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Sebbene
i costrutti sintattici cui ricorre rischino magari
(dal momento che a volte eccedono in compiacimenti
e passaggi forse troppo "barocchi")
di appesantire il periodare e renderlo così
di faticosa comprensione, indubbiamente Simone
Veltroni scende coraggioso nei sobborghi dell'anima.
Li raggiunge anzi con andatura impavida e, irrorandoli
con le lacrime virili del pensiero, sa poi meditare
sull'enorme complessità dell'esistenza
quotidiana, sorretto da una mirata quanto agile
prontezza non solo di sentimenti, ma anche di
immagini pregnanti (ad esempio quella intensamente
icastica che svergogna i presuntuosi, dandone
la più calzante ed incalzante delle definizioni:
"[...] esecrati smargiassi/ ch'allignano
sul vento del proprio nome"). E se l'amore
(nei versi di un autore simile, davvero bravo
a intessere suggestioni talora carducciane) appare
eminentemente come un inganno lussurioso, un sollievo
precario e infido che - ghermita la vittima di
turno - subito la degrada, condannandola al tormento
narcisistico della vanità, la natura è
invece presentata come un paradiso lontano e "riflettente",
in cui specchiare con nostalgia la propria vita,
cullati dall'estasi malinconica del ricordo.
Insomma, superfluo dire che stiamo trattando di
un poeta contraddistinto da grandi capacità
liriche e introspettive, il quale (fermamente
deciso a mettere in risalto i moti dell'animo
e la loro forza impeccabile) si vota inoltre ad
un'efficace e singolare ricerca linguistica, che
se da una parte lo rivela profondo conoscitore
dell'italiano, dall'altra lo porta spesso ad inserire
nei propri testi una gamma assortita di parole
arcaiche e desuete, appositamente prescelte affinché
- nella vetustà appunto che le caratterizza
- simboleggino e incarnino a pieno tutta l'antica
e millenaria bellezza dei sentimenti umani. ( Pietro
Pancamo)
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SEI POESIE DI SIMONE VELTRONI
Non versuta
Non versuta mente m'aiutò
quel dì che,
senz'opera alcuna,
il tuo genio avvinsi
ed incauto accolsi
i prodi plausi salottieri
ch'agile menavi,
fra i denti la lingua
triviale,
ad alta voce
sulle genti d'idoli mai paghe
che infin di vanità,
la mente mia,
s'affogò,
ad ingrossar le file
degl'esecrati smargiassi
ch'allignano sul vento del proprio nome.
Non versuta mente
allorché ben credei
dei tuoi lustri fidar
che d'effimera trama
eran avvolti.
Mai avrei dovuto capitolar
al lussurioso appello
del bel corpo conservato
che per me solo promettevi
finché il patto
avessi onorato.
Mai, ma l'ho fatto e ancor pago
il mio misfatto.
Su di un prato
Star vorrei
su di un prato,
alla notte
a mirar le stelle
e riposar la schiena e il capo,
col vento lieve fra i capelli a buffettare
e 'l denso odor dei tigli
forte inalare
disteso nell'ombra profonda blu del cielo
dove muovon soavi
fra i cirri
le passate speranze
dove il tuo rapido scintillar d'occhi
nelle cadenti stelle
riveder potrei
tra trilli e gorgheggi
il tuo riso
riecheggiar
lontano
all'orizzonte
di pallido rosa
albeggiar godrei
ma son qui costretto
tra fradice lenzuola
dal neon abbagliato
in attesa d'esser maneggiato
od anche rimproverato
e so che mai più ristar potrò
su di un prato
alla notte
Lontano
Fresco e tagliente il fragrante odor dei
travagliati culmi, di lontano l'eco di voci
e schiocchi di risa bambine, da là
i suon festosi si levano e via rapidi s'inoltrano,
laggiù... nella notte, rasenti i rami,
lambir le foglie già crespe e librar
fra le tremule luci appese ai magri fili,
varcare in fuga il breve ponte e oltre...
ancor oltre le cime boscose, le valli aperte
sinché 'l dubbio m'arrende, ma non
dispero un dì, la ritornanza mia scordar.
Jana
Il rosa, il turchese,
il verde più tenero,
del fior non ancor nato,
io questo vedo
fra gli occhi tuoi
abbellir la mente,
e d'ambizioni fremo,
lambir col tocco l'immagine tua
ma,
l'eclissi temo,
come il dito
l'icona nell'acque incrina,
freno l'impeto mio
di tenerezze smodato
e come il tramontano,
che l'afa placa
e la pioggia annuncia,
così sbuca l'oscuro sentimento
che per mano
sempre s'accompagna
all'ingenua felicità d'averti,
all'estro mio illuso,
in giovamento eterno.
Azione e misura
Computo i tempi del lento discendere, momento
dopo momento, fin giù
all'arida zana, dove secco è il terreno
fenduto e non viene mai nessuno
ché nulla può attirare di simile
luogo, remoto e avverso, le genti
grintose, io solo impronto questa terra d'orme
friabili.
Qui vengo a trovar sanità e risalire
in un gioco perverso, calando di
grevi pensieri nel sodo terreno, giù
fino alla cuna da cui rampolla
caldo il pianto a inondare su la secolare
polvere compatta perché
spunti giovane speranza, fiacco ma vivo conforto
e così rimonto
paziente l'erta con vetusta pena ma, appunto,
stimando il passo e la
sosta in questo declinare e risalire, di smascherare,
spero, la
litigiosa schiatta che pur senza sapere cagiona,
la tumultuosa farsa.
L'inizio e la fine di questo inutile giro,
io credo si trovi in quel
saggio detto, che vuole sovrano chi come strumento
la misura usa in
combattimento.
Anelo di quiete
Velette di nebbia come anime in viaggio fluiscono
spedite torno torno al picco, concretando
l'arie
[fra gli alberi scuri di pioggia.
A cercar quiete dalle fonde se ne vanno mentre
io, infimo, scruto invidiando.
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