Il titolo è senza dubbio accattivante, per quanto non troppo originale: Benedetta Marietti ha dedicato un articolo pubblicato su “La Repubblica” il 3 dicembre 2011 al fatto che “I titoli dei libri si assomigliano tutti”, e quelli contenenti l’aggettivo “segreto” vanno davvero forte. Deve aver ragione se, nel giro di poco tempo, abbiamo visto “Il linguaggio segreto dei fiori” (Garzanti), “La scuola degli ingredienti segreti” (Garzanti), “Gli ingredienti segreti dell' amore” (Feltrinelli), “La cucina degli ingredienti segreti”(Corbaccio),”Il gusto segreto del cioccolato amaro”(Sperling) e di sicuro molti altri non citati dalla giornalista.
Abbiamo quindi un titolo che strizza l’occhio al marketing editoriale per questa raccolta di undici racconti che parlano di donne alle prese con esistenze dure, difficili, spesso tragiche.
L’intenzione è senza dubbio buona, così come gli spunti, ma il tono tende a salire un po’ troppo spesso sopra le righe, con frequenti scivoloni nel melodrammatico, così che le vicende narrate perdono, a tratti, in verosimiglianza.
Purtroppo, l’autrice sembra volutamente ignorare le più elementari regole della scrittura, quelle che si possono trovare in un qualsiasi manuale di consigli per esordienti: la collocazione della punteggiatura è un po’ troppo disinvolta, la spaziatura dei paragrafi è di fantasia e abbonda l’uso errato dei tempi verbali, soprattutto in quei racconti che contemplano la tecnica del flashback. In queste condizioni, diventa veramente difficile, per il lettore, seguire il filo logico di una narrazione che passa in continuazione da una vicenda all’altra, ma raccontandole tutte nello stesso modo, senza quell’uso differenziato dei verbi (la famosa “consecutio temporum” che ci faceva sudare ai tempi della scuola…) che, collocandole in un corretto rapporto tra loro, consente al lettore di orientarsi nello sviluppo della trama. (Questo è evidente soprattutto nel racconto “Il geraneo spezzato”)
In altri racconti, il vezzo di scrivere frasi senza soggetto (come ad esempio “Percorse la lunghezza infinita della navata della chiesa”, incipit del racconto “Leggendo le lacrime”) si unisce a cambi bruschi di prospettiva e di persona - che in un racconto breve andrebbero evitati, o almeno sottolineati graficamente in modo appropriato, lasciando uno spazio bianco tra i paragrafi oppure inserendo asterischi o qualche altro segno di interruzione. A titolo d’esempio: nei primi tre paragrafi di “Leggendo le lacrime”, incontriamo un personaggio che viene descritto come un uomo con moglie e figlia, ma il quarto paragrafo che inizia bruscamente con un: “Cinzia richiuse dietro di sé la pesante porta imbottita”. Questa variazione andrebbe quantomeno segnalata con una spaziatura, perché il cambio repentino di soggetto e di collocazione stravolge del tutto la narrazione.
Sicuramente un lavoro di revisione più accurato da parte dell’autrice e, soprattutto, un buon servizio di editing (cosa che purtroppo le piccole case editrici che pubblicano gli esordienti non offrono quasi mai), avrebbero potuto portare alla pubblicazione di un testo migliore, valorizzandone gli spunti positivi che, comunque, ci sono.