recensione
di
GIANMARIO LUCINI
da www.poiein.it
«Manto
di vita»
LietoColle, Faloppio (Co), 2005
pagg. 40; € 10,00
ISBN 88-7848-155-6
Con
lopportuna introduzione di Marisa
Napoli dellUniversità Cattolica
di Milano (ivi tiene un laboratorio di
scrittura), viene pubblicato questo quaderno
di poesia di Pietro Pancamo, un autore
già noto ai lettori di «Poiein»
e che lo scorso anno ha partecipato alledizione
del Premio Turoldo. Opportuna,
si diceva, perché lintroduzione
della Professoressa Napoli, pur improntata
(per ovvie ragioni relative alla sua professionalità)
a un approccio critico-filologico, mette
in risalto e con acutezza argomentativa
le implicazioni simboliche, luso
degli archetipi, il significato profondo
insomma delle liriche, commentandole una
per una e lasciando invece al lettore
il compito del quale si preoccupano tutti
i presentatori (il sottoscritto
compreso) dei testi altrui, ossia quello
di trovare un filo rosso che percorra
lopera. Un approccio quindi inusuale
per una presentazione, ma certamente molto
acuto e di grande interesse.
E dunque preoccupiamoci di trovare questo
filo rosso. Mi pare di individuarne
due, o meglio uno che ha duplice carattere.
Il primo carattere lo si nota sul versante
dello stile, del quale avevamo
già detto nel commentare quattro
poesie apparse su «Poiein»,
quando dicevamo di una scrittura
che cerca la sintesi, lespressione
fulminante ed essenziale e nello stesso
tempo cerca di mettere insieme concisione
e allusione: più si allude e più
si è concisi, e viceversa.
Caratteristica che anche Marisa Napoli
sottolinea (La metafora autobiografica
della magrezza allude alla propria poetica:
magrezza equivale a asciuttezza, essenzialità,
mancanza di orpelli), unitamente
ad un metalinguismo che, esternato
nellironia come distanza massima
dal sentimentalismo autoriflessivo,
rimanda a alcuni accenni leopardiani
proprio sul piano dellestetica e
della poetica. Un secondo aspetto,
di contenuto, che mi sembra caratterizzare
questo filo rosso o carattere
peculiare nella poesia di Pancamo, è
la sua capacità di sintetizzare
in grumi di senso, che però sono
anche versi ad alta concentrazione di
emotività e sentimento poetico,
lesperienza esistenziale; ad esempio
quando scrive: A questora
/ ogni uomo / è un fagotto / di
buio e di stelle; [...] questo mondo /
nel quale si vive / solo per evitare /
noie al motore [...]; [...] Guarda il
cielo: / cade come un urlo di nebbia,
/ si spezza negli occhi / marci di sonno.
Direi unottima raccolta, densa,
scritta in uno stile scorrevole ma preciso
ed elegante. Una scrittura molto interessante,
di personalità poetica forte e
compiuta. Un volumetto, dunque che, per
chi scrive questa nota, è una piacevole
riconferma e per molti aspetti anche una
scoperta, che vogliamo segnalare ai navigatori
del nostro sito.
Gianmario
Lucini
Formule di parole
I miei
sogni controluce
sono lenti opache
per schermare la notte.
Gli
occhi premuti
da un gancio snello
e fosse verticali
tramutano il pensiero.
Il sonno
è camaleonte.
Il sogno è un cow-boy.
Il sole attinge dalla sabbia
il suo calore a specchio.
La morte, collegata
al mio santo protettore
per somiglianze varie,
è un cactus intento, ostaggio
del deserto,
ad alzare le braccia
da cui, come zavorra dalla [mongolfiera,
sporgono gli aculei
che
sembrano tutti
sorrisi a tempo perso.
Lironia
Indosso
la magrezza
con la disinvoltura
di chi ironizza.
Eh,
ironia
con te la disperazione
è filosofia!
Ma senza di te,
ahinoi,
la poesia
è pura (mera) melanconia.
Sole
maligno
Il sole
poggiava frustate di [luna
sulla mia mano.
E il cielo gridava
nei sogni di niente.
Guarda
il cielo:
cade come un urlo di [nebbia,
si spezza negli occhi
marci di sonno.
Pietro
Pancamo
da Manto di Vita
|
Detriti di un semplice
destino
(piccola nota su «Manto di vita»
di Pietro Pancamo a cura di Antonio Desantis)
Poesia delle
piccole cose, (solo) apparentemente dimessa,
senza nessuna facile concessione neoromantica
o anche vagamente crepuscolare, senza
la ricerca di simbologie a tutti i costi,
perché la medietà
stilistica scelta è già,
a mio modo di vedere (di leggere), unopzione
in questo senso, ha già di per
sé valenze simboliche che andrebbero
ben interpretate.
Se il simbolo vive della duplicità
della sua natura, qui è solo la
parte realistica ad essere
esposta: ciò che rimane in ombra,
e ha bisogno di una lettura attenta per
palesarsi, è ciò che il
reale trascende, nella minuta descrizione
di passi, suoni, voci e riti quotidiani.
