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Alessandra
Spagnolo
Mary Shelley e il mostro di Frankenstein
Mary
Shelley, dall'incubo di una donna una critica
immortale ad orgoglio e presunzione dell'uomo
"scientifico": Frankestein!!!
Benché l'opera di Mary Shelley non
si limiti soltanto alla creazione del racconto
che le ha donato l'immortalità, questo
lavoro rimane quello più importante
e senz'altro quello di maggiore attualità.
L'esplicita critica contenuta in esso verso
la nascente figura dello scienziato moderno,
ben si lega alle moderne polemiche sulla clonazione
umana, di cui il mostro creato dal Dott. Frankestein
può essere senz'altro simbolo.
L'occasione che portò alla creazione
del libro è ben note e documentata:
la stessa autrice la racconta nella prefazione
della prima edizione del libro. Durante il
soggiorno dei coniugi Shelley in compagnia
di un gruppo di intellettuali, a Ginevra a
Villa Diodati, una delle dimore di Lord Byron,
l'intera brigata decise di cimentarsi nella
creazione di storie dell'orrore, dando vita
ad una sorta di gara. Tale tema era stato
suggerito dallo stesso Byron per vincere la
malinconia dell'estate piovosa del 1816, in
quanto stava leggendo alcuni racconti tedeschi
di quel tipo. Dopo aver provato con svariati
soggetti, Mary fece un "sogno ad occhi
aperti", da cui nacque il racconto che
venne sviluppato in un romanzo su suggerimento
del marito. L'autrice, nell'opera, mantiene
il legame con la Svizzera, ad omaggio della
sua fonte d'ispirazione, ambientandolo fra
quelle montagne che tanto l'avevano colpita.
La rielaborazione dell'idea non fu rapida:
rimasta vedova improvvisamente nel dicembre
del 1816, non riuscì a terminare che
l'anno successivo. Il primo editore a cui
si rivolse, facendo passare il suo manoscritto
per quello di un giovane autore, rifiutò
il libro, che venne poi pubblicato da Lackington,
Allen and Company, nel marzo 1818. L'opera
non ebbe un successo immediato, bensì
suscitò discussioni e polemiche, infatti
la fortuna dell'opera è piuttosto tardiva.
E' il cinema che consacra definitivamente
il mostro: se ne contano sei versioni cinematografiche
più innumerevoli produzioni minori.
Il libro possiede molte chiavi di rilettura
critica. Le dichiarate radici oniriche di
questo classico dell'orrore lo inseriscono
a pieno titolo nella corrente ossianica preromantica
inglese che vede svilupparsi parallelamente
in pittura quel filone vedutista, che contiene
in se i germi dell'impressionismo che ha come
massimo esponente Turner. Il genere delle
Gothic Novel era nato nel 1764 con la pubblicazione
del Castello di Otranto di Horace Walpole
ed è un genere che si lega alla poetica
del sublime, che caratterizzerà l'urlo
romantico tedesco. Il racconto, con le sue
atmosfere cupe fatte di ghiacci di terribile
bellezza, città di cui vengono descritti
solo freddi gabinetti scientifici, e terre
isolate in cui vengono compiuti esperimenti
inenarrabili, espande quelli che sono i motivi
tipici della tradizione gotica, cioè
le oscure prigioni, i passaggi segreti, i
poteri oscuri, inserendo, quale potere occulto,
quello della scienza che sfugge al controllo.
E' un tema che si ritrova spesso sia nella
cinematografia contemporanea che nella letteratura
posteriore all'uscita di Frankestein.
La critica alla fiducia positivista nella
scienza e nelle sue possibilità è
esplicita nell'accostamento di Frankestein
con la figura di Prometeo. Egli precorre i
tempi, ma il suo scopo non è la crescita
del sapere bensì un egoistico dominio
dei fenomeni che regolano la vita e la morte,
per cui è inevitabile il richiamo alla
figura del Dott. Faust, associazione che è
particolarmente evidente nel secondo capitolo,
dove l'autrice descrive lo scienziato al lavoro
e nel quarto, dove ella si pone la questione
morale sul ruolo e sui limiti della scienza,
argomento di assoluta attualità. Ad
oggi la scienza è arrivata al limite
della creazione di nuovi esseri tramite la
clonazione, pratica che viene utilizzata a
scopi sperimentali ma che ha possibilità
di utilizzi oscuri infiniti: si pensi soltanto
alla selezione dei caratteri, all'eliminazione
degli handicap, che possono essere anche letti
in chiave ottimistica, ma richiamano pericolosamente
gli ideali di selezione della razza propugnati
dal Fuhurer.
