a cura di
Giovanni Venezia*
Lucio
Zinna
Quando bevea Rosmunda
Quaderni di Arenaria
collezione "Golconda"
Edizione fuori commercio.
I LUOGHI DELLA MEMORIA
LA TERRA D'ESORDIO TRA STORIA CULTURA
di Giovanni Venezia*
Nella terra d'esordio sono le mie radici
e nessuno riuscirà a svellerle, ma
le mie fronde guardano altrove e da troppo
tempo.
Visitare i luoghi della memoria, "la
terra di esordio", come li definisce
Lucio Zinna nel suo "pamphlet",
significa riportare al presente uno scorcio
di vita d'antico tempo, una vita vissuta
nel silenzio dell'inconscio e riposta in
un mondo onirico in attesa, al risveglio,
di un input che fa sentire quei giorni vivi
,con gli eventi lieti e tristi, gli amici,
gli studi, e con tutto quello che, sopìto
e irretito nell'irrefrenabile - naturale
- tentativo di corrosione voluto dalla natura,
non avresti mai pensato di rivivere perché
lungi da te l'avvento di un desiderio che
si manifesta con un egemone sussulto.
Un mondo che ti riporta al presente tutti
i suoi aspetti umani e non, che si prestano
a tanti ossimòri o iperboli che,
completandosi, ti suggeriscono consapevole
certezza; ti senti dentro un canto di gioia,
un epinìcio e tu, magari, un pasciacamàc
, un missionario che, esperienze alla mano
per la vita vissuta proprio nella "terra
d'esordio" potrai offrire agli altri
memorie e saggezza di rilevanza oggettiva
e quindi associabili al collettivo.
Ecco che, mentre ti trovi in viaggio, la
memoria ti fa tèssere - lungo l'autostrada
- fibrìne per scatolare i ricordi
emergenti, : "la corriera ti deposita
a Torre Bianca", punto di partenza
per percorrere un itinerario che inizia
nei luoghi dell'infanzia : ecco che cerchi
le "tracce di una casa, di un cortile,
di un giardino e vicoli e chiese".
Ma è tanta frenetica la voglia di
dar corpo alla memoria, che ti fermi per
un momento, rifletti, per concludere che
in fondo non sai "esattamente"
cosa cerchi.
Questa memoria è un luogo ed ha un
nome : Mazara. "Protesta sul mare nella
costa occidentale della Sicilia
antichissima
ed industriale, in faccia all'Africa. Bianca
di calce, arsa dal sole quando non è
schiaffeggiata dal vento". Ti affiorano
in mente i fatti salienti della storia della
città che Filippo Napoli, Leonardo
Bonanno, Alberto Rizzo Marino, Giovan Battista
Quinci, Enzo Gancitano ed altri studiosi
francesi e tedeschi, dell'antica storia
mazarese hanno ben descritto in pubblicazioni
che difficilmente si trovano se non, forse,
nella biblioteca comunale.
Ti piace ripercorrere i luoghi e già
stai vivendo la tranquillità della
zona suggestiva dell' Emir Aggian ("
i giardini dell'Emiro"- oggi Miragliano)
" il bel sito che oltre alle predilezioni
islamiche, ospitò, per sfuggire ai
francesi di Carlo VIII, Alfonso II, re di
Napoli e di Sicilia (1495).
E' lì la memoria che si si ritrova.
Nella "scampagnata" del lunedì
dell'Angelo, nelle "schiamazzate"
e nei "brindisi" con spumante
piemontese".
Mazara è una città di mare
ed ha un Villaggio del pescatore, un quartiere
che parla di sofferenze, di sopravvivenza
al dolore. Un agglomerato di casette composte,
costruito con "la politica delle promesse
elettorali democristiane" tra la fine
degli anni 50 e l'inizio degli anni '60.
Lungo la marina, all'interno del porto-canale
trovi la "chiatta" (poi scomparsa)
che consentiva di transitare verso l'altra
sponda del porto-canale solo se avevi compagnia,
per tirare le funi correnti lungo anelli
inchiodati ai bordi del mezzo.
E' chiaro il percorso nella memoria. Si
fa più intenso, ti avvince e ti costringe
ad inchiodarti nella lettura ed a far scorrere
le pagine una dopo l'altra. Non è
un racconto cronologico, non potrebbe esserlo
del resto.
Il dubbio. "E' di Francesco Laurana
o di Antonello Gagini questa statua di San
Vincenzo martire? Il giovane sacerdote che
passa frettoloso ed a cui mi rivolgo- scrive
l'autore - riferisce che gli studiosi si
dividono equamente in due schiere; il dubbio
rimane
il pretino mi accenna ad un
San Vito addirittura del Velasquez.
