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Tullio De Mauro scrive a Giuseppe
Cerone a proposito de ZEN.ZIP
Il famoso linguista ci parla,
in una lettera al
nostro amico Giuseppe Cerone, del suo rapporto
con Supereva e
dell'origine del pensiero Zen, introducendo
il libro Zen.zip.
"Caro Cerone,
ringrazio molto sia Lei, anzitutto, sia l'editore
per la fiducia che mi accordate chiedendomi
di accompagnare questo Suo Zen-Zip
con qualche mia riga introduttiva.
Conosco l'editore (ProgettoCultura)
e "SuperEva" da qualche tempo. Lei
sa, il mio mestiere è occuparmi di linguaggio,
un po' anche filosofando, ma da anni sempre
più cercando di studiare (temo che anche
questo mi allontani dalla purezza zen) come
e dove nascono e come si usano, anche nei nostri
anni, dove tutto parrebbe facilmente controllabile,
parole e espressioni nuove nella nostra lingua
italiana e nelle altre che sono capace di raggiungere.
Una cosa importante, nel fare questo mestiere,
è cercare la prima attestazione documentata
di un'espressione nuova. In più d'un
caso "SuperEva" mi aiuta e mi dà
risposta, nel senso che mi
offre il primo testo scritto che documenta l'apparizione
di nuove forme oppure mi mette sulla traccia
di buoni documenti anteriori.
Evidentemente ha gli occhi ben aperti su quel
che succede e così nei suoi testi affiorano
per tempo parole che poi entrano in circolazione.
Lei poi, da quanto tempo ci conosciamo?
Forse dai tempi di Muro lucano o più
probabilmente da quando, saranno quindici anni?,
Lei con lucana pazienza (e ironia) proponeva
Suoi testi agli editori e anche a intellettuali
di chiara fama e ne conservava risposte, quando
rispondevano, ambiguamente stereotipate che
Lei poi ha diligentemente pubblicato (Lo scrittore,
Garamond, Roma 1994): bella documentazione del
formulario con cui si scaricano gli autori ancora
non conosciuti. Eco una volta si è divertito
a inventarsi lettere del genere, ma la realtà
supera la fantasia e le Sue erano assai più
amene.
Così alla vostra fiducia
si aggiungono ragioni di stima e di amicizia
e dunque lascio da parte altri lavori in corso
da cui sono incalzato e Le dico qualcosa, assai
poco, del Suo testo. Anche in questo testo a
me pare di scorgere dell'ironia. Un'ironia oggettiva
appare fin dal titolo, che
unisce le due parole zen e zip.
Come Lei ricorda nel testo, l'antica
parola giapponese zen arrivò nel Chipango
venendo dalla Cina, che, a sua volta, l'aveva
ricevuta, col buddismo dall'India, dalla parola
sanscrita dhyana "riflessione, pensiero".
Questa, a sua volta, è un derivato interno
al sanscrito della base dhi- "pensare",
da cui nella stessa antica lingua colta dell'India
si formano il verbo dhyati "pensare"
e l'aggettivo dhimant- "intelligente, saggio".
Come Lei accenna, la famiglia lessicale indiana
è un lascito indoeuropeo. La base indiana
ha parenti che si trovano in altre lingue e
vale la pena ricordarne almeno due. In avestico,
cioè nell'iranico adoperato nei
testi zoroastriani, il derivato day- vuol dire
"vedere, osservare" e l'altro derivato,
del tutto parallelo alla parola sanscrita, è
daena "religione". L'abbandonarsi
al vedere come base del riflettere e della saggezza,
la contemplazione come essenza del religioso:
le suggestioni
etimologiche sono forti per trarre qualche spunto
di ulteriore saggezza. Ma non basta. Secondo
gli studiosi anche più cauti e attendibili
(anche gli specialisti in fatto di etimologie
a volte si lasciano andare), la stessa radice
indoeuropea delle parole indiane e iraniche,
l'indoeuropeo *dh(e)i- "risplendere, far
vedere", fu alla base della parola greco-dorica
sâma, attica e greca comune sêma
"segno": segno di confini e sepolcri,
segno che indica, donde il verbo semaíno
"indico, significo" e l'aggettivo
semantikòs "significativo, semantico",
da cui a fine Ottocento abbiamo tratto in Europa
la parola semantica "scienza del significato
delle parole".
Non si resiste alla tentazione
di riconoscere un inizio di laicizzazione nella
deriva greca. Ma mai del tutto compiuta, se
nel VI secolo a.C. Eraclito ancora ricorda che
l'oracolo delfico né dice, né
nasconde, ma semaínei "dà
segni, significa".
Questa scorribanda etimologica
può forse servire a dare un'idea dell'alone
di sacralità che circonda dall'origine
la parola che i giapponesi adattarono nella
forma zen che ora ci torna
dall'Oriente. Lei con molta ironia la lega a
un'altra parola, quintessenza di occidentale
modernità: zip il nome onomatopeico dato
nel 1935 alla chiusura lampo che ha così
radicalmente modificato il nostro rapporto col
chiudersi i pantaloni e poi riutilizzato dalle
ditte informatiche per indicare il programma,
la utility, che ci permette di zippare, di comprimere
un testo troppo esteso nel nostro computer.
E Lei in effetti, oltre l'ironia,
riesce a zippare molte Sue riflessioni sulla
saggezza zen e, ciò che è interessante
e stimolante, molte testimonianze di spunti
omogenei alla cultura zen rintracciabili nella
tradizione letteraria dell'Occidente, dalla
Grecia antica ai nostri tempi. Come Monsieur
Jourdain faceva della prosa senza saperlo, Lei
pare volerci dire che anche la nostra cultura
classica, ebraica, cristiana e moderna è
ricca di momenti zen.
Ma, salvo errore, è alla
saggezza di questi momenti che Lei vuole richimarci.
E di nuovo c'è dell'oggettiva ironia
nel farlo nella sede ipermoderna d'un editore
tecnologicamente aggiornato.
Sono felice di esserLe ancora
una volta un po' vicino, caro Cerone. E mi auguro
che si allargherà ancora di più
la cerchia di coloro che la stimano e apprezzano.
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