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Da
Cappuccetto Rosso a Capopuccetto Nero
psicoanalisi di una fiaba
a cura di Livia Bidoli
Di
nuovo c'è solo ciò che si è
dimenticato. Rose Bertin, sarta di Maria Antonietta
Della fiaba di Cappuccetto Rosso esistono
tre versioni: la più antica è
quella di Charles Perrault (Parigi, 1628-1703)
che battezza, insieme alle altre che compongono
la raccolta, il "bizzarro ingresso [delle
fiabe] nella letteratura avvenuto nel 1697
con le Histoires ou contes du temps passé
[Storie o racconti del tempo passato]"
. La raccolta di Perrault, il cui titolo completo
recitava Histoires ou contes du temps passé,
avec des moralités, è più
conosciuto come i Racconti di Mamma l'Oca,
[Contes de ma mère l'Oye], come ci
ricorda Italo Calvino, anche lui originale
inventore novecentesco di fiabe e curatore
delle raccolte di fiabe dei fratelli Grimm
. Questa prima edizione di Perrault , del
1695 era ascritta al figlio, Pierre Perrault
D'Armancourt, che sicuramente ha collaborato
alla stesura. Fra il testo di Perrault e quello
dei Grimm della medesima favola passa più
di un secolo, come ci informa Calvino: "il
primo volume dei Kinder- und Hausmärchen
(letteralmente Fiabe per bambini e famiglie)
fu pubblicato nel 1812, e il secondo volume
nel 1815" . Inoltre la corte del Re Sole,
Luigi XIV, sottintendeva un'atmosfera elegante:
era l'epoca della "Querelle des Anciens
et des modernes" all'Académie
Française (Perrault faceva parte dei
"moderni"), e Perrault aprì
la strada a quei contes de fées (racconti
di fate) per cui divenne tanto famosa Madame
D'Aulnoy: Les contes des Fées e Les
Fées à la mode, dove "il
"meraviglioso" domina [
] con
sfarzo" .
Tutt'altro il clima in cui scrivevano gli
studiosi fratelli Grimm, a cui si deve la
rotazione linguistica omonima, sapienti filologi
dedicatisi alla ricerca delle origini del
linguaggio e dei miti germanici, ed in piena
esplosione della sensibilità romantica
che contribuiva ad identificare la radici
storiche ed autoctone, richiedendo il recupero
della tradizione orale anche attraverso una
pura trasmissione della favolistica di matrice
teutonica.
Non ci addentreremo oltre nei rilievi storici
poiché l'analisi che ci compete ha
scelto un altro quadrante, ovverosia il confronto
tra la tradizione antica nelle favole e quella
contemporanea che si annuncia in nero, per
questo affronteremo la disamina da un punto
di vista psicoanalitico che verterà
sulla favola di Cappuccetto Rosso nelle versioni
di Perrault e di Grimm per l'antico, e di
Angela Carter e Gordiano Lupi per una eversiva
trasposizione contemporanea.
La sinossi della favola prima di tutto: Le
Petit Chaperon Rouge di Perrault racconta
la stessa storia dei Grimm come riassume per
noi Bruno Bettelheim: "la nonna [ha fatto]
alla sua nipotina un piccolo mantello rosso
col cappuccio che aveva procurato alla bambina
il soprannome di Cappuccetto Rosso" ,
la bimba viene mandata dalla nonna a portare
del cibo con l'avvertimento della mamma di
non allontanarsi dal sentiero quando si troverà
in mezzo al bosco (perché la nonna
abita ai suoi margini) e di stare attenta
ai lupi. La bambina incontrando un lupo e
non seguendo il divieto materno di non attardarsi
nel bosco e di non discostarsi dal sentiero,
fa si che il lupo raggiunga per primo la casa
della nonna (di cui lei stessa ha indicato
l'ubicazione), divori la nonna e poi divori
lei. La fiaba di Perrault termina così,
senza una vera "azione", sentiamo
Propp cosa ci dice in proposito: " Il
cattivo [il lupo] arreca un danno o una lesione
ad uno dei membri della famiglia. [
]
La partenza, la violazione della proibizione,
la delazione, l'inganno andato a segno preparano
questa funzione. [
] Le prime sette possono
perciò essere considerate funzioni
preparatorie della fiaba mentre il danneggiamento
costituisce l'inizio dell'azione" . La
storia narrata da Perrault quindi non trova
una soluzione o una redenzione dell'eroe,
in questo caso Cappuccetto Rosso, ma tenta
invece di terrorizzare i bambini per non farli
deviare dal sentiero che in termini metaforici
sono le direttive dei genitori. La fiaba di
Perrault ha un intento moralizzante soprattutto
per le bambine, poiché è del
tutto evidente quanto il lupo rappresenti
un seduttore che indica le bellezze della
natura, i fiori, alla bambina da poco entrata
nella pubertà. Erich Fromm conferma
che "il "cappuccetto di velluto
rosso" è un simbolo delle mestruazioni.
