La storia dei libri, dei condottieri e delle grandi imprese, la storia dei ricordi delle nonne, la storia dei Grandi e la storia dei piccoli...la storia siamo noi, recitava il poeta.
Ed è questo tipo di storia che non fa storcere le labbra al lettore.
Proprio come quando egli ha tra le mani “l'omo delinquente” di Enrico Oliari.
un libro, questo,di quel genere che bisbiglia quanto gli altri non raccontano, presi come sono a fronteggiarsi sul campo minato della memoria condivisa, o della storia mai scritta dai vinti.
Oliari si tira fuori da questa stucchevole diatriba, narrandoci in un libro a metà strada tra il saggio e la cronaca, la storia che nessuno ha interesse a farci conoscere. Quel Nessuno che tutela lo status quo, che è arbitro dell'inevitabile, del così è e basta.
Oliari parla di omosessualità.
Il suo non è un racconto di psicologia spicciola, ma,traendo spunto dalla cronaca nera e quella giudiziaria, ci dimostra che “non è sempre stato così”.
Vè stato un tempo, in cui, in un passato preunitario, in Italia la condizione di “diverso” era accettata e tollerata molto più d'oggi.
L'autore tratteggia profili ed atteggiamenti che in passato hanno dato vita a comportamenti diversi, nei confronti della omosessualità, diversi da quelli di una società apparentemente emancipata ed “aperta” come quella dell'epoca in cui viviamo.
Oliari opera sul campo fornendo materiale nuovo, svelandoci un repertorio rinchiuso negli archivi dei tribunali e nelle redazioni di quotidiani locali.
Col suo linguaggio, scarno e lineare, si distacca dai sofismi delle trattazioni accademiche e dall'ipocrisia di certo giornalismo di costume moderno, l'autore
ci racconta i fattacci di cronaca nera senza l'occhio indiscreto della pruriginosa curiosità della nostra società.
La sua discrezione, infatti, nel lasciar parlare i giornalisti dell'epoca, aiuta il lettore, omo o etero che sia,nel formarsi una coscienza storica propria sul fenomeno della diversità in Italia.
A corredo d'una narrazione semplice e priva di inutili orpelli, molte immagini, d'epoca, che ci avvicinano alle radici di ciò che eravamo, che ci mostrano luoghi che ancora oggi esistono, col loro corredo d'una memoria a volte scabrosa e non facilmente accettabile, perchè allora non esisteva alcun movimento che potesse fornirci il punto di vista del diverso, se non l'inchiostro dei rotocalchi o delle cronache giudiziarie.
La Storia che leggiamo nell'omo delinquente, è quella di storie lontane dalle luci della ribalta, di storie che non appartengono ai personaggi famosi, di storie che probabilmente sarebbero state vite normali di coppie gay e lesbiche, condotte nell'ordinarietà a costo della propria sopravvivenza, celate dalla cortina fumosa, ma necessaria, dell'equivoco presunto e della discrezione. Storie che hanno avuto la malasorte di scontrarsi incidentalmente con la vita degli altri, e per questo finite in faldoni di carta, impolverati, prima d'esser stati portati nuovamente alla luce, e d'esser rivissute con l'occhio smaliziato dell'uomo e della donna del ventunesimo secolo.
D'essere, innanzitutto, raccontate.