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recensioni
Il
paese delle meraviglie
di Giuseppe Culicchia
Garzanti, 2004
Pag. 327 - Euro 14,00
Una recensione di Gordiano Lupi
L'ultimo
romanzo di Giuseppe Culicchia è talmente
bello che ti riconcilia con la narrativa italiana
contemporanea e all'improvviso ti accorgi che
pure da noi non ci sono soltanto sterili sperimentalismi
e libri come La più grande balena morta
della Lombardia. No, c'è ancora la narrativa
vera, quella che racconta storie importanti
e che fa pensare. Per dirla con Hemingway esiste
ancora la narrativa capace di far sentire il
racconto come parte dell'esperienza personale
del lettore. Il vero protagonista del libro
è il 1977, un anno importante della vita
italiana, che ci viene presentato attraverso
la profonda amicizia di due compagni di scuola.
L'autore costruisce una storia fatta di rapporti
personali ma soprattutto di politica e ricordi,
innamoramenti da liceali e passioni di ragazzini.
Il lettore ripercorre tutti i miti del 1977:
gli Abba, gli Emerson Lake e Palmer, "Playboy",
trasmissioni televisive come "L'altra domenica"
e "Odeon", le prime radio libere.
Ma ci sono pure i professori che hanno fatto
il Sessantotto e ci tengono a dirlo ogni volta
che aprono bocca, quasi fosse un titolo, gli
scontri di piazza, la Democrazia Cristiana con
gli scheletri nell'armadio e gli scandali, Emmanuelle
di Silvia Kristel ed Emanuelle di Joe D'Amato,
"Supergulp", "Bontà Loro",
"Mistero Buffo", "Happy Days"
e Fonzie.
I personaggi principali non sono molti ma sono
tutti ben caratterizzati e il lettore si affeziona
al protagonista Attila che è un apolitico
totale, come parteggia per l'amico che è
un fascista idealista. Da ricordare la stupenda
figura del nonno, un uomo disincatato dalla
vita che in gioventù ha pubblicato un
libro di successo e adesso scrive ancora ma
non vuol più pubblicare niente. Il nonno
ricorda le stragi di stato, l'Italicus, Piazza
Fontana, è la coscienza storica del libro,
ed è fondamentale la sua considerazione:
"Come fa uno stato terrorista ad accusare
chi si ribella di terrorismo?". Da meditare
a fondo, credo.
Il 1977 è un anno importante e delicato,
nasce il movimento punk e ci sono i Sex Pistols
che insultano la regina durante i concerti,
Berlusconi comincia a parlare di politica e
Cicciolina eccita gli italiani da Radio Luna.
Nel 1977 c'è "Happy Days" con
il suo ruolo normalizzatore (ma quanto ci piaceva,
allora ), e c'è pure Andy Luotto
che in modo manicheo a "L'altra domenica"
divide le cose del mondo in "buono"
e "no buono". Il 1977 è un
anno di scontri di piazza e le Brigate Rosse
si materializzano come un reale pericolo per
la democrazia. Nel libro di Culicchia ci sono
alcune analogie con il film La meglio gioventù
di Marco Tullio Giordana, però l'autore
usa un tono meno serioso e meno drammatico.
E poi tra le righe ci vuol dire che sono troppe
le analogie tra la storia di ieri e il nostro
vissuto quotidiano (Genova, Napoli, gli attuali
scontri di piazza).
Nel 1977 la polizia sparava sui manifestanti
e ammazzava, poi magari si parlava di suicidio,
oppure si diffondeva la notizia che in uno scontro
a fuoco era stato ucciso un pericoloso terrorista.
Tutto questo nel libro lo trovate, ma non espresso
in modo didascalico, bensì narrativo,
attraverso la vita dei personaggi. I protagonisti
di Culicchia non hanno niente dei personaggi
di Due di due di Decarliana memoria, sono due
ragazzini che non si occupano di politica vera,
pure se uno dice di essere fascista. Il ragazzino
fascista è di un'ingenuità disarmante,
è un utopista che condivide le idee della
sinistra estrema e che prende le sue conoscenze
politiche su riviste come "Le Ore"
e "Playboy". Non c'è una visione
politica schematica, gli eventi sono mostrati
come accadono, senza filtro, attraverso la vita
scolastica di due adolescenti. I personaggi
di Culicchia subiscono la vita e osservano il
mondo da fuori, si fanno assorbire e colpire
al cuore, vorrebbero cambiare ma non ci riescono.
Molto bella la considerazione sui giovani che
quando diventano adulti fanno la vita dei padri
e il protagonista che dice a se stesso: "Non
mi farò fregare anche se non so ancora
come".
Il romanzo presenta anche parti molto delicate
che riguardano la sorella del protagonista che
scrive da Milano e lo incoraggia nei suoi primi
contatti con il mondo femminile. Troviamo il
primo amore del protagonista che pare la ragazzina
dai capelli rossi di Charlie Browne, tanto è
irraggiungibile ed eterea. Leggiamo i modi di
dire dell'epoca: "Rubare è umano,
perseverare democristiano", entriamo nel
mondo a colori della nuova televisione, ci facciamo
le prime canne e conosciamo il mondo della droga,
rivediamo film come Taxi Driver e La febbre
del sabato sera. Ci tengo a dire che l'autore
sottolinea tutti i crimini democristiani che
è bene non dimenticare, soprattutto adesso
che si sta diffondendo una stupida nostalgia
per il buon governo di una volta. Non è
così, pure se con Berlusconi ci pare
di stare peggio. E allora ben vengano libri
come questo dove si ricorda che Giorgiana Masi
è stata uccisa dalla polizia quando Ministro
degli Interni era un certo Francesco Cossiga.
Culicchia fa molto bene a mettere in ridicolo
la balla del colpo vagante sparato dai dimostranti
e a denunciare la presenza di poliziotti infiltrati
tra coloro che festeggiavano la vittoria del
referendum sul divorzio. Fa bene soprattutto
perché quello che Culicchia denuncia
è storia che viviamo ancora oggi negli
odierni scontri di piazza in occasione dei G8
e delle manifestazioni pacifiste. Niente di
nuovo sotto il sole. Il libro ha pure uno stupendo
finale che fa gridare di rabbia insieme al protagonista
quando scopre che sua sorella è stata
uccisa dalla polizia. La sorella muore come
l'anarchico Pinelli (andatevi a riascoltare
il capolavoro di Claudio Lolli), accusata di
terrorismo e precipitata dalla finestra della
questura. Il fratello lo viene a sapere solo
dal telegiornale mentre un anno di scuola finisce
e all'improvviso niente ha più senso.
"Io odio tutti", come dicevano i punk,
si trova a gridare il ragazzo e non ce la fa
più a pensare niente di positivo. Neppure
l'amore lo può salvare. Giuseppe Culicchia
ci consegna un romanzo capolavoro, uno spaccato
della società italiana del 1977, un libro
da leggere e meditare scritto con uno stile
leggero e piano che nasconde anni di verità
da non dimenticare. Leggetelo. Non ve ne pentirete.
(Gordiano Lupi)
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