La ragazzina di cui ascoltiamo le avventure
è diventata una donna matura e si trova
ora di fronte al problema del sesso. L'ammonimento
di "non allontanarsi dal sentiero"
[
] è un chiaro avvertimento contro
i pericoli del sesso e contro quelli di perdere
la propria verginità" .
Fermandoci alla fiaba di Perrault, e al processo
dell'inghiottimento da parte del lupo, prima
della nonna e poi di Cappuccetto Rosso, esaminiamo
in profondità che relazioni si istituiscono
fra questa azione e la sessualità del
lupo e della bambina. Aldo Carotenuto ci spiega
cosa significa in termini psicoanalitici l'azione
precipua del lupo: "divorare l'altro
implica la possibilità che anche l'altro
possa divorare. Il lupo della fiaba di Cappuccetto
Rosso è un'incarnazione di tali paure,
così come l'immagine della strega che
ingrassa Hansel e Gretel prima di farne pietanze
succulente" . Il lupo potrebbe a questo
punto incarnare dei desideri rimossi e l'assenza
del principio maschile nella fiaba, nota Bettelheim:
"dal principio alla fine di Cappuccetto
Rosso non si fa il minimo accenno a un padre.
[
] Ciò suggerisce che il padre
è presente, ma in forma nascosta. [
]
Il padre è in effetti presente in Cappuccetto
Rosso in due forme opposte: come lupo, che
incarna i pericoli di violenti sentimenti
edipici, e come cacciatore nella sua funzione
protettiva e salvatrice" . Il cacciatore
come figura salvifica delle due donne, presente
soltanto nella versione dei Grimm.
La voracità, caratteristica saliente
del lupo, la sua brama di carne, soprattutto
in senso sessuale, ci ricorda Hertz "il
più lascivo dei nostri grandi quadrupedi"
e "gli psicoanalisti [lo] associano al
concetto sadico infantile di coito" che
deriva da una "fissazione" alla
fase orale, pregenitale, chiamata anche "cannibalica"
dallo stesso Freud. Si tratta di una fase
in cui attraverso la nutrizione si manifesta
la pulsione sessuale ancora non gestita, anzi
regredita. Prendiamo in considerazione un
quadro concreto esaminato da Freud, di un
suo paziente, il cosiddetto Uomo dei lupi.
Uno dei sogni centrali di questo bambino di
quattro anni (analizzato però da adulto,
a 23 anni), riguarda dei lupi che mette in
associazione con la favola di Cappuccetto
Rosso ma che Freud scoprirà appartenere
invece alla fiaba del Lupo e i sette capretti.
Le due favole hanno parecchi elementi in comune
e Freud li elenca: "in entrambe c'è
il divorare, la pancia che viene aperta con
un taglio, l'estrazione di coloro che sono
stati divorati, la loro sostituzione con grossi
sassi; infine, in entrambe le fiabe il lupo
cattivo perisce" . Risulta chiaro che
la fiaba consultata da Freud è quella
dei Grimm, dove il cacciatore libera la nonna
e Cappuccetto Rosso dalla pancia del lupo
che in seguito viene riempita di pietre dalla
bambina. Il lupo di Cappuccetto Rosso utlizza
una modalità cannibalica di rapportarsi
a lei: la divora inghiottendola, quindi portandola
dentro di sé, agendo una assimilazione.
Fromm, commentando la favola asserisce giustamente:
"il maschio è rappresentato come
un animale crudele e astuto e l'atto sessuale
è descritto come un atto di cannibalismo
in cui il maschio divora la femmina"
. Questo atto corrisponde secondo Freud ad
"una prima organizzazione sessuale pregenitale
[che] non è separata dalla presa degli
alimenti [
]. Le due attività,
sessuale e alimentare, hanno lo stesso oggetto
e lo scopo sessuale è costituito dall'incorporazione
dell'oggetto" . L'incorporazione come
abbiamo visto prima è anche paura e
identificazione con l'altro in quanto "l'assimilazione
dell'Altro [si attua] ai fini della preservazione
del Sé, l'inglobamento della vita [
]
può darsi in due modi: attraverso l'atto
cannibalico che assume, nella carne dell'altro,
il suo spirito vitale, la sua forza, il suo
plusvalore di energia" , spiega Alessandro
Serpieri. La versione di Cappuccetto Rosso
di Gordiano Lupi , con un lupo terrorizzato
da una Cappuccetto Rosso vestita come una
prostituta e la cui seduzione è assolutamente
mortifera e distruttiva, è un'inversione
rivelatoria della fiaba che pone la bambina,
ora completamente sviluppata, come archetipo
di una madre divorante, una Medusa, una Lilith
che si deve sconfiggere. E' il complesso di
Giona che, come ci spiega Durand: "è
eufemizzazione dell'inghiottimento, poi antifrasi
del contenuto simbolico dell'inghiottimento.
