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Negli occhi dell'altro
di Rossella Vezzoli
Pubblicato su PB17
Anno
2003-
Edizioni Seb 27
Prezzo €
12-
104pp.
Collana Tamburi di carta ISBN
n/a
Una recensione di
Claudia Feleppa
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Votanti:
1227
Media
80.89%
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Questo breve romanzo si inserisce in scia ad una serie di titoli, il più noto probabilmente “The hours” di Michael Cunningham (premio Pulitzer), che si collegano più o meno dichiaratamente all’opera di Virginia Woolf. Testimonianza ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, di come, a più di 60 anni dalla sua scomparsa, la Woolf rimanga a tutt’oggi maestra insuperata, punto di partenza e di arrivo per molti autori contemporanei; questo perché, come ha scritto un acuto critico, «gli scrittori di tutti i tempi sono sempre moderni, e continuamente riletti».
“Negli occhi dell’altro” si sviluppa su due livelli narrativi: da una parte la contemporaneità, in cui tre protagonisti, Pietro, Francesca e Micòl, intrecciano le loro vite ed intraprendono un viaggio insieme, in aereo, verso l’Asia; dall’altra ci troviamo alle prese con un Orlando medievale, in «cotta di maglia e armatura scintillante», incaricato da Luigi il Santo di recarsi in ambasceria dal Gran Khan. Il punto di contatto tra le due storie è Micòl che nelle parole di Francesca «prova empatia con una scrittrice morta», ovvero Virginia Woolf, e vuole raccontare a suo modo la storia di Orlando: «cercai un volto tra gli altri, qualcuno che avrei amato comunque. E fra tutti scelsi una donna dallo sguardo profondo e meraviglioso, ecco: con quegli occhi scuri avrei desiderato davvero guardare il mondo, anche solo per un istante. Scelsi una scrittrice di imperdibile talento, scelsi Virginia Woolf. Una che avrei potuto riconoscere anche soltanto dalla camminata. Naturalmente per vedere con i suoi occhi non potevo che scrivere. E scrissi».
Centro del libro è il topos del viaggio, considerato strumento di conoscenza di sé e degli altri, tanto che Francesca, personaggio che incarna la razionalità, e che di mestiere fa la psicologa, alla domanda perché abbia accettato di seguire gli altri due, risponde:«Per comprendervi, solo vivendo insieme ci si può comprendere».
Tuttavia nel libro rimangono diversi punti irrisolti: perché Pietro costringe le due donne a seguirlo con una pistola? È pazzo? E se lo è perché né Francesca, né Micòl sono minimamente spaventate?
Questi personaggi rimangono perennemente sospesi su una nuvola rosa, non sembrano avere mai alcun tipo di problema, sanno in partenza che atterreranno sul morbido: Micòl e Francesca volano tranquillamente per sette ore in un aereo guidato da quel Pietro, paziente di Francesca, che le ha costrette a seguirle sotto la minaccia di un’arma e intanto si raccontano la storia di Orlando; mancano soltanto tè e pasticcini e infatti, appena atterrati, glieli offrirà uno sconosciuto incontrato in un autobus scalcinato di Taskent. Quest’uomo diventerà subito il «dolce angelo custode del loro viaggio» e inviterà i tre nella sua casa in riva al mare a condividere «tè e dolci orientali».
Mentre visitano Buckara Francesca è seguita da un gruppo di bambini arabi… ladruncoli, mendicanti? Macché, vogliono solo invitarla a giocare con loro una partita di pallone! Nei luoghi che i tre attraversano gli abitanti sono sempre socievoli e festosi, l’aria profuma di glicine, nessuno ha paura, fame, freddo, caldo o sete. Addirittura in Tibet un giovane monaco si dice grato ai tre perché gli permettono di ascoltare la storia di Orlando raccontata da Micòl.
Orlando nel frattempo affronta avventure non dissimili da quelle di Pietro, Francesca e Micòl. In una sorta di tour delle celebrità medievali incontra nientemeno che la pulzella d’Orleans, Jeanne D’Arc, in fuga dalle prigioni inglesi e Percival, il cavaliere della tavola rotonda alla ricerca del Santo Graal. Orlando intrattiene una breve relazione sentimentale prima con l’una e poi con l’altro, già perché nel frattempo, proprio come l’Orlando della Woolf, anche questo è diventato una donna e tra un sonnellino e l’altro sta attraversando secoli di storia. Ciononostante Orlando è ben deciso a portare a termine la sua missione, ovvero l’ambasceria presso il Gran Khan:«Il Gran Khan era un uomo dalla voce profonda fu davvero felice del dono di Luigi, il biliardino da tenda, e sostenne che quello era il suo gioco d’azzardo preferito. Poco gli importava che Luigi fosse un sovrano di secoli prima, gli importava molto del suo sforzo per la pace che senz’altro apprezzò».
Orlando si rimette così in viaggio per la Francia, carico di doni e si ritrova per la seconda volta di fronte ad un drago dispensatore di enigmi, unica autentica minaccia incontrata nel suo viaggio. Orlando e il suo seguito se la cavano grazie ad uno specchio:«prima che il drago riuscisse a guardarsi tutto, coda compresa e ali, si era alle soglie della seconda guerra mondiale».
Dopo poche righe però siamo di nuovo alla corte di Luigi il Santo, senza una spiegazione. Forse il drago era uno snodo temporale?!
Insomma, alcune perplessità rimangono, come anche il dubbio che senza il punto di riferimento costante dell’Orlando della Woolf di questo della Vezzoli non si capirebbe granché.
E ciononostante si ha l’impressione che più che al modello esplicitato della Woolf, l’autrice in questa sua scrittura favolistica, voglia dialogare con un altro grande scrittore della nostra letteratura: il Calvino delle situazioni ariostesche (“Il castello dei destini incrociati”; “L’Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino”) e dei viaggi orientali (“Le città invisibili”). Tuttavia, in questo libro non c’è traccia dell’ironia sfuggente di Calvino ed ancora meno della sua esattezza, ovvero nelle parole del narratore de “Il castello dei destini incrociati”:«l’ostinazione maniaca a completare, a chiudere, a far tornare i conti»… almeno un po’.
Una recensione di Claudia Feleppa
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