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Ferdinando Pastori, essendo nato esattamente nel 1968, appartiene ad una generazione che non ha attraversato l’ubriacatura di pensiero critico e spesso ideologico degli anni ’70. Nei suoi interessanti racconti è tutto già avvenuto, si tratta di un mondo di macerie, dove – arrangiandosi – può essere divertente, e soprattutto lucroso, vivere.
Viene da notare che queste storie non c’entrano molto col titolo che le raccoglie. I protagonisti non sono infatti “nessuno” e le vicende che vivono non sono “piccole”. Si tratta perlopiù di liberi professionisti, gente con case grandi e in perfetto ordine, che sanno come avere donne ed esperienze. E la Milano che dovrebbe costituire lo scenario è in verità quasi assente, appena un fondale di cartapesta, una metropoli da copertina, che non sarà da bere ma conserva comunque un vago sentore di consumismo e “dolce vita” all’ambrosiana. Manca la Milano dei ceti medi e di chi, veramente, fa fatica a vivere, non solo per mancanza di denaro. Basti pensare che il protagonista di “Ciao, Elvira”, tra l’altro un bel racconto, sembrerebbe “dimenticarsi di vivere” (è una ragazza che, nel lasciarlo, lo accusa di questo) ed invece scopriamo che ha saputo eccome vivere, almeno in passato (ma nella conclusione vedremo che non ha disimparato): una vacanza a Maiorca a ridosso di una laurea, un’avventura appassionata con una bolognese bella e volitiva, una sessantenne esistenzialista per confidenze davanti ad un caffè all’americana. Proprio esperienze che davvero chi avesse problemi con la vita neppure potrebbe sognarsi. Il sospetto legittimo è che chi scrive non abbia maturato, per sua fortuna, una coscienza del limite, quello vero. Quello di chi non ha un lavoro, non ha una casa, di chi non ha accanto donne in forma con i capelli corti biondo-platino, di chi ha effettivi freni inibitori. La follia di Lorenzo in “Piove merda dal cielo”è infatti un caso estremo, così come la follia trash di Roberto e Federica in “Gocce di sangue su un amore malato”. Per non parlare del signor “nessuno” (anche lui, in verità, architetto benestante) di “Volevo solo sparire” che non può fare a meno, davanti allo scempio della moglie, di notare la bellezza dei colori. Si riconosce il ricorso agli stereotipi tipici di chi deve immaginarsi la follia. Sono elementi che suonano un po’ fasulli, come la frutta plastificata dei supermercati. Per il resto, ci troviamo in mezzo ad una umanità metropolitana abbiente che, al limite, tra un aperitivo e l’altro, si concede le seghe mentali di chi forse vorrebbe essere qualcosa di diverso.
I più umani dei protagonisti sembrerebbero Francesco del già citato “Piove merda dal cielo” e Gianmarco di “Non so più a chi credere”. Se il primo è un ottimo racconto, il secondo si snoda senza una vera struttura e la conclusione appare sospesa, come se si trattasse in realtà di una pagina del diario giovanile dell’autore, appiccicata lì per sfruttarla letterariamente.
Pastori è indubbiamente abile. Una caratteristica stilistica che si fa notare è l’uso di proposizioni coordinate illogiche, dal contenuto incongruo rispetto alla principale, in quanto richiamano altri punti del testo (es.: abbiamo trent’anni e il caipiroska del Juleps è più buono).
Questo “manager nel settore medicale” è in definitiva uno scrittore che promette bene, indipendentemente dalle osservazioni, più o meno estemporanee, che si possono fare sui contenuti proposti. Aspettiamo pertanto con interesse i suoi prossimi lavori.
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