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recensioni
Il
terzo uomo sulla luna
di Francesco
Gazzè
a cura di Pietro Pancamo
Editore
Baldini&Castoldi
Prezzo Euro 9.90 - Pagine 136
ISBN 8884901367
C'è
un'acuta distanza (quasi totale, cioè
irreversibile o giù di lì) fra
i sentimenti e il mondo attuale Al punto
che ognuno di noi (se fosse onesto) si dovrebbe
inquisire schiettamente, sottoponendosi magari
a un discorsetto accusatorio tipo questo: "Dove
finisce la televisione e dove comincia la mia
identità? Ahimè, non resta più
alcun confine di riconoscimento ".
Chi lo sa: probabilmente, peggiorando in circolo
(e continuando quindi, previa TV, a involversi
dai sentimenti alle pulsioni, dall'intelligenza
alla scimmia) la razza dominante del nostro
pianeta ritornerà, spiritualmente parlando,
allo stato selvaggio e brado, da umana che era.
E nel frattempo, l'arte che fa? Non ci salva?
Sfortunatamente no, accidenti! Dal momento che,
complice ancora il piccolo schermo, è
ormai decaduta a cabaret, rivestendosi forse
di motti arguti, ma anche di sfondoni assortiti,
veicolati da un italiano, drasticamente ridotto
al rango degradato di dialetto nazionale, buono
per tutte le ignoranze e sgrammaticature.
Certo, per fermare il collasso, ci vorrebbe
qualcuno in vena e in grado di dare l'esempio.
Sì! Ecco la soluzione! Qualcuno ci vuole,
che scriva e rifletta. Qualcuno che, discosto
dalla massa e dalla TV, abbia una ricezione
infallibile del cuore in genere e non delle
emittenti varie.
Qualcuno, insomma, come Francesco Gazzè.
Dunque fratello e paroliere com'è
di Max il cantante e musicista, il Francesco
"in oggetto" ha di recente esordito
nel campo della prosa, pubblicando un volume
di racconti, suggestivi e corti: "Il terzo
uomo sulla luna" (Baldini & Castoldi,
pp. 136, € 9,90). Che dire mai di quest'opera
prima, che non ha mancato, naturalmente, di
riscuotere lettori e commenti lusinghieri? Beh
per cominciare, non soffre d'illusioni Francesco
Gazzè; anzi i dolori, appresi dalla vita,
gl'insegnano a valutare (se non "auscultare",
addirittura) desideri, angosce, perplessità:
la sua voce è composta d'inflessioni
melodiche e, attraverso le pagine del libro,
s'articola secondo le direttive di una salda
ironia analitica, pronta a sublimarsi in acume
poetico. Utilizzarlo (nell'attimo di un foglio,
nel volgere di un libro) per catturare la libertà
(dell'immaginazione) e farne sentimento, è
facilissimo per l'autore. Egli sottrae alla
forza isterica del giorno, della vita corrente
e d'ordinanza la propria indole d'artista, aggira
l'esuberanza maligna di pene e ansietà
(che sono energia, adrenalina del dolore) per
librare nella dimensione estatica della fantasia,
fiabe d'incanto.
Mai sovrastate dall'affanno, quelle emozioni
di pura leggerezza irradiate dal suo animo trovano
respiro in novelle delicate e lievi, in tenui
parole e trame carezzevoli che indulgono, talvolta,
all'ariosa ecletticità del sogno.
Balza l'inchiostro da un racconto all'altro
formando personaggi azioni ambienti, mentre
nasce la pagina, come una lega metallica, dal
miscuglio di lettere e bianco.
I segni e le pause rispettano i confini di storie
fluenti e testi brevilinei che, senza cedere
alla verbosità (ma con l'aiuto, nondimeno,
di armoniose volute sintattiche), illustrano
malinconia, gioia e dubbio.
Quindi sentimenti multiformi che, trasfigurati
dall'ironia onnipresente, diventano profezia
d'amore e riscatto umano, impreziosiscono il
tessuto letterario di queste novelle e, intanto,
sogni attraversano rapiti lo spazio di carta,
per mutare in musica le parole e allietare le
pagine con melodie narrative, pervase di sole.
