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Geules Noires (Musi Neri)
di Monica Ferretti
Pubblicato su PB9
Anno
2006-
Editore Nonsoloparole.com
Prezzo €
11-
96pp.
Collana Saggi e pensieri ISBN
8888850384
Una recensione
diCarlo Santulli
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Geules noires = facce nere. Sono le facce dei minatori che lavoravano nelle miniere di carbone belghe, nel distretto di Charleroi. Molti di questi minatori erano italiani, emigrati in virtù di quel Protocollo italo-belga del 1946, che in cambio della fornitura di manodopera, anche non qualificata (molti di loro non avevano, per loro stessa ammissione, mai visto una miniera prima), ci dava un diritto di prelazione sul carbone belga, di cui l'Italia aveva disperato bisogno nel primo dopoguerra, per motivi energetici ed anche per far ripartire l'industria meccanica pesante, per esempio la siderurgia. Un trattato di cui uomini politici da ambo le parti vanno tuttora fieri, ma che somiglia sinistramente, come osserva l'autrice, ad una compravendita di schiavi: tra il 1946 ed il 1956 50000 italiani affluirono in quella zona del Belgio. L'8 agosto 1956 la tragedia di Marcinelle, originata forse dall'incomprensione tra un minatore italiano ed un belga e che probabilmente sarebbe stata scongiurata, in presenza di misure più moderne di sicurezza, pose fine in modo drammatico al lavoro in miniera, come disciplinato dal Protocollo del 1946. Marcinelle ha segnato un'epoca ed é stata seguita da un'ondata di commozione ed indignazione che ha condotto, almeno nell'Europa Occidentale, ad una disciplina del lavoro più umana, troppo tardi purtroppo per i 262 minatori, tra cui 136 italiani, morti nell'incendio della carboniera del Bois du Cazier.
Un grande merito di questo libro è quello di cercare di capire che vita facessero in Belgio nell'immediato dopoguerra quegli emigrati italiani, stipati in baracche costruite per i prigionieri di guerra, trattati con diffidenza e sospetto a volte dalla popolazione locale, per i salari inferiori che erano disposti ad accettare. Come dice l'autrice, questa storia viene narrata dai minatori stessi e dai loro familiari, cercando di ricostruire una delle tante vicende dolorose di emigrazione che fanno parte integrante della storia dell'Italia almeno dall'Unità in poi: narrare insomma per sfuggire alla dimenticanza. Non si deve dimenticare, non solo perché questa é la storia da cui veniamo, ma anche perché quella della miniera, del lavoro minorile e dello sfruttamento non é una storia conclusa, passata definitivamente agli archivi. Ci sono molte parti del mondo (l'autrice cita l'Ucraina e la Cina) dove le miniere ancora funzionano, e con criteri non più moderni di quella del Bois de Casier, sicché purtroppo incidenti di maggiore o minore entità si riproducono in continuazione. Inoltre, l'Italia oggi accoglie una vasta immigrazione, e le sofferenze incontrate dai nostri emigranti ci fanno capire i pensieri contrastanti che passano nella mente di coloro che, cercando di sfuggire alla miseria, bussano alla porta di un paese più ricco, e le difficoltà della loro vita di ogni giorno. Mi ha colpito il commento di vari minatori, che gli Italiani furono più rispettati dalla popolazione locale, dopo che tanti di loro erano morti per il Belgio a Marcinelle. E' una constatazione dura ed amara, anche se commovente e sempre attuale, oggi che dalla cultura della tolleranza stiamo cercando, con tante difficoltà, di arrivare ad una reale comprensione tra gli uomini. Quest'anno, 2004, aprirà anche un museo al Bois du Cazier, altro segno che non si vuole dimenticare Marcinelle, e oggi, passando per la zona di Charleroi le colline coniche di carbone sono coperte di vegetazione, dopo più di quarant'anni dalla chiusura delle mines, ma il dolore rimane su quei luoghi come un monito.
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