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recensioni
L'esperienza
della neve
di Francesco Scarabicchi
Prezzo
€ 11,00 - 120 p.
Anno 2003
Editore Donzelli
Collana Poesia
ISBN 8879898191
Manca
la risposta al perche? la "voce che dica
d'ogni altrove/da cui viene o ritorna l'onda
e il seme", manca la consolazione di una
fede tradizionale (il dio che non esiste), e
ciò potrebbe indurre a parlare di nichilismo.
Ma qui, ne L'esperienza della neve di Francesco
Scarabicchi (il suo nuovo, recentissimo libro
edito dall'editore romano Donzelli), semplicemente
i valori supremi sono stati sostituiti dai valori
minimi, non meno importanti. L'esistenza non
si presenta senza senso e senza scopo, semplicemente
la vita nel suo divenire non fa che rincorrere
se stessa, diventando, per il poeta, sostenibile
con la sua accettazione, per quanto non incondizionata,
e vivendola in tutti i suoi aspetti. E seppure
Scarabicchi si lasci segnare dall'esperienza
"al di là del bene e del male",
- ma "del bene il male è l'anima
che geme"- dal superuomo nietzschiano è
indubbiamente più che distante, poiché
non ama senza riserve il proprio destino, non
ne coglie con gioia quella parte che comprende
il dolore e la morte atroce che investe, con
gli uomini, gli affetti più cari. E'
invece proteso all'occulta relazione tra la
vita e le sue forme, a una mancanza che non
si esplicita nel nulla, ma si interseca, si
avviluppa all'esperienza del quotidiano, anima
del visibile e del non visibile, afferrandola,
cogliendola integralmente.
La complessità più recondita del
libro consiste forse nel cogliere il nesso tra
il negare senso agli eventi centrifughi che
accadono dettati da una logica che sfugge (il
fiume che trascina "tenebre di detriti,
melma e male,//a quella foce ignota"),
e il parallelo rifiuto dell'idea che l'esistenza
tutta sia priva di senso ("Non esistere
senza esserci stato"); tra la tentazione
all'abbandono consolatorio a una tensione teoretica
nichilista ("conquista/la libertà
del niente"; "non capisce/come ancora
si ostini, in tanta neve,/a rassegnarsi al mondo,
al suo crudele/volgere in niente il niente";
"il nulla che preme"), e l'ansia dell'uomo
"che si ostina a nominare/quel che al sole
resiste e al freddo inverno", irremovibilmente
fermo nell'esistenza, mentre il suo animo è
marcato dalle lacerazioni sofferte anche perché
il tempo "volta le spalle", "è
niente", e gli anni passano "senza
ritornare".
Il niente è combattuto mediante la percezione
dell'esperienza, pur anche l'esperienza della
neve, percezione di cui Scarabicchi si serve
per tradurre nei suoi "sostantivi"
la propria dialettica esistenziale. E ciò
in una continuità ammirevole di coerenza
da parte della Donzelli, che pure ha pubblicato
poeti come Mark Strand e Henrik Nordbrandt.
Riguardo a certi temi infatti sarebbe possibile
avvicinare a quelli de L'esperienza della neve
alcuni versi di Strand: "Tutti abbiamo
motivi per muoverci./Io mi muovo per preservare
la compiutezza delle cose.", e di Nordbrandt:
"Quanto avresti amato questo posto/le pietre
calde sulla battigia/ora che il sole e la luna/splendono
con la stessa forza/e la stessa dolcezza./E
in realtà lo amavi/- ma di più
ora/che non sei più qui "
Il niente è vinto dalla "lingua
minore" con la quale Scarabicchi canta
l'adesso "che non è più niente",
con la quale "chiama/nessuno in nessun
luogo", con la quale, nella consapevolezza
che la vita non può essere uccisa, gioisce
ad una vita nuova: "dona/alla luce/la luce/che
non c'era", con la quale ricorda l'incanto
perduto dell'infanzia: "eterno azzurro
che si perde". E' questa lingua, che si
avvale di un paziente sistema musicale fatto
di accordi e armonie, di delicato lirismo, ad
essere lo strumento fornito alla vita per oltrepassare
il niente, varcarne in punta dei piedi la soglia.
Nessun nichilismo dunque per L'esperienza della
neve, dal momento che: "I libri vivono
vivi, se li senti,/se di loro rammenti odore
e forma,//ospiti solitari del cammino,/antiche
sentinelle della notte//poggiate l'una all'altra
per destino."
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