"Lasciatemi così
(
)
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare"
Giuseppe Ungaretti
"Vanno tutti al mare.
Non lasciarmi solo: qui c'è
un posto che non dice,
non ode - mi dice
soltanto che io sono
solo; e mostro da avanzo."
Carlo Cuppari
Cuppari è un Ungaretti al contrario
che, circondato da muri insistenti (molto simili
per significato e "indole" alla siepe
leopardiana dell'Infinito), non vuole restar
solo "con le quattro / capriole / di fumo".
Come mai? Scrutare la periferia della vita lo
spaventa, forse, e lo annoia? No, il motivo
è differente: in compagnia (di un alter
ego invisibile? Di Dio?) contemplare l'estasi
malinconica della sera (con le sue allusioni
alla totalità dell'universo) è
più dolce ancora.
Insomma, da una finestra china sul porto (retrovia
del mare e quindi anch'esso periferia della
vita, proprio come il fumo o la solitudine)
Cuppari intuisce, negli eventi minimi che narra
(e incantato descrive quasi come gli elementi
di un'esistenza piccola, subnucleare), la vastità
dell'infinito.
E della malinconia, che (con versi la cui sintassi,
aspramente sinuosa, sembra riflettere il torpore
struggente della sera) viene raffigurata, fedelmente
ritratta da accenti ed espressioni che a volte
s'avvicinano all'ariosa leggerezza di Umberto
Saba e del "fiabesco" Sandro Penna.
Pietro Pancamo
Vanno tutti al mare.
Non lasciarmi solo: qui c'è
Un posto che non dice,
non ode - mi dice
soltanto che io sono
solo; e mostro da avanzo.
Sedendo e scrutando
Il porto che ha luce
Dal faro, dalla luna
Che insù vedi rosso
Vermiglia e le barchette
E le rugginose panche
Del lungomare che come una spoglia
Obliata si dispiega - senti: è o
Non è il mio respiro,
un lieve fiatato che rimbomba?
Il guardo si sperde, non oltre
Maria che prega su una pietra che ha
Forma di un timone,
e fino al cielo sale
superando una lunga
strada di arpioni
e di mattoni. Dove
sono tutti? Dove sono
le spiagge? Dio mio, è
dopo Maria ch'io più
non vedo, non sento:
e prego preghiere che sono
io spero saranno leggere.
Carlo Cuppari
carlocuppari@tin.it
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