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I divoratori
di Annie Vivanti


Milano, 1943 (I ed. 1910)

I divoratori sono quei figli, specialmente se geniali, che "divorano" forze ed ambizioni di quei genitori (in particolare, ma non necessariamente, madri) che tanto hanno fatto perché i figli possano realizzare i loro sogni, sogni che divengono per simbiosi quelli dei genitori stessi.
Questa la tesi, presentata subito in modo prepotente, con l'immagine di un neonato che ha fame, che apre e chiude circolarmente il racconto, e che riappare sommessamente più volte. Dalla tesi si dipana il filo delle vicende della vita di Valeria e di Nancy, sua figlia, giovane poetessa, presentata ancora giovanissima alla regina "col nome di un fiore", in cui si riconosce parzialmente la stessa Vivanti, presentata alla regina Margherita nel 1890.
Valeria é divorata da Nancy, fino a perdere la vita per lei, quella figlia che ella ha avuto dal matrimonio con l'inglese Tom, morto troppo presto di tubercolosi, e sepolto sul mare di Nervi. Nancy prende il nome di una sorella morta di Tom, in cui il nonno crede di riconoscerla.
In realtà il romanzo é molto più corale: un gran numero di temi sono fatti interagire efficacemente, primo tra tutti le differenze culturali tra gli inglesi e gli italiani e tra gli italiani stessi. Nancy finisce infatti per sposare un napoletano, Aldo, combattuto tra la tentazione del gioco, del "lavoro senza lavoro", e la mentalità del nonno, commerciante in via Chiaia. La prima parte del romanzo é anche dominata dal paesaggio dell'Hertfordshire e dalla maledizione della tubercolosi, che non risparmia nessuno dei fratelli di Tom, nemmeno la dolce Edith, amica d'infanzia, e quasi sorella più grande, di Nancy, che finisce i suoi giorni a Davos, ballando fino a stordirsi nell'approssimarsi della morte. E Nancy si dimenticherà di Edith, come la figlia di Nancy, Anne-Marie, si dimenticherà poi di tutto quel che non concerne la sua carriera, in questo caso di musicista, e che la porterà in giro per il mondo, fino ad avere un figlio a sua volta, una creaturina che si approprierà della sua musica e dei suoi sogni.
Crudeltà della vita, in certo senso, però riscattata dallo stile asciutto e nervoso della prosa dell'autrice, che fonde nel romanzo una serie di ritratti, molto umani ed a volte umoristici, dello zio milanese di Valeria, del cugino Nino, innamorato di Valeria da sempre, e sacrificato, divorato anch'esso da tutte le vicende della vita, e nemmeno della propria, ma da tutto lo svolgersi delle vicende di Nancy.
Nancy, che vive per il suo libro, il libro che dopo la piccola opera giovanile la consacrerebbe, e che per tutta la vita vaga incompiuto per cassetti, bauli, seguendo Nancy per tutti i luoghi dove ella passa, senza che ella mai, per un'altra maledizione che si intreccia con la sua storia, possa trovare il tempo e la ferma intenzione di portarlo a termine. Similmente, Anne-Marie, in cui l'intelligenza della madre sembra cedere a dei tocchi di persistente capricciosità infantile, vivrà per il suo violino, cercando anche, con l'aiuto di Nancy e della governante tedesca Fraülein Müller, di resistere alla tentazione degli impresari di appropriarsi della sua giovinezza, mentre Aldo si defila, non senza vigliaccheria, sullo sfondo, e viene crudelmente sbeffeggiato dalla figlia al suo effimero ritorno.
C'é poi tutto il discorso del femminismo di Annie Vivanti, che cerca, con interessanti esiti, di sciogliere la tesi (i divorati sono o le donne, e quegli uomini che sono più sensibili e migliori, quindi più femminili, in certo senso) in un racconto di ampio respiro. In realtà, si capisce in seguito, ciò che divora non é l'individuo, ma una certa cultura, e la maledizione inizia a gravare su Valeria quando decide, con una frase quasi scherzosa, che la neonata Nancy, che ancora non aveva nome, sarebbe stata un genio. Questa diventa la misura di tutte le azioni, e la fucina di tutte le infelicità familiari, ben riassunte nel personaggio di Aldo che, inetto alla vita, capisce che per tenere moglie e figlia, dovrà guadagnare una crescente quantità di denaro, e si adopera in modo buffo e scostante a questo falso scopo, fino a "uscire dal racconto". Le tre donne protagoniste, e specialmente Valeria e Nancy, senz'altro avanti coi tempi, cercano di uscire dalla vita "oscura" cui credono di essere destinate, con l'ossessione della fama, fino all'approdo, desiderato e temuto, della maternità. La morte di Valeria é il culmine ideale del romanzo, pur nel topos tardo-ottocentesco dell'investimento della carrozza, quando le immagini diffuse che si spargono sul letto di ospedale su Valeria morente segnano di vivido e commovente impressionismo il racconto. Tali pagine vanno accostate a quelle della morte del nonno, che si confonde fino a spegnersi nel respiro della sua amata campagna. Il tocco impressionistico vuole anche confondersi con l'afflato multiculturale ante-litteram del romanzo, che é profondamente sentito, e non ha mai nulla di oleografico. Il tutto é adeguatamente bilanciato dalla componente umoristica, che trova il suo apice nel brano dove sono descritti i Musicisti Veri, che nella snobistica tradizione milanese rappresentano i limiti "invalicabili", e perciò derisi, che una giovane donna, che voglia far musica, come Anne Marie, non può superare.
I limiti: quegli stessi che l'autrice trovò quando, piegandosi alla morale borghese del tempo, si sposò e rinunciò alla letteratura, salvo poi a tornarvi in vecchiaia, quando la leggenda (o era realtà?) della giovane poetessa bionda che accompagnò l'ormai anziano Carducci dalla "regina con il nome di un fiore", era ormai svanita.

A cura di Carlo Santulli


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