Il primo confronto che l'Uomo ha con la morte è nello sguardo rivolto al corpo di un defunto. La curiosità nei suoi confronti è un elemento che caratterizza la sua vita fin dall'infanzia, non per una sorta di macabra perversione, ma perché nulla come la sensazione del confronto visivo con la morte, ci fa sentire vivi, sopravvissuti1. Nella mente umana, la visione della morte scatena una serie di sensazioni estreme, che ci allontanano da quel quotidiano livello di razionalità su cui siamo soliti orientarci: quella della morte è, infatti, l'ultima soglia per eccellenza, aldilà della quale, l'intero sistema delle nostre certezze non esiste più.
E' in questo modo che Claudia Covelli introdiuce il lettore al proprio Saggio, ponendolo immediatamente, senza alcun elemento di tergiversazione, nella realtà sociologica, ed anche antropologica, che muoverà le trame fitte della propria trattazione.
Ed è l'omicidio, il primo attore del saggio, il peggiore dei crimini, nato con la comparsa stessa dell'uomo sulla Terra, che costituisce sicuramente uno dei mezzi letterariamente e storiograficamente più "affascinanti" di induzione alla morte.
Da millenni azione politica ed elemento persecutorio in grado di coinvolgere osmoticamente i membri della medesima collettività.
L'autrice, nel saggio, con arguzia e bravura cerca di porre domande interessanti, sondandone in maniera tutt'altro che scontata il ventaglio di risposte plausibili: perchè si uccide? Perchè l'essere umano è coinvolto nella visione dello spettacolo di un omicidio?
Del resto proprio quest'ultima domanda, crea una serie di interrogativi su decine e decine di telefilm e film di successo che sugli omicidi hanno creato la fortuna di produttori e sceneggiatori.
Lo spettacolo della morte, dunque, da rappresentazione tragica nell'antica Grecia, ad elemento ludico e di intrattenimento ai giorni nostri, passando per i giochi gladiatorii dell'antica Roma, divenendo strumento di potere giudiziario nelle esecuzioni di piazza nei prodromi dell'Europa moderna.
Su queste analisi Claudia Covelli, col suo saggio, cerca di stimolare il lettore ad un dibattito scevro da pregiudizi o luoghi comuni stimolando un dibattito su un tema senza tempo.
Perchè la fragilità umana rende la morte sacra ai nostri occhi,sorretti come siamo da un fragilissimo e caduco equilibrio.
Sebbene il saggio costituisca l'origine di una tesi di laurea, il suo linguaggio non è appanaggio esclusivo di dotti conoscitori della materia, anzi è aperto ad un pubblico vasto attratto dai molteplici volti che l'omicidio può avere osservandolo spettacolo della morte.
Lo studio dell'autrice, parte dall'analisi del racconto di Franz Kafka: "Nella colonia penale", scritto nell'ottobre del 1914.
Esso si apre con l'arrivo di un visitatore straniero in un'imprecisata colonia penale, nella quale, per mezzo di una sofisticatissima macchina progettata da un vecchio comandante ormai scomparso, sta per essere eseguita la condanna a morte di un soldato accusato di indisciplina e oltraggio a pubblico ufficiale.
L'esecutore della condanna è proprio un ufficiale, legato al vecchio Comandante, ideatore del marchingegno mortale.
Lasciandosi accompagnare da un "pretesto letterario", l'autrice ricuce senza compromessi tesi ed ipotesi sullo spettacolo della morte e sui suoi aspetti politici, con una brillantezza ed un'esperienza che i saggi a volte non riescono ad avere, non annoiando il lettore, conducendolo con vivo interesse sino alla fine.
Il pathos creato dallo spettacolo dell'esecuzione scaturisce, quindi, dal "duettare" del boia con la morte e con le emozioni che essa provoca su chi partecipa al rituale; questo è, però,un gioco pericoloso che può trasformarsi in miracolosa cerimonia catartica, ma anche distruggere quella rete di rapporti umani sulla quale si reggono la società e le istituzioni.