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Commento
a "Estate"
di Marco Braccini
A cura di Pietro Pancamo
pipancam@tin.it
Scrivere è come vivere: non mi piace.
Chiedo scusa per la bruschetta (pardon: bruschezza!)
di quest'inizio, ma ultimamente ho davvero la
luna storta. Gli è che, da un po' di
giorni, continuo a domandarmi: "La vita
conviene? Ha, in altre parole, i giusti requisiti
pubblicitari per essere, o fingersi, un prodotto
appetibile?". Forse no, mi rispondo - riflettendo
sul destino di noi uomini in genere -, perché
analizzando i comportamenti soggettivi e la
dimensione collettiva dell'esistenza, ci accorgiamo
insistentemente che la vita pervade assoluta
il nostro tempo, il nostro corpo e le nostre
azioni, senza lasciare in libertà neanche
uno spiraglio d'indipendenza individuale. Ma
"ciò che ingombra, non è
comodo e non è pratico", c'insegna
la pubblicità: ecco allora già
due ottime ragioni per cui, la vita, dovremmo
rifiutarla in blocco, tutta quanta. Eppure ci
ostiniamo a comprarla giorno dopo giorno, attimo
per attimo, condannandoci a un acquisto ossessivo,
davvero contrario ad ogni razionalità
di mercato.
D'accordo, perfetto: contenti noi
Ma a proposito di pubblicità, ecco qui
(subito dopo queste mie righe di commento) una
poesia del polemico Marco Braccini, autore che
si rivela deciso e determinato a fare della
rabbia esistenziale, un acuminato strumento
d'indagine (un bisturi d'indagine?) col quale
esaminare in profondità il vario atteggiarsi
psichico o morale delle persone, e in particolare
i loro usi e costumi dichiarati, durante il
periodo delle ferie agostane.
Il tono del componimento è di sicuro
risentito e, avvalendosi di un'ironia acida
quasi allucinata (più che mai spietata
e martellante nell'esibire di verso in verso
capi e similitudini d'accusa a carico dell'ottusità,
ossia delle vacanze), si risolve in un linguaggio
duro scarno essenziale, che riflette con piena
fedeltà non i raggi del sole cocente
o accattivante, bensì la riprovazione
totale dell'autore. Risultato inevitabile: fra
slogan pubblicitari, forse un po' datati (ma
resi attualissimi dall'intento satirico e sarcastico
che spinge Braccini ad utilizzarli) si mette
splendidamente alla berlina la devianza dell'estate,
quando per noi schiere umane (alla bavosa ricerca
di sollazzo incondizionato e divertimento "decerebrante",
superficiale) la vita sembra ridursi soltanto
ad un banale pretesto, per ballonzolare la macarena,
tutti in "coro". P.P.
ESTATE
Odio l'estate;
lo squallore di uno sciame di facce felici
che ridono di tutto,
della malinconia,
del Tuo essere diverso.
Diverso? Sì, ridono del Tuo sguardo
ormai stanco,
della Tua allergia alla vita, a questa vita.
Mi sento come un randagio abbandonato d'estate,
alla ricerca d'affetto dai passanti,
a volte, per ancestrale riverbero di bontà
riceve croste di pane.
Insensibilità?
No paura delle pulci.
Milioni di figli della pubblicità
strisciano su centimetri di spiaggia avvelenata
dalla puzza di piedi,
ragazze libere e belle, che hanno appena fatto
l'amore con Control,
ricercano avventure galanti con stranieri
efebi che non devono chiedere mai;
che storpiano "San Bitter" ma che
all'occorrenza "i piatti li vuol lavare
lui".
L'amore, o quello che resta dell'amore in
estate,
viene gettato in faccia al vicino di sabbia,
come noccioline ad uno scimpanzé.
Nuovi membri del K.K.K. (marocchini artificiali
con abbronzature da terzo mondo)
prendono in giro il "bovero negro"
che vende tappeti.
Le città vere e proprie giungle d'asfalto
piene di zombi erranti,
che non cercano un Piaggio, ma un negozio
dove trovare del cibo.
(Indiana Jones alla ricerca del tonno perduto).
L'unico cibo che abbonda è il riso.
Tutti ridono,
si divertono, gioiscono quasi, per la mia
diversità.
Diversità?
No paura delle pulci.
Marco Braccini
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