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recensioni
Strage
di stato ed inferno carceri
di Evelino Loi TRATTO DA PB8
Prefazione di Giovanna Mulas, note di Virgilio
Nonnis e Serafino Vanni Lai
Poligrafica Roma, Roma 2003, Euro 6.15
Una recensione di Giovanna Mulas
Le isolane dicerie pettegole, di Evelino
Loi, offrono un'immagine sin troppo
suggestiva, forse aggressiva, senz'altro
sincopata: è lui il fiero militante
dei sessanta di ribellione di massa,l'
ex detenuto e quindi presidente dell'associazione
detenuti non violenti.
Trovo l'opera del Loi concreta e asciutta,essenziale
di chi ha vissuto e sviluppato l'animo
in un brodo germinale selvatico,ha sentito
e visto in un ansia continua d'emergere,
nel bene e nel male, dal gregge; di
chi ha sofferto, da don Chisciotte ha
osato e, contro gli altrui mulini; ha
perso. La metrica è compresa
tra due poli; uno è quello meridionalista
della mia stessa Sardegna rabbiosa,
claustra e potente di bronzi nuragici,
MaterMatroni rigogliosi seni, capri
nei pascoli arsi di un Dio dimentico
d'umana pena; l'altro è quello
delle cerve, vergini eppure Baccanti
smeraldine, antiche spiagge regalate,
loro malgrado ingabbiate dal migliore
offerente. Mi domando con quali mezzi
prosodici s'avvia un testo, come quello
del Loi, dove i mezzi retorici, la stessa
parola è liberata della priorità
dell'affascinare, dagli eccessi ellittici
di stupire il lettore ma semplicemente
è guidante lungo il percorso
di un Ego dai contenuti fondamentalmente
buonisti, eticamente sovversivi ché
logorati da anni di solitudine orgogliosa
e fiera, sarda e disperata. La scrittura
è al limite del calligrafismo
e non esente, nonostante di biografia
si tratti, di influenze romantico veriste
ove, da un certo momento in poi come
anche il lettore più distratto
avverte; cala il sipario nella prima
esistenza della Fenice protagonista,
sulla stagione di vita dedicata ai moti
studenteschi in quel della capitale,
e cambia la scena; ( di quanto
spesso cambia la scena il lettore s'avezzerà
facilmente) l'ouverture fugge all'esperienza
del naufragio tra un carcere e l'altro,
alle riforme sociali e politiche fondamentali.
Non è forse vero che se un uomo
non ha scoperto nulla per cui vorrebbe
morire, non è adatto a vivere?
La vita qui, è visitata nella
cruda semplicità del suo fervore,la
sostanza affidata ad una penna sofferta,
a tratti incosciente o infantile, sensibile
ad ogni sfaccettatura della medaglia
ed è per preservare sé
stesso, per sotterrare il dolore che
Evelino Loi scrive del passato, attinge
al presente, spera, pungente, nel futuro.
E' il ritratto poco politically correct
di un'epoca dunque,un'Italia satura
di contraddizioni ed eccessi, dicotomia
tra Sardegna e continente e ben venga
a mio parere l'aspetto sovente icastico
nella narrazione dei fatti, la geografia
dell'immaginario che, forse, parrà
azzardato nella turbolenza esistenziale
del Loi.
E comunque al di là dei fatti,delle
ragioni, delle critiche moralmente lecite
o illecite da muovere all'autore; C'est
priser sa vie justement ce qu'elle est,
de l'abbandonner pour un songer*. Quanti
uomini hanno il coraggio o l'incoscienza
di vivere, combattere e volare per quel
sogno?
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