"...e solo all'anima musicale appare
spesso melodico ed espressivo lo stormire dei boschi,
il fischiare del vento, il gorgheggio
dell'usignolo."
(Novalis)
La canzone d'autore è arte. Un'arte altra rispetto alla poesia, ma che si serve anch'essa della parola come mezzo espressivo di universi di significato, immagini e sensazioni. Questo il fulcro dell'indagine di Talanca, che prende le distanze da un progetto didascalico a favore di una lettura di più ampio respiro della poetica dei cantautori considerati. La stessa analisi metrica è immersa in un contesto di più vasta lettura, metodologia accorta, che permette movimenti più agevoli all'interno di un'indagine che non vuole essere solo contrappunto strutturale o pedissequa ricerca di identità celate dietro i personaggi, bensì osservazione trasversale dell'uso della parola nelle sue plurime declinazioni e significati. La parola come punto di contatto tra reale e fittizio, vita ed epica, noi e l'altro. Una ricerca di percorsi possibili del racconto, un tentativo di svelamento di significati che sapientemente i cantautori considerati riescono ad esprimere nei loro testi. Come Rimmel (Francesco De Gregori)è filo conduttore della tematica del trucco, del gioco, a tratti dell'inganno, così ogni parola del grande Gaber è soppesata, satura di significati contestualizzati e imperituri.
Una polisemia semantica che si fa epica e rende cantori di un'esperienza comune, laddove la cosmogonia privata diviene universale e così appare sintomatico il riconoscimento tra chi ascolta, legge e chi scrive. Una poesia che forse serve ad esorcizzare in qualche modo il bagaglio esperenziale ed emotivo che ognuno porta con sé, che si tratti di amore, illusione, infanzia.
Piacevolmente l'autore accorda la poetica musicale a padri letterari di calibro superlativo quali Gozzano, Pasolini, Saba, in un gioco di rimandi che rende l'analisi ancora più appassionante e profonda. La Venere di Rimmel rimanda a Montale, l'imperituro mito di Euridice da Vecchioni a Rilke, passando per Pavese. Fino a Gaber e alla sua Far finta di essere sani, che in modo inquietante rimane sempre attuale e di nuovo gioca il rapporto tra finzione e realtà, su quel labile filo che ci lega alla percezione dell'altro da noi e che ci fa essere (o almeno provare) noi stessi nonostante tutto.
Un'epica, in seconda battuta, che si genera e rigenera, confluendo in narrazioni nuove, quasi a sottolineare la ricorsività naturale dell'umana vicenda, il ripetersi di eventi, che tempi e luoghi modificano e rileggono. Così Vecchioni si dice burattinaio di archetipi letterari a cui carpire un significativo tratto, per poi mescolarli in quel che è la sua poesia e render loro nuova vita, nuova luce. Allo stesso modo si evince la possibilità di rimandi tra un cantautore e l'altro a dirci che ad un'analisi semantica compiuta non giova una settorialità matematica, né una pretesa di esaustività. Così Talanca riesce, compiendo scelte strategiche, ad illustrare tematiche ed immagini che permettano di riconoscere l'arte altra ai cantautori senza che il suo lavoro pecchi di incompletezza rispetto ad un ambito di produzione estremamente vasto.
Il testo risulta scorrevole, piacevole e per di più svincolato dalla struttura sistema-libro, come precisa l'autore stesso, pertanto fruibile a piacimento, ulteriore nota di merito.