"Era già l'ora che volge il disio/ai naviganti e ‘ntenerisce il core/lo di c'han detto ai dolci amici addio/".
Così si esprime Dante nei primi versi del canto VIII del Purgatorio, volendo significar il sentimento che accompagna ogni persona che va via, dice addio ai "dolci amici".
Ha inizio, così, un processo di chiarificazione nel quale sentimenti e immagini acquistano una loro organica e vivente unità.
Luciana Caranci tratta questi sentimenti e queste immagini, come momento marginalmente didascalico, lasciando invece spazio al lirismo che ne scaturisce.
Il motivo della vita umana come peregrinatio.
I suoi personaggi sono pervasi da un'ansia di rigenerazione, che non lascia spazio ad altre soluzioni, tutte accettabili, ma certamente non definitive. Perché di questo si tratta: una "non definitività".
Chi è partito si porta dietro un pezzo della sua terra, l'odore di casa sua, l'immagine della comunità d'appartenenza. Perché egli sa che non può essere isolato.
Allora, si carica di quel sentimento che, da una parte esprime il ricordo di qualcosa che si è lasciato, ma che non si lascia del tutto perché lo si vuol possedere ancora; dall'altra, il progressivo, fatale indebolimento della conoscenza che quella comunità, quel territorio, quella luce non ci sono.
E' la nostalgia che ha in se, qu
asi si trovasse all'interno di un ventre gravido, un nucleo, un frammento di tempo pronto ad esplodere: il desiderio del ritorno.
E' il motivo propulsore di tutto il libro, come una liturgia esistenziale che vede un susseguirsi di eventi, stati d'animo che si manifestano nella loro lucida temporalità, che rimanda silenziosamente, costantemente alla partenza.
Un segreto, profondo fascino lega i sei racconti fra loro: il mistero legato al ritorno comincia a lavorare per cancellare tutte le esperienze fatte fuori della propria comunità, o comunque, a sentirle, e farle sentire come non totali, non esaustive
.
Il ritorno è uno dei topos più significativi e ricchi di interesse della letteratura. Uno per tutti: l'Odissea, dove tutto è incentrato sul ritorno,"nostos" in greco.
Nella nostra epoca, come non mai, contrassegnata da spostamenti di individui e popoli, dove gli spazi si sono ravvicinati, ormai raggiungibili in poco tempo, il ritorno assume una diversa connotazione rispetto ai topoi letterari del passato.
Una breve incursione nel passato, ci induce a considerare, ad esempio, come l'Esodo non venga percepito come un " ritorno", ma come una vera e propria conquista.
L'arrivo del popolo d'Israele dopo il servaggio egiziano e la partenza da questo paese, non è visto come un ritorno alla terra dei padri, ma come il passaggio, la fase intermedia che anticipa la sua costituzione come popolo.
E quindi, si intuisce come la prigionia, la schiavitù hanno allontanato questo popolo da Dio, mentre il suo ritorno ne connota la ritrovata fedeltà: è la sua identità.
I racconti di Luciana Caranci ci dicono che nella comunità dei suoi personaggi è cambiato qualcosa, che il cambiamento è stato accettato, pur se a fatica.
La comunità affronta il periodo della guerra (Verso casa), e la conseguente ricostruzione.
Tutti i racconti che seguono sono incentrati su personaggi, episodi sui quali un vigoroso, invisibile colpo di spugna, ha sfigurato, cancellato persone, paesaggi che prima erano immersi in un brodo esistenziale protettivo.
Adesso, invece, una improvvisa accelerazione ne ha modificato i contorni, i ritmi. "L'abitudine cancella la memoria", dice il protagonista di "oltre il silenzio".
Un'altra realtà arriva di colpo, superando quel filtro che la rendeva comprensibile e sconosciuta, allo stesso tempo.
I personaggi cessano di essere quelli che erano fino a quel momento, per diventare altri. Hanno lasciato qualcosa di se alla partenza: sono più o meno simili all'arrivo, anche se l'insieme di valori e rimasto immutato, o non espresso.
Le ultime parole di Socrate, dopo la condanna, sono illuminanti:"Ma già è l'ora di andar via, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada incontro a una sorte migliore, a tutti è ignoto, fuorché al dio".