Di San Vito, che della città è
protettore, ricordo la gran festa con il
gioco delle pentole (jocu di pignati),l'albero
della cuccagna (jocu di 'ntinna) e le gare
ippiche lungo il Corso" d'asfalto,
infarinato di terra fine per non far scivolare
i cavalli. E poi quegli amoretti giovanili.
C'erano. Sì che c'erano e con esse
si viveva tutta la semplice sicilianità
spensierata, giovanile. Brancati diceva
che " questo è modo ( tipico
siciliano) di avere i sogni, e la mente,
e i discorsi, e il sangue stesso perpetuamente
abitati dalla donna". E poi, le passeggiate
sotto il "verone" per accertarsi
che l'incontro (l'appuntamento ) potesse
avvenire esclusivamente con la conferma
di un sorriso lanciato dalla finestra o
con la strizzatine dell'occhio.
Al Liceo - scrive Zinna - una classe mista
si smistava durante la pausa ; i maschietti
nel corridoio A, le femminucce nel corridoio
B; in un terzo corridoio una bidella fungeva
da posto di blocco.
Lamentammo l'apartheid in un giornalino
studentesco: "L'Espulsione" che
avevamo fondato in pochissimi e con sacrificio.
Fummo espulsi davvero e fu proibito al sudato
periodico di circolare nell'istituto. Fatto
grave perchè determinò il
tracollo delle già scarse risorse
economiche e ne accelerò la chiusura.
Non manca il ricorso storico della moltiplicazione
( a mò di miracolo) dei "giri
del paese" tra Lungomare e come in
un girotondo, attraverso corso A. Diaz,
ritrovarsi ancora al Lungomare. In estate
le lancette dell'orologio segnavano già
mezzanotte. Come ogni sera, per noi.
Non c'è, però, il ricordo
fisico di Ambretta con il nasino impertinente
o di Francesca la più bella e la
più brava della classe.
Il percorrere della memoria non s'arresta
perché ti sovviene del come vestivi,
degli scherzi, degli schiamazzi notturni
e scorribande con grida di squadre di "ragazzacci
per bene" dei vari quartieri avversari,
delle partite di calcio su un campo di roccia
che a fine gara l'unico segno visibile della
"giocata al pallone fra due squadre
"scalcinate" erano le "sbucciature"
delle tue ginocchia e gli strappi dei pantaloni
che ti procuravano, a casa, schiaffoni e
rimproveri, delle letture, dei libri prestati
e mai pù avuti in restituzione.
La maestra prima , i professori poi, ci
costringevano a sacrificare i pomeriggi
domenicali a studiare i versi a memoria
di quell'interminabile componimento poetico
che parlava di Rosmunda costretta a bere
nel teschio del padre, Cunimondo : "Fervean
di canti, fervean di suoni di re Alboino
l'ampie magioni." Che erano le "magioni"?
"Troppo presto per saperlo. E del resto
non sempre il maestro ci chiariva così
minuti particolari né noi scolari
eravamo così insolenti da pretenderlo;
pochi potevano permettersi, in quegli anni
di immediato dopoguerra, il lusso di un
dizionario".
Lucio Zinna, scrittore, conferenziere noto
in Sicilia, ripercorre sul filo della memoria
i luoghi a lui cari , ove vide la luce,
quelli del suo "esordio", in un
racconto di rara bellezza descrittiva: ("Quando
bevea Rosmunda" pubblicato nei Quaderni
di Arenaria- collezione "Golconda"
- Edizione fuori commercio). La copertina,
disegnata dal pittore Disma Tumminello riproduce
i luoghi "cari ": dal porto-canale
all'arco del castello normanno, alla chiesa
spagnola di san Nicolicchia fino ai luoghi
ove si "produceva cultura".
Tanto altro la memoria fa ritrovare in questo
viaggio, financo lo storpiare il "tantum
ergo" in "immotivate od incomprensibili
espressioni dialettali: "tantu megghiu,
tantu megghiu ( tanto meglio, tanto meglio)"
e così via con altre frasi simili
che - credo - il buon Dio, dall'alto dei
Cieli ,si sarà fatta una gran risata
e concessoci un simpatico perdòno.
"Alcuni luoghi- conclude Zinna - li
ho trovati immutati altri trasformati fino
a divenire irriconoscibili. Debbo riconoscere
di aver registrato una "serpeggiante
commozione" ma minore di quella che
mi ero prefigurato partendo".
"Qui (a Mazara, ndr) sono le mie radici
e nessuno riuscirà a svellerle, ma
le mie fronde guardano altrove e da troppo
tempo".
Debbo a Lucio Zinna, compagno di mille battaglie
culturali in quei lontani anni, il ringraziamento
per avermi trascinato in quei luoghi considerandomi
"testimone e quasi personaggio"
di questo "suo" racconto della
memoria.
Giovanni Venezia è direttore di www.ilpungolo.com