La rilettura in chiave morale dell'opera,
oltre a porre la questione irrisolta del limite,
pone anche quella del rapporto fra bene e
male ed esplora il campo dei conflitti di
personalità. L'analisi dell'opposizione
fra il bene ed il male vede altri illustri
esempi, quali Dr. Jekyll and Mr Hyde di Stevenson
oppure Il ritratto di Dorian Gray. Il tema
porta evidenti richiami alle polemiche illuministiche
sul predominio della ragione sull'istinto.
Nel libro della Shelley i due caratteri sono
le due facce opposte e complementari di una
stessa personalità e possono esistere
solo in funzione una dell'altra. Nella sua
funzione di creatore che dona e nega la vita,
lo scienziato Frankestein si innalza al ruolo
di divinità che stabilisce un rapporto
di dipendenza negativa con la creatura da
lui creata e rifiutata. Cieco ai richiami
della ragione non percepisce né la
potenza della propria creazione, né
la rovina che può derivarne. Solo davanti
al compito di fornire una compagna a quella
creatura che gli è figlia, e, quindi
dargli un possibile futuro, tormentato dalla
sua coscienza, comprende che il suo destino
è legato a quello del mostro e la gravità
delle sue responsabilità. La rivolta
della creatura contro il suo creatore ricalca
il tema faustiano della punizione. Può
essere anche letto come la rivolta di Adamo
contro il Dio suo padre. Però il potere
che crea il mostro non è positivo,
bensì è il frutto di una violenza
sulla natura perpetrata da un uomo che, avvalendosi
dell'alibi della scienza, divorzia dalla moralità
in nome della conoscenza, per cui altro non
può creare che un abominio.
In realtà la personalità del
mostro sviluppa il tema dell'escluso, del
diverso. Egli richiama il mito del buon selvaggio
di stampo roussoniano, egli apprezza la bontà,
l'amore, è capace di emozioni profonde.
La società però non è
in grado di accettarne la deformità,
così come il suo creatore non è
in grado di accettarne la responsabilità.
Egli è consapevole di essere condannato
alla solitudine ed è per costringere
il proprio ideatore ad ovviarla che commette
razionalmente i propri crimini, percependone
tutto il peso del rimorso. In effetti può
essere considerato a buon titolo un eroe tragico,
espressione di un'ingiustizia sociale. Solo
l'isolamento, concetto già del tutto
Romantico, può permetterne la sopravvivenza
e la sua unica forma di rapporto sociale può
essere solo il suo creatore con cui instaura
un equilibrio vittima-carnefice a doppio senso.
Proprio con l'inseguirsi delle personalità
nella completa solitudine dei ghiacci del
Polo Nord, che non possono che tendere all'annullamento
reciproco, che termina il libro. La morte
dello scienziato rende vana la fuga del mostro
e quindi il suo scopo di vita.
Nessuna delle pellicole scaturite dal libro
hanno mai messo in luce la natura intellettualmente
elevata del mostro: i registi si sono sempre
limitati ad accentuare l'aspetto di fuga dal
limite, dell' incontrollabilità del
risultato, dell'opposizione di bontà
e cattiveria, senza percepire la profondità
della riflessione sulla corruzione delle due
nature complementari, preferendo il lato spettacolare
del racconto. Questo è comunque un
limite comune delle riletture con scopo cinematografico:
difficilmente il lato spettacolare viene sacrificato
a quello filosofico, per cui si assiste ad
un impoverimento del tema, quando non ad una
palese distorsione, come è avvenuto
in questo caso. La maschera del mostro, che
in realtà non ha un nome, in quanto
il suo creatore gli nega anche quello, è
diventata nell'immaginario collettivo quella
dell'esperimento fallito, che ricalca le immagini
moderne degli animali dai colori innaturali
prodotti artificialmente. La domanda che viene
spontanea è se questi scienziati, come
le opere cinematografiche, non abbiano perduto
il senso dell'etica, così presente
invece nell'opera della Shelley.
Alessandra Spagnolo
s.alessandra1@virgilio.it
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