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L' esperienza della pioggia
di Stefano Lorefice
Pubblicato su SITO
Anno
2006-
Campanotto Editore
Prezzo €
9-
64pp.
collana Zeta line ISBN
8845607801
Una recensione di
Alessandro Canzian
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L’esperienza della pioggia di Stefano Lorefice, autore italiano ma residente in Francia edito da Campanotto Editore, è un insieme strutturato di accozzaglie di versi, di grumi di pensiero, di densità a tratti quotidiane a tratti elevatissime. Si tratta, nonostante l’esilità della raccolta (quaranta testi suddivisi in due periodi: Corpo/Città e Corpo/Frontiere), di un’opera efficacemente impegnativa che trova il suo dato più mirabile in alcuni versi in particolare, piccole ed acuminatissime schegge poetiche che incarnano il significato del titolo e della dedica. L’esperienza della pioggia, con dedica “a mio nonno marco”.
“Se ne sale quieto / a restituire quello ch’è stato / alieno da parole, / protestando le radici profonde del silenzio / con qualche acciacco e il cuore sbilenco; / difende la faccia stramba / di chi la strada già la conosce; / segue le impronte, i sentieri sulla montagna, / i segni / col passo del quarantaquattro, / da partigiano / e non c’è vergogna nel suo «Avevamo paura»”. Oltre a questo molte sono le altezze sparse a disequilibrare l’apparente quotidianità di questo libretto: “è nella mancanza il nostro andare incerto / è alla fermata degl’autobus / ch’è un raduno di gente senza criterio”; “che fuori dalla pioggia ti lascia la pioggia / e quello che resta / perché ti ha già portato via abbastanza”; “addosso un disordine / «ti amo, per quel che posso… ti amo.» / che sembrano passati cinque minuti”; “ma nella nostra chimica non c’è definizione / o formula che separi”.
Un versificare che si muove attraverso scarti logici, accumuli, salti di pensiero, accostamenti ed allitterazioni di significati che creano immagini inconsuete eppure vive. Vissute. Un’esperienza della pioggia che è l’esperienza umana del trascorso e di ciò che si guarda essere rimasto. Il corpo e la città, le sue periferie e le sue ferite: “per quel che sarebbe / sparsi soltanto / a rigare il fondo del cuore”. Il corpo e le sue frontiere, il cuore sbilenco e il tempo: “ dici che tutto ha una sua logica / il verso, le parole / il significato che sta nell’accumulo / io ti rispondo che c’è bisogno di ogni scazzo / per scrivere una poesia / come quando si manda a quel paese / poi, che non ci metto zucchero / voglio sentire l’amaro / comincio dal caffè / e aggiungo che no, non c’è una logica / c’è un sedimento / un tempo che deve passare”.
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