Trasfigura lo strazio della voracità
dentaria" che divora prima di essere
divorato, denunciando implicitamente la propria
vulnerabilità. Nella fiaba tradizionale
è il lupo a sedurre Cappuccetto Rosso
indicandole e facendole apprezzare la bellezza
dei fiori, mentre nel racconto di Angela Carter
(1940-1992) The Company of Wolves una Cappuccetto
Rosso en noir viene sedotta da un ragazzo
che è un lupo mannaro e, rovesciando
il finale classico, accetta di condividere
con lui la sua natura carnale di lupo mannaro
bruciando i vestiti nel caminetto . Barbara
Lanati, nella sua introduzione alla raccolta
della Carter commenta così la scelta
dell'autrice: "la paura [
] che,
secondo gli schemi tradizionali della fiaba,
attanaglia i protagonisti, ne paralizza i
movimenti e le scelte [
] in Angela Carter
sarà vinta. Solo quando i protagonisti
cesseranno di avere paura dei loro potenziali
esecutori, siano essi lupi, tigri o leoni,
a metà tra l'uomo e l'animale [il lupo
mannaro], imprigionati [
] nel loro ruolo
di carnefice, solo allora, la "storia"
cambierà" . Impadronirsi del ruolo
di carnefice da parte della vittima non è
però una conquista, piuttosto una riproduzione
della medesima aggressività del lupo,
dello stesso divoramento che fanno permanere
il bambino allo stadio pregenitale, come dice
Bettelheim "il pericolo per Cappuccetto
Rosso consiste nella sua sessualità
in boccio [
] e una sessualità
prematura è un evento regressivo, che
porta alla superficie tutto quanto è
ancora primitivo in noi e che minaccia di
inghiottirci" . Questa lettura è
comprovata anche dalla versione di Perrault,
in cui il lupo è chiaramente un seduttore,
dove Cappuccetto Rosso si infila nel letto
prima di essere mangiata . Nel racconto della
Carter la bambina-adolescente (sono più
volte nominate le "sue mestruazioni")
si spoglia prima di entrare nel letto dove
sta il lupo mannaro, evidentemente per sedurlo
anche lei. Nel film omonimo di Neil Jordan
(The Company of Wolves, 1984), la cui sceneggiatura
è stata scritta insieme ad Angela Carter,
vi è una trasposizione fedelissima
dei motivi centrali del racconto: la seduzione
di Cappuccetto Rosso ed una certa sotterranea
fascinazione per questi esseri dotati di un
potere ipnotico (lo sguardo del lupo nel film
è simile a quello ammaliatore di Circe),
ed anche per la loro fedeltà eterna
all'oggetto d'amore (l'episodio del ritorno
di un lupo mannaro sposato sette anni prima
da una contadina che lo vide scomparire la
notte stessa delle nozze ) che testimonia
ima fissazione ossessiva. In questo sguardo
ipnotico del lupo si incrocia il potere d'irretire
del vampiro, suo parente prossimo, così
come nel poema Christabel (1797) di Coleridge
, l'omonima fanciulla viene affascinata da
Geraldine: "And Crhistabel saw the lady's
eye,/ And nothing else saw she thereby"
(vs. 160-161). Geraldine è un vampiro
che succhia l'energia di Christabel, ed anche
qui abbiamo un padre (ed un principio maschile),
Sir Leonine, assente, e che, anzi, protegge
Geraldine dalla presunta "gelosia femminile"
della figlia. La seduzione, col suo potere
terrifico, distruttivo e divorante, si presenta
al maschile e al femminile: in lupo, in vampiro,
in tutti quei mostri prodotti dalla mitologia,
dall'antropologia, dalla letteratura, dalla
religione, dal folclore, etc, per esprimere
fantasmi intrinsecamente umani, il cui valore
simbolico è rappresentativo delle loro
potenze psichiche.
Jacques Bril chiarifica come "tra le
due serie di immagini, quella della seduzione
e quella del terrore, troveremo [
] sovrapposizioni
e commistioni, come nel caso per esempio,
del cavallo o addirittura del lupo mannaro,
che sul piano dell'immaginario, incarnano
simultaneamente l'una e l'altra" . Il
vampiro, Lilith, il cavallo e il lupo mannaro
sono tutti partecipi di due attributi: il
volo notturno e il cannibalismo, difatti si
credeva che il lupo mannaro come le streghe
volasse e partecipasse al Sabba . Si scopre
poi come esista fra questi esseri una parentela
anche etimologica, dalla radice indoeuropea
*mer sembrano discendere "parole evocatrici
di morte e, più precisamente, di una
morte lenta per manducazione o per soffocamento"
. In Metzengerstein (1832) di Edgar Allan
Poe, il mostro seducente è rappresentato
difatti da un cavallo fulvo con cui il proprietario
del castello omonimo passa ogni notte, fino
a non staccarsene più e morire tra
le fiamme del castello in groppa al cavallo.
