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L' ottavo giorno della settimana
di Roberto Stranieri
Pubblicato su PB15
Anno
2004-
Coedit
Prezzo €
10-
70pp.
Collana Prime righe ISBN
Una recensione di
Salvo Ferlazzo
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Votanti:
621
Media
80.37%
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Dopo la lettura de “ l’ottavo giorno della settimana”, si potrebbe essere tentati dal dare della sociologia sul fenomeno del disagio sociale, in tutte le sue articolazioni e in tutte le sue manifestazioni più p meno palesi. Sarebbe troppo facile.
La periferia, l’anonimato, l’insofferenza sarebbero tra gli argomenti principe, e si finirebbe inevitabilmente per avere un quadro fin troppo definito di ciò che l’autore ha voluto cogliere con immediatezza, con garbo, suscitando in chi legge una sana, feconda curiosità.
L’ossimoro che balza agli occhi leggendo il titolo, spinge ad una visione a-temporale del tempo, ma non per questo non induce ad una serie di riflessioni sull’uso che se ne fa di esso, quando si srotola lungo situazioni esistenziali ben definite.
Ecco che il tempo diviene struttura della possibilità e della progettazione. Anche se non viene espressamente detto, il tempo, e la sua ottava scansione, hanno circondato i protagonisti, di primo e secondo piano, delle storie narrate.
I minuti passano, le ore si assommano e cresce questa massa scura che è il tempo.
“ Extensio animae”, diceva Sant’Agostino. “ Il tempo è invenzione, o non è niente”, affermava Bergson.
Ho scritto di visione a-temporale del tempo, perche in questa antinomia si colloca il vasto circo dei personaggi:”Beatrice, trent’anni e non sentirli…trent’anni e mostrarne cinquantasei…”. L’indecisione dei tre ragazzi,”…era mezz’ora che i tre ragazzi dell’albergo uscivano e rientravano dal balcone…”.
Fabrizio e il suo tempo scandito dai furti, l’arresto, la galera, la libertà. E il BMW, con le gomme consumate dall’asfalto.
E poi, Antonio e Maria,”…quattro occhi che hanno visto tutto insieme e continuano a farlo…”.
L’avvocato Giancarlo e il suo strozzino, protagonista quest’ultimo, di un “…passaggio veloce che fece da bambino a bastardo inutile”.
Tutti vivono il loro tempo, e il loro disagio, in una società che ha prodotto una sorta di ideologia della crisi; un’ideologia dell’emergenza, che pervaso, insinuandosi, le forme pubbliche e gli starti più intimi di ognuno di noi.
Ecco che il tempo modifica un aspetto della cultura di una società, quello che Benasayag e Schmit hanno chiamato la trasformazione del “futuro-promessa” nel suo contrario, “ il futuro-minaccia”.
Questo stato di tensione, spinge la coscienza ad una continua, penosa oscillazione tra “indifferenza” e “ rifiuto”.
Si polarizza, così, in maniera irriducibile il processo temporale, in una dicotomia esistenziale tra giusto e sbagliato, o per dirla con Camus tra “l’envers e l’endroit”.
Una figurazione assurda si snoda lungo tutti i racconti, facendo indossare ai protagonisti gli abiti della ribellione irriducibile, dell’indifferenza dell’esistere, della pietrificazione della coscienza.
Si sedimentano situazioni drammatiche in una evidenza di guerra di tutti contro tutti. Tutti colpiti dall’urto violento dell’uomo contro la storia, in una più matura e decisa consapevolezza della propria condizione umana.
I personaggi si muovono su un impianto narrativo scorrevole, pur nella densità delle vicende, e raccolgono attorno a sé i colori, ora tenui di una iniziale storia d’amore in procinto di svanire, ora le tonalità accese, vibranti, passionali di storie che aprono voragini in ognuno di loro.
Per assurdo, proprio in ognuno di loro, vi è la consapevolezza che la stessa vita ha in sé qualcosa di miracoloso; e il miracolo consiste nel ghermire il reale e di trasfigurarlo, per poi racimolarne, tramite un’autonoma capacità di conoscenza, pochi brandelli di memoria.
Una recensione di Salvo Ferlazzo
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