E, a parte la classificazione degli avvocati, ritagliata volutamente sulla tassonomia degli ommini, mezzi ommini, omminicchi e quaquaraquà, da “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia, il breve estratto centra l'obiettivo sugli interessi letterari di Ruggiero, lo studio sociologico di Nocera, anche se ammorbidito dall'ironia spinta spesso fino al sarcasmo, la ricerca linguistica, che ne fa in certo senso un Camilleri salernitano, con in più una consistente spinta verso l'arcaismo, purché espressivo, e lo studio dei personaggi, che raggiunge degli eccellenti risultati sulla protagonista, Gennarina Menniello, un'adolescente inquieta e intelligente, anche se maschera la propria personalità dietro quell'”ingrifatezza” di carattere, e probabilmente, ma significativamente, trascurata e sottovalutata dalla sua famiglia, proprio rispetto al fratello “avvocato”, cioè studente in giurisprudenza e politico in nuce, tanto autoreferenziale quanto velleitario. Un simbolo di quella discriminazione è la bottiglia, che Gennarina deve, all'uso antico farsi riempire dal vinaio sottocasa, ad un'ora ed in una quantità diversa, secondo i capricci (o le esigenze) familiari, cioè del fratello “avvocato”.
Essere selvatica, “spruceta”, insomma ingrifata, è un'ancora di salvezza e di ricerca di un maggiore spazio di libertà, anche nelle uscite a Napoli (perché naturalmente Gennarina finirà studentessa in giurisprudenza anche lei, e di vocazione, al solito, è meglio tacere) e nell'amore, tanto timido (e timoroso) ed ormonale, quanto proprio per questo realistico, con Totonno. Cosa cerca Gennarina? Non certo la stupida trasgressività, fesseria post-sessantottina di cui fatichiamo a liberarci. In realtà, cerca un terreno su cui muoversi e da cui partire, conscia che la propria famiglia non può agire che come un freno tirato sulla sua vita e sulla sua personalità. Non mi stupisce che “Gennarina” sia stato proposto, purtroppo senza successo, per la selezione finale del premio Campiello. Ruggiero ha le idee chiare su cosa vuole descrivere, come vuole farlo, e del linguaggio da usare in ogni caso: racconta Nocera da lontano, e, come spesso accade, una certa presbiopia della scrittura aumenta la profondità di comprensione, cosicché l'autore riesce ad ottenere, a volte anche con qualche battuta, mai estranea al contesto, una notevole continuità di tensione narrativa, il che permette di raccomandarlo senz'altro per la lettura.
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