Ed è l’ultima notte, quella che vive Robert Houdson, nella sua cella di prigione. Solo otto ore lo separano dalla pena di morte alla quale è stato condannato, colpevole di omicidio. E’ una scrittura leggera ed aperta, quella di Emiliano Grisostolo insofferente ai rimandi della parola ed allora accelera, perché nulla si perda nei ritardi delle ipotesi. Così, ne L’ultima notte, non ci sono schieramenti fra innocentisti e colpevolisti: Robert è un uomo che ha ucciso e per questo deve pagare con la propria vita. Quanto accadrà non sarà più importante di quello che è già accaduto. E ciò che è accaduto, è un’intera vita, quella che Robert, nella sua ultima notte, si ritrova a non poter più negare, ma a sfilare e poi riannodare in un gomitolo di confessioni e riconoscimenti. Ed ecco, l’agnitio finale, come in tutti i drammi antichi, quell’atto in cui si scoprono le maschere e tutte le verità vengono predicate con l’ultimo senso autentico: ancor più supremo questo riconoscimento finale, perché ciò che Robert scoprirà, sarà sempre e solo, o forse finalmente, Robert. E Robert altri non è che un novello o sempiterno Edmund Dantes, il Conte di Montecristo, nell’estremo tentativo di uscire dal suo personale labirinto: ma se quest’ultimo aveva costruito la sua via di fuga nella ricostruzione ideale del proprio carcere, per scoprire nell’atto dell’edificazione la possibilità dell’ uscita finale, Robert Houdson decostruisce e poi ristruttura le linee portanti della sua esistenza, attraverso il ricordo, al fine di scoprire nell’atto dell’edificazione della propria coscienza, l’ estrema, riottosa, uscita finale. E’ così, che in una sola notte, la sua cella diventa “la camera grigia dei desideri”, attraverso la quale, Robert raggiungerà la sua libertà, una libertà intensa e densa, ricercata ed abnegata, conosciuta solo per via di negazione quando, durante l’infanzia, muore il padre violento: d’improvviso, il piccolo Robert può fare e può andare là dove egli vuole, ma ancora non è libertà, è solo un vuoto che egli, inesperto del mondo e già da esso espulso, non sa colmare. Diventa una libertà apparente e nociva perchè “Ora, non sapeva neppure cosa farne” , esasperata nei suoi grumi di crudeltà ed abbandono, dentro i giorni di un’infanzia meschina ed un’età adulta costellata da lutti e violenze. Adesso, attraverso il ripristino delle vicende del passato, la libertà gli si presenta come ciò che egli deve conquistare perdendola, giocando con essa fino all’ultimo, aggredendola ed amandola come tutte le cose che per troppo amore rissoso non si sono sapute conquistare. Le figure di chi ha amato ed odiato, vengono a trovarlo, in quell’ultima notte, ma non si fanno riconoscere, si camuffano, lo spaventano, spettrali e ludiche allo stesso tempo, lo confondono, lo mordono, egli implora loro di rivelarsi, ma il sospetto che quel che esse siano è qualcosa di tremendamente simile a lui, lo fa quietare, e rassegnato accetta la loro presenza. Tutti insieme, in una notte da vivere e da morire al contempo, dove l’esigenza di dare un senso utile alle cose si ammanta quasi di un significato sacramentale per quell’ultima cena che si ostina a consumare, perché “non voleva che venisse buttata”. Ed il ricordo, fino al giorno di quel plurimo omicidio da lui commesso, lo riporterà nelle lande dell’ultima libertà, ora non più vuota e sterile, ma ricolma di un voluttuoso cammino dell’ultima, salvifica coscienza.