Ciò che si cela dietro il manto
della vita, o lo costituisce (e
la investiga fino a ferirla, a farla esplodere
nella ritualità dei suoi passaggi/paesaggi),
è una pupilla lucida, attenta,
che lentamente, a piccoli strappi, solleva
il Velo di Maya che ricopre le cose, non
per rivelare e svelare misteri (comunque
insondabili) che non ci sono, ma solo
per vedere, tra le pieghe, la meraviglia,
minima o smisurata che sia, di frammenti
che si ricompongono in nuove forme, fino
a dare un volto, un centro, al mosaico
di echi che sorregge il ritmo di questi
versi, imprimendogli la forma (precisa,
sicura) dellandare: ovvero della
quiete, che si dà solo, nella sua
sostanza apparente, se si rovescia in
moto, se si abbandona al flusso del divenire.
Il primo nome, classico, che corre alla
mente leggendo questi versi è quello
di Pascoli (e anche, su un versante decisamente
opposto, la lezione di Sereni, ben attraversata
e superata): non parlo di contenuti, ma
della stratificazione e complessità
semantica e stilistica a cui queste figure
e questi paesaggi minimi fanno
continuamente riferimento. È un
modo intelligente di porsi di fronte alla
tradizione: non rinnegarla, ma vedere
quanto di essa ancora ci costituisce,
e farvi i conti su una pluralità
di piani, nel rapporto che il poeta intrattiene
con la (sua) scrittura.
Piaciuta moltissimo.
Antonio
Desantis
da https://liberinversi.splinder.com
(blog letterario a cura di Massimo Orgiazzi)
Spiegazione di un
giorno
Il giorno che saltella
lungo le impronte delle mie scarpe;
il giorno che saluta frantumato,
quasi appostato
fra le dita.
Ogni minuto è fluido di rumori:
sbattono le ali
contro pannelli daria. Limpatto
vibra di scherno:
è un lazzo di sdegno
voluto dalla mia notte.
Amore o desolazione?
Mangiamoci il tacchino
riscaldato:
andiamo verso il forno
tenendoci per mano.
Somiglianze
A questora
ogni paese
è un fagotto
di stelle e di buio.
Ma lo è pure
questo cielo vagabondo
(guscio daria e di respiri)
che stringe in un solo mondo
città, mari e tempeste.
Ma lo è pure
questa via
(intirizzita di pioggia)
col suo buio
incatenato ai lampioni
e un po di stelle
che sussurrano al mio palazzo
la ninna nanna:
vedo tante finestre
chiuse fra perimetri di sonno.
A questora
ogni uomo
è un fagotto
di buio e di stelle.
Confronto
Salza al mattino
un fumo di tigri
dalle iridi aperte,
in campagna;
unespressione grinzosa
rimbocca la faccia
dei contadini.
E mentre il fiume
saccalca ai loro piedi,
si spulciano gli occhi
scrupolosamente
trovandovi affogate
zampette di ragno.
Io invece,
montanaro del cuore che batte,
minerpico per un letto castano
di mie pietruzze in salita.
Poi, di sera,
tornando a zonzo verso casa
sembro un fantasma nero che,
appuntito come un ago,
viaggi sui trampoli del buio.
Io adesso festeggio
Nel vento,
ossigeno vettoriale
che mindica la distanza
(ovvero la forza)
fra me e lorizzonte,
la naftalina di vecchie allegrie
mi tiene conservato il cuore.
Ecco perché
io adesso festeggio:
sì, come Athos
uno dei quattro
bravi un tempo a danzare
a lume di lama
minfilzo preciso
una bottiglia alla bocca
deciso a brindare.
Scia
Solo
confortato solo
da questa viuzza
che si prosterna
davanti al mio portone,
procedendo inerme
da un capo allaltro dei lampioni
senza dire nulla
tranne
una scia di passi.
Lispirazione
I
E di sera
io danzo lhabanera.
Ricordi silenziosi
aprono gli occhi permalosi
e battono i piedi qui con me.
Io sono il maestro.
Io li dirigo.
Io sono il maestro di bravura [artificiale.
Io dirigo la musica
nellaria che sa di temporale.
II
Il temporale è già tornato
a casa
fra le nubi,
mentre io lo saluto
da quaggiù:
Vieni presto, eh? Domani sera!.
Ma se non vieni
festeggio ugualmente.
No, non per dimenticarti:
per rimpiangerti meglio
(come direbbe il lupo
a Cappuccetto Rosso)
e più gioisco
più sono solo.
Racconto
I: in casa, di
sera.
Dalla finestra aperta
mi prende ancora
a ditate nel cervello
questo calore in maniche di luna,
che mi costringe sempre
a sentirmi male.
Tanto male:
un concerto di cicale
il silenzio
che si sgretola nel muro.
II: fuori, di
notte.
Ma penso ai ricordi:
lo so che migrano
suscitando lo spazio.
Anche esterno.
Così almeno posso uscire.
Infatti eccomi:
vado a camminare.
E passeggiando zoppo
fra lune di tempo,
trovo un angolo dombra
come uno spiraglio di stanchezza.
Se guardo attraverso
davvero a lungo
riconoscerò, poi,
nellaria del mattino
(le campane non
per me
sono lalba
popolata di prime ore)
i detriti del mio semplice
destino.
Pietro
Pancamo
da Manto di Vita
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