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Joe Henry
Tiny Voices
2004 ANTI


Non compro molti CD, piuttosto ne scambio con amici, li prendo in
biblioteca. Più economico.
Ma quello di Joe Henry l'ho acquistato. L'avevo ascoltato per la prima volta su Lifegate Radio. Non sapevo chi fosse. Mai sentito prima. Ma quell'ascolto casuale mi colpì molto. Qualche giorno dopo un'altra canzone dal suo album TINY VOICES. Un altro centro. Le atmosfere notturne da 'afterhours', le armonie essenziali, la voce un poco strascicata, il fruscio jazzy degli arrangiamenti, il sostegno quasi minimale dell'accompagnamento erano motivi più che sufficienti per farmi mettere sulle sue tracce. Chi è? Cos'altro ha inciso? Chi suona con lui?
La prime ricerche le effettuo su internet e salta fuori che Joe Henry incide da molti anni. Ma non il genere sentito alla radio qualche giorno prima. I dischi precedenti sono di country soul rock. Beh, penso, un bel pastone musicale! Ma questo disco è qualcosa di diverso eppure ci ho sentito dentro armonie, stati d'animo che conosco (ciò, di solito, viene additato come il segno del genio: proporre in modo semplice ed essenziale qualcosa che in molti riconoscono), melodie che posso aver già sentito magari in qualche disco di... Tom Wiats, quello degli esordi.
Eppure Joe Henry paga pegno al celeberrimo caposcuola, ma senza ripeterne pedissequamente le tracce (altri, in Italia hanno fatto fortuna riproponendone atteggiamenti e sonorità). L'artista propone, invece, una sua visione intima, poetica e sognante della propria concezione musicale.
La ricerca su internet svela che le mie impressioni hanno fatto centro.
Innanzitutto il disco precendente, SCAR, è stato inciso presso la stessa casa discografica in cui Tom Waits ha inciso i suoi ultimi quattro lavori. Se ciò non bastasse come refernza, in quel disco hanno suonato musicisti del calibro di Ornette Coleman, il padre del free jazz, e Marc Ribot, un chitarrista che si è cimentato su molti fronti musicali (dal latin jazz al root al rock jazz…).
Beh, la mano corre quasi automaticamente al portafogli!
Ascoltare musica significa seguire delle tracce esili che sono fatte soprattutto di emozioni, di conoscenze e di un po' di memoria. Nel momento in cui queste tre componenti si mischiano a dovere, allora le coincidenze si presentano in modo quantomai numerose. La legge karmica musicale all'opera non conduce per forza in un megastore di CD, anzi di solito porta molto distanti da esso. Così, acquistato il CD, per prima ne ammiro la copertina: un gruppo di artisti circensi fuori da un edificio. Il retro: un particolare di un ritratto di una donna (una madonna che suona un organo). Il piatto del CD è giallo. Lo inserisco nel lettore, schiaccio PLAY e Joe Henry inizia a cantare. Il primo brano un po' mi spiazza, l'approccio è vagamente molto dance. Mi sarò ingannato? Il booklet, sul fronte, ha due sfere rosse (una più grande e una più piccola), sul retro, il primo piano di un jukebox (?). L'interno: la prima pagina contiene un primo piano di Joe Henry: un ragazzo piuttosto giovane, di bell'aspetto, lo sguardo penetrante (devo averlo, mi dico, è il suo CD, è la sua ultima fatica, deve trasmetterti la sua convinzione che sia il miglior lavoro fatto fino a oggi).
Ascolto la sua voce. Lo guardo mentre mi osserva dal suo (ormai mio) libretto. La sua voce procede indolente attacca il suo secondo brano: ANIMAL SKIN. Leggo alcuni versi delle sue canzoni ma, soprattutto, sono le canzoni che mantengono le promesse di quel primo ascolto radiofonico.
Sfoglio le pagine del libretto arrivo alla penultima dove sono riportati i nomi dei MUSICIANS. E, ancora una volta, le coincidenze, la karmica musicale, hare hare hare. Gli ascolti fatti fino a oggi, mi danno una volta di più ragione. Ritrovo, e solo per farla breve, Don Byron, clarinettista/sassofonista ecclettico e poliedrico, il trombettista Ron Miles e lo special guest Jim Keltner.
E la canzoni si susseguono, e penso che ho fatto bene ad acquistare TINY VOICES, che si tratta di uno dei migliori CD degli ultimi tempi, che vorrei ascoltare sempre musica come questa: nuova eppure già nota.

Alessandro Tacconi

 

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