Terrence Malick è un regista talmente schivo che lo si può paragonare allo scrittore Thomas Pynchon, del quale addirittura non esistono ritratti veritieri. Piumatti lo accosta a J.D. Salinger, e va anche bene. Fatto sta che Malick, che al momento dell'uscita di questo libro aveva diretto appena tre film, rimane l'oggetto misterioso di Hollywood, l'UFO in un cielo di stelle o presunte tali. E apparentemente non si tratta di una messa in scena per crearsi intorno un'aura di maggiore fascinazione: quest'uomo è davvero così, è genuinamente timido, forse pauroso, con l'ossessione di voler cavare dagli attori quel quid di autenticità che spesso nemmeno i teatranti più consumati hanno. E' un regista geniale al limite della follia, strepitosamente unico... o comunque catalogabile tra quei directors che hanno in Stanley Kubrick il loro indiscusso "milus primus".
Con Soldati, campi di grano e James Dean Giorgio Piumatti riesce a mettere sul fuoco tanta di quella carne che persino il lettore meno pratico di cinema non può che sviluppare perlomeno uno scampolo di curiosità per il personaggio e l'uomo Malick.
Tutto ebbe inizio forse nel 1968, allorché Terrence aveva 25 anni e uno dei suoi due fratelli si tolse la vita. Oppure ancor prima, ovvero con l'emigrazione dei suoi genitori o dei suoi nonni negli U.S.A. (suggeriscono le cronache che il padre sia di origine libanese mentre la madre è, o dovrebbe essere, irlandese). Finanche le biografie online più aggiornate non ci forniscono dati certi e vanno spesso in contraddizione tra di esse...
Nel suo essay, Piumatti si concentra soprattutto sui primi tre film del regista, analizzandoli sia nella trama, sia nei particolari della realizzazione tecnica. Trattasi di La rabbia giovane (Badlands, 1973), I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978) e il più celebre La sottile linea rossa (The Thin Red Line, 1998). Nel frattempo sono 5 le pellicole che Malick ha girato (parliamo di lungometraggi), ma questo lavoro di Piumatti, dal sottotitolo esplicativo "Gli sguardi e le voci nel cinema di Terrence Malick", resta comunque (pur con il suo montaggio approssimativo di citazioni tradotte e con le sue osservazioni spesso nervose, riportate direttamente dalla copia a nero) uno dei saggi "malickiani" più interessanti che sono riscontrabili presentemente in Italia.