Non
compro molti CD, piuttosto ne scambio
con amici, li prendo in
biblioteca. Più economico.
Ma quello di Joe Henry l'ho acquistato.
L'avevo ascoltato per la prima volta
su Lifegate Radio. Non sapevo chi fosse.
Mai sentito prima. Ma quell'ascolto
casuale mi colpì molto. Qualche
giorno dopo un'altra canzone dal suo
album TINY VOICES. Un altro centro.
Le atmosfere notturne da 'afterhours',
le armonie essenziali, la voce un poco
strascicata, il fruscio jazzy degli
arrangiamenti, il sostegno quasi minimale
dell'accompagnamento erano motivi più
che sufficienti per farmi mettere sulle
sue tracce. Chi è? Cos'altro
ha inciso? Chi suona con lui?
La prime ricerche le effettuo su internet
e salta fuori che Joe Henry incide da
molti anni. Ma non il genere sentito
alla radio qualche giorno prima. I dischi
precedenti sono di country soul rock.
Beh, penso, un bel pastone musicale!
Ma questo disco è qualcosa di
diverso eppure ci ho sentito dentro
armonie, stati d'animo che conosco (ciò,
di solito, viene additato come il segno
del genio: proporre in modo semplice
ed essenziale qualcosa che in molti
riconoscono), melodie che posso aver
già sentito magari in qualche
disco di... Tom Wiats, quello degli
esordi.
Eppure Joe Henry paga pegno al celeberrimo
caposcuola, ma senza ripeterne pedissequamente
le tracce (altri, in Italia hanno fatto
fortuna riproponendone atteggiamenti
e sonorità). L'artista propone,
invece, una sua visione intima, poetica
e sognante della propria concezione
musicale.
La ricerca su internet svela che le
mie impressioni hanno fatto centro.
Innanzitutto il disco precendente, SCAR,
è stato inciso presso la stessa
casa discografica in cui Tom Waits ha
inciso i suoi ultimi quattro lavori.
Se ciò non bastasse come refernza,
in quel disco hanno suonato musicisti
del calibro di Ornette Coleman, il padre
del free jazz, e Marc Ribot, un chitarrista
che si è cimentato su molti fronti
musicali (dal latin jazz al root al
rock jazz
).
Beh, la mano corre quasi automaticamente
al portafogli!
Ascoltare musica significa seguire delle
tracce esili che sono fatte soprattutto
di emozioni, di conoscenze e di un po'
di memoria. Nel momento in cui queste
tre componenti si mischiano a dovere,
allora le coincidenze si presentano
in modo quantomai numerose. La legge
karmica musicale all'opera non conduce
per forza in un megastore di CD, anzi
di solito porta molto distanti da esso.
Così, acquistato il CD, per prima
ne ammiro la copertina: un gruppo di
artisti circensi fuori da un edificio.
Il retro: un particolare di un ritratto
di una donna (una madonna che suona
un organo). Il piatto del CD è
giallo. Lo inserisco nel lettore, schiaccio
PLAY e Joe Henry inizia a cantare. Il
primo brano un po' mi spiazza, l'approccio
è vagamente molto dance. Mi sarò
ingannato? Il booklet, sul fronte, ha
due sfere rosse (una più grande
e una più piccola), sul retro,
il primo piano di un jukebox (?). L'interno:
la prima pagina contiene un primo piano
di Joe Henry: un ragazzo piuttosto giovane,
di bell'aspetto, lo sguardo penetrante
(devo averlo, mi dico, è il suo
CD, è la sua ultima fatica, deve
trasmetterti la sua convinzione che
sia il miglior lavoro fatto fino a oggi).
Ascolto la sua voce. Lo guardo mentre
mi osserva dal suo (ormai mio) libretto.
La sua voce procede indolente attacca
il suo secondo brano: ANIMAL SKIN. Leggo
alcuni versi delle sue canzoni ma, soprattutto,
sono le canzoni che mantengono le promesse
di quel primo ascolto radiofonico.
Sfoglio le pagine del libretto arrivo
alla penultima dove sono riportati i
nomi dei MUSICIANS. E, ancora una volta,
le coincidenze, la karmica musicale,
hare hare hare. Gli ascolti fatti fino
a oggi, mi danno una volta di più
ragione. Ritrovo, e solo per farla breve,
Don Byron, clarinettista/sassofonista
ecclettico e poliedrico, il trombettista
Ron Miles e lo special guest Jim Keltner.
E la canzoni si susseguono, e penso
che ho fatto bene ad acquistare TINY
VOICES, che si tratta di uno dei migliori
CD degli ultimi tempi, che vorrei ascoltare
sempre musica come questa: nuova eppure
già nota.
Alessandro
Tacconi
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