Un sole inconfutabile che non splende a vanvera
e, al contrario, sa illuminare (con cognizione
di causa) la bravura di Francesco Gazzè,
scrittore ben diverso da quelli che, discutibilmente,
trascorrono la propria esistenza - intera ed
effettiva - alla ricerca ossessionata d'interviste
o trasmissioni, da cui lasciarsi ritrarre nell'atto
retorico (persino narcisistico) di sproloquiare,
di soffrire, d'incensarsi.
No: Gazzè si mostra, e dimostra, individuo
di tutt'altro stampo e identità. Prova
ne sia che, ne "Il terzo uomo sulla luna"
- distinguendosi senza tregua o sosta da coloro
(forse gli scrittori suddetti, per l'appunto!)
che spesso raccolgono frasi, periodi e complementi
in organismi grammaticali incapaci di poesia
- trionfa, impeccabile e sincero, nel compito
di "imprimere" corpo e consistenza
a sistemi di parole, che ora si presentano a
forma di nostalgia, ora di sorriso, ora di filosofia.
Quella ad esempio, birichina e suadente, che
dando segni d'ironia, impregna - "impastandolo"
di sé - il brano intitolato "Prima
del gong": "Assalito ovunque dalle
sue farine, il giovane fornaio era tutto bianco
come Pulcinella. Impastava energico la prima
luce del giorno affondandoci le dita e il peso
del corpo, colpendo l'impasto chiaro con gli
schiaffi e poi lisciandolo sul palmo della mano
quasi pentito, per trarre da esso qualcosa di
buono, una forma. ( ) Anche una piccola
radio portatile prendeva parte al lavoro, sempre
accesa sulla mensola più in alto, che
sancì, quella volta, la fine del mondo:
per mezzo di una voce senza suono, lo speaker
annunciò, interrompendo una nota trasmissione
di musica leggera, che il pianeta stava implodendo
a causa di un improvviso vuoto d'aria formatosi
intorno al suo centro, e che in quelle ore la
crosta terrestre aveva già iniziato ad
accartocciarsi lentamente come la buccia di
una pera marcia. Proclamava ciò in preda
a una specie di terrore isterico che aumentò
come una febbre a ogni parola. Riuscì
comunque a precisare che i migliori geologi
di ogni continente erano concordi nell'affermare
con limitato margine di errore che all'intera
umanità non restava più di mezza
giornata prima della fine ( ) Il fornaio
separò le mani dall'impasto, le avvolse
in un panno asciutto prima di strofinarle davanti
alla faccia come una mosca, andò alla
finestra a controllare il panico che intanto
s'era impossessato delle poche persone già
sveglie in città. Se ne aggiunsero altre,
e lui le osservò per l'intera mattinata
affannarsi a realizzare subito sogni che tenevano
chissà da quanto tempo incalcati nelle
membra. Tutti insieme, in fretta, di corsa,
alla rinfusa... prima del gong! ( )".
Lo si può inevitabilmente constatare:
attraverso la "parabola" del fornaio,
il racconto appena citato configura Francesco
Gazzè come attento e minuto osservatore
delle piccole cose, ch'egli delinea e traccia
con snella incisività, manifestando un
talento notevole di cronista "accorato",
superlativamente preso a studiare i contorni
e il nucleo della realtà, per "rigovernarli
in codice" con l'intervento e l'appoggio
della fantasia.
Insomma, si cede quasi alla tentazione di vederlo
- il nostro autore - come perennemente affacciato
ad una finestra china sulla vita: sì,
eccolo mentre (bloccandosi nel pieno raggio
della finestra aperta) s'impone allo sguardo
dell'aria e cerca di essere la pupilla del vento,
per scoprire così gli uomini nelle infinitesime
particole dei gesti. Risultato eccellente e
lirico: Gazzè riesce in questo modo ad
avvolgere, nei propri occhi di narratore, la
vicenda complessiva delle persone comuni e quotidiane,
con tutte le loro ansie, egoismi e volatili
euforie. Che sono, in ultima analisi, i sottomultipli
delle ore.
Chiaro dunque come il suo libro, altro non sia
che un'antologia di contenuti e sostanze variegate:
so-stanze da pranzo, di cui il lettore deve
cibarsi (masticando a fondo col cuore e la mente)
per mitigare la notte reciproca, instauratasi
- ormai da troppo - fra l'uomo e i sentimenti.
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