(...) lui slitta senza più controllo
con la sua chioma di vapore.
Basterebbero questi versi per sintetizzare l’azione poetica della Belozorovitch. Che si basa su Amore e Gratitudine. Notate, nelle poche parole citate, il ritratto veloce e tuttavia precisissimo di un uomo? Del suo fisico e del suo universo interiore, del suo modo di essere che lo fa “slittare” (come una locomotiva in salita!) con la sua - appunto - “chioma di vapore”?
Del resto, a conoscere il profilo biografico dell’autrice, non si può fare a meno di provare stupenda ammirazione. Mosca, poi il Portogallo e... l’Italia: è quasi superfluo dire che l’approccio di Anna Belozorovitch con la nostra lingua è più amorevole e ragionato di quello di tanti che sono cresciuti suggendola dal biberon.
Gusci di granchio leggeri come piume,
e piume che i gabbiani han perso,
la schiuma finta, rigonfiata,
da zucchero filato sporco:
il vento ammassa ogni cosa
per la ciclabile rossa, fino alle dune.
Lei crea, lei produce, con sguardo verso l’esterno. Ma centrale è sempre l’Occhio. Il proprio. L’io che osserva.
Nessun giudizio affrettato in tale osservare. Anzi! Affettuoso, quasi carezzevole, è il rapporto con le cose e le persone circostanti. Anna Belozorovitch è grata di esistere, e lo è per via di se stessa e della propria posizione (fortunata, indubbiamente), in un mondo che lei rispetta e accetta e sul quale riversa tutto il bene e l’amore di cui è capace.
L’aria calda, queste sere
ha quella densa violenza
per cui io godo dell’estate:
depurativa sofferenza,
come un supplizio gentile
fa ricordare d’esser carne
di poter perdere e gioire
Avete mai letto una descrizione più azzeccata dei giorni canicolari? Io no.
Ordunque: Qualcosa mi attende - così si intitola questo volume - è un affidabile candidato per la conquista del titolo di “libro da cuscino”. È un bijou très cher che volentieri teniamo sul comodino e da cui leggiamo qualche riga o pagina, prima di spegnere la luce. È un libro che ci avvicina alla Anna Belozorovitch artista addirittura più che i suoi lavori in prosa (dove, pure, l’uso dell’idioma è ben più ricercato, chirurgico come qui, questo sì, ma con un intrico di significati più profondi intorno ad ogni binomio sostantivo+aggettivo). In queste sue liriche, la poetessa e scrittrice sembra aver fatto un bel lavoro di riduzione e... pittura con acquarelli. A tratti tanto intensi, i colori, da trasformarsi in pastelli, o in colori ad olio. Non importa quanto semplici paiono essere i vocaboli: le immagini sono scultoree e vibrate, sempre; anche quando il tono è compassato. La fiamma arde dentro, al centro dell’Occhio, e la Metafora diventa cibo quotidiano; essenza medesima della realtà.
Io sono piena e immensa,
e so che non mi appartengo.
Quanto senso di pace, in questa consapevolezza!
Ogni tanto ci sono le collisioni, le contese, le contrarietà, ma da esse non nasce mai un’invettiva: semmai, un senso di dispiacere per l’oggetto-soggetto che le ha provocate. Come se si fosse trattato di un lancinante, deplorevole malinteso. (E spesso lo è.)
E quel gigante buono e spaventoso
dietro le cui ginocchia mi nascondevo?
Lui era il principio di tutto.
Io l’attendevo ancora, ogni tanto.
Tu me lo hai infranto (...)
Ma cosa importa, se alla fine sono la bellezza e il profumo e l’anima del paesaggio a trionfare?
Il mare è sporco e scosso
e l’orizzonte è storto.
E anche:
(...) sgranchiscono le nervature
sottili foglie neonate
anziane dell’attesa lunga (...)
Ci sono poesie talmente belle nella loro forza descrittiva (puntualmente circostanziata) che è quasi impossibile parlarne: occorrerebbe leggerle e basta. È il caso di “Dall’alto”. Oppure quei versi, inseriti nella Parte Terza, che iniziano con le parole “Fu subito intimità. / Non sei mai stato uno sconosciuto”, che sembrerebbe essere un prolegomeni al romanzo 24 scatti.
La sillage poetica contiene, nella sua summa, riflessioni sul destino e come potere osservare il cammino della nostra vita senza farsi male; e con quale metodo. “È la ragione d’osservare, e d’osservarsi / all’indietro, a dipingere il destino”. Verissimo.
Ruota ogni cosa, tutto è rotondo, e noi non possiamo fare altro che procedere. Camminando. Forse pedalando. Scrivendo...
Io seguo la ciclabile, e non mi chiedo
quant’ho percorso. Rossa e stanca
lei guarda l’orizzonte e non si chiede
chi sia io per portarmi avanti.