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Rumore dal Nulla
di Leonardo Moro
Pubblicato su PB8
Anno
2003-
Il Foglio
100pp.
ISBN
Una recensione di
Roberta Carbonetti
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<< Non puoi comprarlo. Ed io non ho coraggio[…] >>. Moro sembra smentire le sue stesse parole dimostrando, con ogni verso sprezzante, con i suoi << calci contro il vento >>, il coraggio di chi ritrae se stesso senza modificare i tratti, senza addolcire gli spigoli. Una poesia autentica, un verso crudele, a volte stridente, dotato di un’infallibile capacità di trasmettere stati d’animo. La poesia di Moro arriva a colpire lo stomaco, riesce a produrre rumore, ma chi sa se si tratta davvero di << rumore dal nulla >>. Il rumore delle parole di Moro proviene dall’attrito tra una vita quotidiana deludente e difficile da accettare, e le speranze di un’anima che grida la voglia di realizzare se stessa. L’attrito crea insofferenza, rifiuto. La vita è una sequenza di giornate, di persone, di abitudini che l’autore si ferma ad osservare << a distanza di sicurezza >>, una distanza che funge da difesa e che non costituisce vero distacco. Sono troppo vibranti, troppo intense le parole di Moro per trasmettere distacco. L’occhio attento e critico dell’autore riesce a cogliere l’assurdo e l’insensato che infondo riempie ogni esistenza, la ciclicità ed il vuoto delle abitudini con cui ci si àncora alla vita, ci si sente parte di un gruppo, si perde, ma si crede di trovare, la propria identità. << La gente non può stare senza sabato pomeriggio. Finisce per morire. >>,l’autore rimane dietro un vetro ad osservare il via vai dell’altrui esistenza, rifiutando di “infilarsi nella propria vita”, temendo forse di perdere la capacità di osservare se stesso ed il mondo percependo alterità, temendo forse di confondersi con ciò che critica in modo aspro. Eppure l’aspra critica tradisce amare venature, amaro senso di auto-esclusione da quei riti tribali che annullano la coscienza di sé, ma soffocano la solitudine, stordiscono i sensi. Lontano dalle “pratiche tribali”, in fuga dall’ “etica del gruppo”, libero ma sofferente, Moro si rifugia nella letteratura. << Devo solo prendere una direzione. […] >>, continuamente l’autore si ripete che deve raccogliere le forze per tracciare un percorso, per cominciare ad addentrarsi nelle vie del mondo e sceglierne una, renderla propria, farne il proprio ritratto: per ora l’unica via è la letteratura. La sua letteratura è ricerca, è ammissione, è contestazione, è identificazione, è, essa stessa, vita. L’autenticità del sentire non lascia spazio alla forma, alla struttura, alla costrizione, ma si esprime in modo diretto, caratteristica che rende più nitida la percezione sensibile di quanto l’autore intende trasmettere. Le << urla addomesticate >> sarebbero troppo limate per trasmettere messaggi taglienti. Tra i messaggi taglienti di Moro il lettore si riconosce, s’immerge con emozione sincera tra le righe del vissuto, si riscopre più fedele a se stesso.
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