«Sono nato pugile, con la testa da pugile, il modo di camminare da pugile e tutto il resto. Al cento per cento. Non al settanta o al novantanove. Al cento per cento, signori miei. E uno così, in questo mondo di pugili al sessanta e all’ottanta per cento, fa baldoria, credetemi».
Un reportage in cui la narrazione diventa trascendenza esistenziale: ciò che si racconta, sotto la scorta di un microfono infilato nell’anima, di una telecamera che non sa farsi mai sguardo da parte, non è solo la storia di un ex campione di pugilato, Dino Carrisi, e delle sue vicende da vero sotterraneo, reduce di sottosuoli squallidi e successi patinati, in un mondo fittizio che finisce sempre per fare scempio dei suoi eroi; e non è nemmeno la storia di un’intervista, messa in atto dal vibrante giornalista Dean La Palma, che, come creatura impennata a ridosso dei grandi, si dimena sul divano di casa di Carrisi, di quel perduto campione mutilato, alla ricerca del grande scoop e del successo personale.
Cento per Cento è la storia di un ritrovamento, di un collante saporito appostato sui resti di una vecchia composizione deflagrata, è la storia di un riconoscimento o di un restauro, per dirla come volete, di una scena surrogato dell’originale.
Dino Carrisi è un pugile, campione del mondo per ben due volte, immigrato italiano in quel continente oltre oceano, noto per essere la patria dei profeti che ci credono, che è ben oltre l’essere creduti; quell’America del self made man, che sfida le leggi di ogni destino tracciato, e che, pur nella resa, sferra l’ultimo colpo al banale rovesciamento della sorte. Finito in carcere per l’omicidio della moglie, da innocente, da dieci anni vive reietto in casa, fra alcool e droga, come un oggetto rotto che non viene buttato ma che si mette, forse, in bella mostra come cimelio del fallimento. Finché non decide, alla fine di quelli che si credono i propri giorni o semplicemente per un’urgenza dell’anima, di concedere un’intervista, l’ultima confessione di un malato che necessita la revisione, in nome di ogni redenzione possibile, del proprio indecente abitacolo.
Ammetto la perplessità nel recensire una storia che veicolasse l’adattamento di una intervista- mi sono chiesta cosa potesse esserci di meno originale di un tale artifizio letterario-, che avesse fra l’altro come soggetto, la storia di un ex pugile. Pugile? Cosa c’è di meno poetico, di meno delicato, di questo sferrare colpi, della battuta su sangue e ossa, cosa può dire il gesto della violenza? Anche un recensore vuole le sue affinità, esige un richiamo a sé dalla scrittura, è una colpa endemica. Ma il talento dell’autore, Sacha Naspini, si fa maieutica nei confronti del mio limite banale.
L’autore mi ha convinto, fin dalle prime pagine, che con “gli occhi dell’anima”, sia possibile scorgere un’autentica bellezza, che non necessariamente passi per il sacro, ma che sappia smerigliare da ogni possibile profanazione del socialmente consueto, anche in deroga di quell’articolo 8 del contratto fra intervistato e intervistatore : niente esternazioni fuori luogo. Di fuori luogo alla fine, resta il decentramento che fa l’uomo comune quando scambia per verità ogni rivestimento apparente del reale.
Così, nel raccontare al giovane giornalista la sua vita piena di chiasmatiche combinazioni, Dino Carrisi si presenta nei panni di un pugile- farfalla, dalla vita leggera e rovinosa, come quella di ogni organismo dal sistema immunitario debole, che sa di morire presto, nella foresta dell’omologazione sociale.
Così, che meraviglia, direi, quella misura dell’anima, il Cento per Cento lo è, che totalizza senza soffocare una vocazione possente: il pugile è un bambino che nell’angolo l’ha messo la vita e ci prova lo stesso, a battere più forte di lei, come si battono i denti dal freddo, come è battuta una madre da un padre violento, come batte lo stomaco per la fame, le mani se si applaude, il capo se si è distratti, il cuore, quando si è vivi.
Non è mica uno sport, il pugilato, non si impiega il tempo, lo si misura. La cosa non si esaurisce nel quadrato bianco con le corde: “il combattimento è perenne” perché la vita stessa è quello spazio dove due angoli si incontrano al centro ed il cuore “è nelle mani”, di lì passano le cose che vanno bucate, perforate, ogni volta che picchiano troppo forte. Colpire, che non è picchiare, è invece, attraverso le vicissitudini del protagonista, metafora del vivere: “un santuario personale”, il ring, ogni volta che si tratta di rispondere sulla “figura”, all’ennesimo furto che compie la vita. Per sottrazione di felicità, Carrisi non rinuncia mai alla ripresa, perché un cento per cento è un lottatore seriale: fino all’ultimo, quando si tratta di cedere anche il cuore, il cento per cento si pronuncia colpo su colpo: si concede anche l’ultimo sipario, per fare testamento, il più importante che sta tutto in quel “non ho bisogno del mare” .
Perché il mare si sa, non è addestrato alla stasi, tutto fremito, con la sua mania del movimento, dello scavo che riporta a galla i relitti. Il mare è roba da giovani, per chi cerca transiti e non pianure.
Ma chi si sente alla fine, di qualcosa e di cosa non importa, resta immobile. Fermo come una montagna, che soprattutto se è piena di neve, va tenuta all’ombra.
E, in uno snodo di micidiale competenze stilistica (dell’autore) e di saggezza post sbornia da una vita alcolica (del protagonista), l’intervista finisce con l’ingresso in scena di un deus ex machina che porta una soluzione al male dell’incoscienza. Una scatola. Qualche foto. Lettere. E di più. Molto di più.
Perché cosa resta da vincere, in titoli e riconoscimenti, se non quello di un figlio che può finalmente chiamarti padre?
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Sacha Naspini è nato nel 1976. Il suo ultimo romanzo è I Cariolanti (Elliot, 2009). Nel 2010 ha pubblicato per Perdisa Pop il saggio Noir Désir. Né vincitori né vinti. Collabora con diverse realtà editoriali, ricoprendo i ruoli di editor, correttore di bozze, concept e grafico esecutivo. Il suo sito web è: www.sachanaspini.eu