La danzatrice di Lucera, titolo originale Die Tanzerin Von Lucera, pubblicato dall’editore Verlag Bruckmann di Monaco di Baviera nel 1937, è un romanzo storico di Mathilde Von Metzradt, scrittrice tedesca vissuta nella prima metà del Novecento le cui pubblicazioni, quasi tutti romanzi storici, furono molto apprezzate nella Germania dell’epoca.
Già nel 1938 la fama di questo romanzo giunse in Italia e l’8 ottobre 1938 Giambattista Gifuni sul Meridiano di Roma auspicava che “l’altissimo tema invogliasse qualche animoso editore a pubblicare di questo bel libro una degna traduzione.”
A distanza di ottant’anni, nel 2020, l’appello fu rilanciato dal periodico di informazione e cultura di Lucera Il Frizzo e quindi finalmente accolto dal dott. Giuseppe Trincucci, storiografo, cultore e profondo conoscitore di Storia locale, membro della Società di Storia Patria per la Puglia Giambattista Gifuni.
Merito di G. Trincucci è di aver riportato alla luce un capolavoro letterario, altrimenti destinato alla dimenticanza, ma soprattutto di averne permesso la traduzione in lingua italiana e porlo, si auspica, all’attenzione nazionale. Sua è anche l’ampia introduzione con esaustivi preamboli sulla genesi del romanzo storico e note sulla misteriosa scrittrice Mathilde Von Metzradt di cui si sono perse le tracce dopo le sue pubblicazioni. In aggiunta, un cenno all’opera mai musicata di Richard Wagner La saracena scritta dopo il 1943 per cui si evince che il musicista abbia conosciuto il romanzo e, già appassionato della casa sveva, ne fu ispirato.
Una narrazione che ripercorre gli ultimi anni della dinastia sveva degli Hohenstaufen ambientata quasi interamente in Puglia – salvo le connessioni di natura politica ed espansionistica con Roma e il Regno di Sicilia e Benevento – in cui i castelli federiciani brulicano di vita agiata, ma non spensierata, tra le stentate miserie del popolo.
Re Manfredi, biondo, occhi azzurri (l’arcivescovo Bernardo di Palermo lo paragonò a uno dei cherubini a guardia del paradiso) arriva a Lucera, lasciando nel Palazzo di Foggia, la moglie Elena d’Epiro e i figli, scortato dal fedele Manfredi Maletta e un piccolo seguito. È il momento in cui Semrud, l’esile odalisca saracena, una prostituta, un mucchietto d’ossa, inizia il suo spettacolo pubblico sulla sfera e il re ne rimane ammaliato. Qualcosa di indescrivibile si sprigiona dalla figura diafana mentre danza, una magia che la rende di una bellezza travolgente. Manfredi comprerà la danzatrice ma Semrud resisterà a ogni suo tentativo di possederla, la sua fragilità è apparente, in contrasto con l’atteggiamento altezzoso, dignitoso nonostante gli stracci e la miseria. Durante l’intera narrazione apparirà e scomparirà nei momenti più impensati, a volte diabolica, quasi una posseduta perché lei “sente”; altre volte sarà mite e protettiva con i suoi messaggi premonitori. Tra i due sembra esserci un non meglio definito rapporto di odio amore e durante un alterco lei lo affronterà dicendo “La tua corona brilla, non tu”. Una offesa o forse un messaggio predittivo che divorerà il re fino ai suoi ultimi giorni. Semrud, gli sfuggirà più volte e diverrà anche l’amante del suo nemico Carlo D’Angiò per poi tornare all’improvviso al suo fianco.
E ancora le scomuniche e la lotta con il papato che definisce Manfredi il figlio di Lucifero, re illegittimo di Sicilia (nonostante, nato da Bianca Lancia, sia stato riconosciuto da Federico II); e la difesa dei confini del Regno fino allo scontro finale, nella cruenta Battaglia di Benevento, in cui gli eserciti dello Staufer furono massacrati e lo stesso re perderà la vita insieme alla sua fedelissima cavalla Alfa.
È il 26 febbraio 1266, le sue ossa saranno sparse sulle sponde del Liri (Garigliano).
La descrizione della battaglia di Benevento della Von Metzradt è stata definita la più intensa in campo letterario.
Nel 1268 a Napoli verrà decapitato l’ultimo degli Hohenstaufer, Corradino di Svevia in Piazza del Moricino, oggi Piazza Mercato. Semrud riappare sulla scena e mentre si lancia verso il patibolo in difesa di Corradino sarà trafitta a morte.
È la fine della potente dinastia a opera di Carlo D’Angiò, spalleggiato dal papato (Urbano IV, Clemente IV) e dai traditori dello Staufer. Sono trascorsi diciotto anni dalla morte dello “Stupor Mundi”, Federico II, avvenuta il 13 dicembre 1250 a Castel Fiorentino, l’attuale Torremaggiore (FG).
Oltre al curato excursus storico colpisce la dovizia di particolari mentre le descrizioni analitiche dei luoghi trascinano il lettore indietro nei secoli con le quindici imponenti torri della fortezza di Lucera (affiancata dall’insediamento dei saraceni, fedeli allo Staufer, che ivi rimasero per oltre ottant’anni); le sue tremila colonnine orientali nel cortile interno e il “giardino delle stelle cantanti” le cui fontane simboleggiano ognuna un pianeta e la precisa documentazione dei siti circoscritti alle varie fortezze in cui si svolge la trama (Trani, Foggia, Castel del Monte, Lucera, Lagopesole, San Gervasio…)
Va ampiamente riconosciuta la maestria della scrittrice nel riconsegnarci non solo una rielaborazione storica ma nell’aver saputo umanizzare i protagonisti, calandosi profondamente nello scandaglio interiore di ognuno. Non solo re e regine, servi e cavalieri ma uomini e donne con i loro punti di forza e debolezze, animati da emozioni e sentimenti, dubbi e lacerazioni, protagonismi e ambizioni. Soprattutto le figure femminili ne escono vincenti in questa analisi psicologica: Elena, Beatrice, Semrud, Violante – la sorellastra a cui Manfredi era molto legato –, combattute tra la sete di potere e l’eco della coscienza.
L’immagine della danzatrice è in apertura e chiusura del racconto, quasi a voler raccogliere nel suo interno tutte le vicende narrate, solo in conclusione ne verrà svelata l’identità.
Un romanzo che merita sicura attenzione e divulgazione perché Mathilde Von Metzradt ha coniugato con sapienza l’esattezza della narrazione storica con la scorrevolezza del romanzo.
«[...] I' mi volsi vèr lui e guardai 'l fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo ave' diviso. [...]
Poi disse sorridendo: I' son Manfredi,
Nipote di Costanza imperadrice
(Dante Alighieri – Divina Commedia, Purgatorio, Canto III)