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Più semplice di quanto sembrassimo
di Fabrizio Pizzuto
Pubblicato su PB16
Anno
2003-
Prospettiva Editrice
60pp.
ISBN
Una recensione di
Claudia Feleppa
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Media
80.47%
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Opera prima di uno studente di storia dell’arte, classe 1975, che spende una cinquantina di pagine per 9 racconti. La raccolta si apre con “Lasciatemi perdere” (frase che campeggia, rosso su bianco, anche in copertina come sottotitolo) e in tutta franchezza dopo qualche pagina si sarebbe quasi tentati di accogliere l’invito. Ma perlomeno in questo primo racconto l’autore cerca di uscire, nemmeno dall’autobiografismo, ma proprio dall’IO che grava su tutte e 9 le storie senza lasciare spazio a nessun personaggio che abbia un’autonomia propria, un respiro.
I protagonisti di “Lasciatemi perdere” sono due uomini: uno che possiede una stanza, l’altro una valigia. Si parla di un amore finito e della strano rapporto che, complice una porta lasciata aperta, si viene a creare tra i due uomini sconosciuti:«L’uomo con la stanza da dentro la stanza lo sa, lo sa bene, intuisce che l’uomo con la valigia è lì fuori e sa che tornerà… non cerca d’entrare, ma perché? La cosa gli sfugge, decide di lasciare la porta semi aperta, per poterlo spiare, di farlo sempre… ma questi non fa nulla, mai, nulla che non sia essere lì».
Le premesse non erano cattive, ma per costruire la storia l’autore tenta la difficile carta di una scrittura onirica, simbolica. Insiste sui colori: giallo, nero, fucsia. Ma alla fine una certa pochezza che coinvolge tanto la lingua, quanto il contenuto riduce il tutto ad un composto confuso in cui il fatto di nominare sogni, simboli ed ossessioni non li rende per questo veri.
Se volessimo cercare un fil rouge in questa raccolta, direi che è una sorta di diario intimo in cui l’autore sfoga “astratti furori” e si lascia autosuggestionare da un certo erotismo. Tuttavia anche chi sfogliasse queste pagine ricercando i piaceri del voyeur rimarrebbe probabilmente deluso perché, nonostante le intenzioni, la scrittura non è abbastanza incisiva: «Il prossimo fotogramma mostra il viso di Frankestein disegnato a china, poi una scopata a pecorina tratta da un fumetto di Robert Crumb, poi una donna che fugge di schiena, la minigonna si alza, il sedere in vista, il tratto è di Manara, forse di Crepax, non saprei…».
Nel penultimo racconto “Ripresa”, Pizzuto sembra svelare le ragioni del suo scrivere: «Posso concepire la narrazione come un infinito presente, o un passato o chi se ne frega, magari come una tela, un’interiezione, una sola minuscola perla in mezzo alle parole che non servono se non che a leggermele, come un ingresso inaspettato, come cose che non avvengono mai e non succederà se non lo dici…[…] Poi non voglio essere più chiaro di così perché magari siete in grado di travisare in qualche bella maniera che mi sarebbe piaciuto aver previsto, può darsi che possa esserci un silenzio interessante dentro a queste parole; non voglio perdere l’opportunità, non voglio essere così del tutto ego…»
È evidente che l’autore prova un autentico piacere per la scrittura, un gusto tutto personale che però raramente riesce a trasmettersi al lettore, il quale si ritrova perplesso all’ultima pagina chiedendosi in quale “bella maniera” avrebbe mai dovuto travisare questo scritto, ma soprattutto…perché?
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