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recensioni
Geules
Noires (Musi Neri)
di Monica Ferretti
a cura di Carlo
Santulli
NonSoloParole.com
Edizioni, 2003
ISBN: 88-88850-07-4
Pag. 102 Euro 10.50
Geules
noires = facce nere. Sono le facce dei minatori
che lavoravano nelle miniere di carbone belghe,
nel distretto di Charleroi. Molti di questi
minatori erano italiani, emigrati in virtù
di quel Protocollo italo-belga del 1946, che
in cambio della fornitura di manodopera, anche
non qualificata (molti di loro non avevano,
per loro stessa ammissione, mai visto una miniera
prima), ci dava un diritto di prelazione sul
carbone belga, di cui l'Italia aveva disperato
bisogno nel primo dopoguerra, per motivi energetici
ed anche per far ripartire l'industria meccanica
pesante, per esempio la siderurgia. Un trattato
di cui uomini politici da ambo le parti vanno
tuttora fieri, ma che somiglia sinistramente,
come osserva l'autrice, ad una compravendita
di schiavi: tra il 1946 ed il 1956 50000 italiani
affluirono in quella zona del Belgio. L'8 agosto
1956 la tragedia di Marcinelle, originata forse
dall'incomprensione tra un minatore italiano
ed un belga e che probabilmente sarebbe stata
scongiurata, in presenza di misure più
moderne di sicurezza, pose fine in modo drammatico
al lavoro in miniera, come disciplinato dal
Protocollo del 1946. Marcinelle ha segnato un'epoca
ed é stata seguita da un'ondata di commozione
ed indignazione che ha condotto, almeno nell'Europa
Occidentale, ad una disciplina del lavoro più
umana, troppo tardi purtroppo per i 262 minatori,
tra cui 136 italiani, morti nell'incendio della
carboniera del Bois du Cazier.
Un grande merito di questo libro è quello
di cercare di capire che vita facessero in Belgio
nell'immediato dopoguerra quegli emigrati italiani,
stipati in baracche costruite per i prigionieri
di guerra, trattati con diffidenza e sospetto
a volte dalla popolazione locale, per i salari
inferiori che erano disposti ad accettare. Come
dice l'autrice, questa storia viene narrata
dai minatori stessi e dai loro familiari, cercando
di ricostruire una delle tante vicende dolorose
di emigrazione che fanno parte integrante della
storia dell'Italia almeno dall'Unità
in poi: narrare insomma per sfuggire alla dimenticanza.
Non si deve dimenticare, non solo perché
questa é la storia da cui veniamo, ma
anche perché quella della miniera, del
lavoro minorile e dello sfruttamento non é
una storia conclusa, passata definitivamente
agli archivi. Ci sono molte parti del mondo
(l'autrice cita l'Ucraina e la Cina) dove le
miniere ancora funzionano, e con criteri non
più moderni di quella del Bois de Cazier,
sicché purtroppo incidenti di maggiore
o minore entità si riproducono in continuazione.
Inoltre, l'Italia oggi accoglie una vasta immigrazione,
e le sofferenze incontrate dai nostri emigranti
ci fanno capire i pensieri contrastanti che
passano nella mente di coloro che, cercando
di sfuggire alla miseria, bussano alla porta
di un paese più ricco, e le difficoltà
della loro vita di ogni giorno. Mi ha colpito
il commento di vari minatori, che gli Italiani
furono più rispettati dalla popolazione
locale, dopo che tanti di loro erano morti per
il Belgio a Marcinelle. E' una constatazione
dura ed amara, anche se commovente e sempre
attuale, oggi che dalla cultura della tolleranza
stiamo cercando, con tante difficoltà,
di arrivare ad una reale comprensione tra gli
uomini. Quest'anno, 2004, aprirà anche
un museo al Bois du Cazier, altro segno che
non si vuole dimenticare Marcinelle, e oggi,
passando per la zona di Charleroi le colline
coniche di carbone sono coperte di vegetazione,
dopo più di quarant'anni dalla chiusura
delle mines, ma il dolore rimane su quei luoghi
come un monito. (Carlo Santulli)
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