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recensioni
I
germogli di Ground Zero
di Michelangelo Cammarata
a cura di Pietro
Pancamo
Federico
Editore, Palermo
100 pagine - euro 5.16
Autotelepatia
del pensiero e dello sguardo
Integrato nel circuito quotidiano di gesti
a catena e impegnato a interagire coi banali
minuti di giorni
scontati - abili e ossessivi nel proporre con
ritmo ostinato sequenze identiche di parole
attività e situazioni - l'uomo non è
più in grado di scorgere i semplici miracoli
che potrebbero allietare il colore plumbeo della
noia programmata (neanche improvvisa o inaspettata;
macché, prevista: dunque noia due volte!)
e vive gli unici singulti d'energia, solo quando
costretto ad affrontare quei malesseri, che
ogni tanto indugiano ad avvilire il cuore.
Ecco, in sintesi, la consistenza esatta della
nostra condizione, poco invidiabile. Ma per
fortuna, emergono qui e là alcuni autori,
o meglio poeti, capaci di scorgere nuovi significati
e stimoli nella realtà possessiva, che
opprime le nostre azioni. Ad esempio Michelangelo
Cammarata, nato a Gela nel '41 e giunto ormai
al suo quarto volume di versi, sa vedere per
noi - nella raccolta I germogli di Ground Zero
(pp. 100, € 5,16), pubblicata ultimamente
dalla Federico Editore di Palermo - l'indomita
bellezza del pensiero, il quale si rivela in
sostanza una sorta di autotelepatia, che il
poeta in questione sfrutta per comunicare con
se stesso, con l'anima. Intanto, nell'intimo
séparé della propria scatola cranica,
costruisce a mente, meditando con la voce endovena
del cervello, sentimenti e sorrisi in codice.
Però - come i più grandi letterati
consigliavano un tempo e prescrivono tutt'oggi,
raccomandando di analizzare e specialmente osservare
- la scintilla fondante di ciascuna intuizione,
di ciascun verso, è pur sempre la retina.
E così Cammarata - imitando peraltro
le "scelte matrimoniali" di qualsiasi
artista o poeta, effettivo e autentico - va
sposo ai propri occhi, conducendoli (in viaggio
di nozze) a fissare con pupilla attenta - e
sguardo vero - i lati comprimari, i dettagli
minimi del giorno, delle ore. Dettagli, e inezie
marginali, che poi (in componimenti quali Natale,
Linosa, Stromboli, Farfalla, Fuochi d'artificio,
Valzer viennese) si trasformano in fiabe viventi
di profumi e tinte, in sogni leggeri e corti,
prontamente aerei e costanti nell'elevare immagini,
parole e sussulti alla speranza, sull'onda di
una forza amabile, di una dolce eleganza conquistata
con gli anni, e proveniente dalla serenità
della saggezza.
È doveroso comunque sottolineare che
Cammarata - già lodato dalla critica
nel '69, per una silloge concitata e polemica,
"capillarmente" apprezzata all'epoca
da Giorgio Bàrberi Squarotti - non è
certo persona dal sorriso automatico e superficiale.
Prova ne sia il suo stile, impeccabile e sincero
nel compito di dar corpo non solo alla quiete
riflessiva della maturità, ma anche alla
ricchezza e densità della commozione
che, insonne di vita, rifugge dal creare carmi
di sole (o generosi di splendore e consolazione),
per manifestarsi ed esprimersi, invece, come
un fluente armonico del dolore, nelle pause,
nei ritmi e nelle frasi afosamente cupe del
brano intitolato Scirocco: "È il
fiato del deserto che oggi squassa / gli oleandri
schiumosi / e precipita sontuoso / dalle palme
secolari / in un graffiante vortice di sabbia.
/ Camminiamo squarciando la calura / in un crescendo
di ali liquefatte / che ci piovono addosso,
/ di grevi nostalgie in cui anneghiamo. //".
A ogni modo, che sia luce di riscatto - dopo
la tragedia mondiale di New York (vedi la lirica
11 Settembre) - o penombra di malinconia, irradiata
dalla memoria, quella che Cammarata vuole trasmettere
ne I germogli di Ground Zero, i testi continuano
a susseguirsi - nel corso del libro - invariabilmente
concisi e brevi. A dimostrazione di come l'autore
abbia evidentemente compreso che la poesia stampata
deve occupare un cantuccio e basta, affinché
il resto della pagina sia libero per gli appunti
del lettore. Per le sue sensazioni, per i suoi
commenti, per i suoi pareri: per la sua vita.
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