Una delle caratteristiche rilevanti di questo
cavallo la cui origine è sconosciuta,
probabilmente appartenente alla scuderia del
nemico Berlifitzing che Metzengerstein ha
fatto mettere a fuoco, piuttosto la metempsicosi
dello stesso Berlifitzing e del senso di colpa
che produce la paura di Metzengerstein, che
"sono i denti giganteschi ed aguzzi,
terrorizzanti per Metzengerstein in quanto
divoratori: sono l'emblema dell'animalità
pura, dell'aggressività che si manifesterà
nel cavallo metamorfizzato in animale. Il
"complesso di Giona", (a cui avevo
accennato nello studio di "Ligeia"
), ovverosia dell'inghiottimento, è
simbolizzato da queste fauci dentate"
. In questo lavoro mi riferivo al cavallo
nell'arazzo ma il cavallo nell'arazzo è
il cavallo che monta ogni notte Metzengerstein,
perché trattasi di un'immagine fantasmatica.
Questo cavallo, la cui radice primordiale
MR è costante di signficanti legati
a queste figure, ha una dimensione ancora
più vicina al cavallo in quanto mare,
che compone la parola nightmare (incubo in
inglese) significa femmina del cavallo, e
mara si riferisce invece all'Incubus o Succubus,
i demoni notturni. La trasformazione in animale,
sintomatica sia del lupo mannaro che del vampiro,
è un tratto tipico anche della mitologia
sul cavallo : inoltre, sia il cavallo infernale
che il lupo mannaro traghettano nell'aldilà,
sono degli psicopompi secondo varie tradizioni
a cominciare da quella egizia. In qualche
modo rigettano nel ventre, ora mortifero,
delle tenebre: poiché il cavallo è
femmina prima di tutto, Bril ci ricorda che
"per il mondo dell'immaginazione [il
cavallo è] creatura materna [
]
che avvicina il cavallo fantasmatico a tutti
quei mostri femminili nei quali si ritrovano
uniti pericoli e seduzione. [
] Sempre
accade che fantasie di cavalcate siano universalmente
da mettere in relazione con l'atto sessuale"
. Esistono credenze, ci informa Jones, per
cui "se una donna s'infila attraverso
la cavezza di un cavallo per assicurarsi un
parto facile, il bambino sarà una Mara
(Incubus o Succubus). Se allo stesso fine,
si avvolge nell'amnio di una giumenta, il
bambino, se maschio diverrà un lupo
mannaro, e se femmina, una Mara" .
Il ventre ed il parto stesso vengono associati
alla produzione di mostri che rimandano al
ventre del lupo di Cappuccetto Rosso riempito
di pietre, Fromm ci indica come il lupo venga
"messo in ridicolo [
] perché
ha tentato di recitare la parte di una donna
incinta, portando nel suo ventre esseri vivi"
. Il lupo muore, nella favola dei Grimm, per
la pesantezza delle pietre, simbolo di sterilità,
ma il ventre ed ogni cavità, sono isomorfe
sia del mondo intrauterino che del sepolcro,
suggerisce Durand, sia della nascita che della
morte. Nella versione di Perrault, ferma all'inghiottimento,
la favola termina con una regressione della
bambina, intrappolata nel ventre materno:
non si verifica un'iniziazione al mondo adulto
permessa dal cacciatore e poi da lei stessa
in collaborazione con la nonna, come nel secondo
finale dei Grimm. Nella fiaba proposta dai
Grimm, infatti, un secondo lupo muore nella
tinozza d'acqua preparata da Cappuccetto Rosso
e dalla nonna: perisce per mezzo di un simbolo
profondamente femminile, l'acqua, e sconfitto
dalla loro astuzia. Questa vittoria è
corrispettiva di un'evoluzione della bambina
e dei suoi aspetti più immaturi e legati
al principio di piacere: uscire dal grembo
del lupo significa rinascere e salire ad uno
stadio più alto dello sviluppo dell'Io
senza cedere alle lusinghe di quello che Verena
Kast chiama "'principio avido'. Ciò
che lo caratterizza sono la fame e il desiderio
di lotta. E' aggressivo, bellicoso.[
]
Cappuccetto Rosso incontra l'aspetto aggressivo,
attivo e distruttivo sotto le sembianze d'un
lupo, dunque ancora in forma di animale, di
istinto e pulsione" .
Il lupo, aspetto regressivo del Sé
della bambina e figura fantasmatica della
madre divorante, come Bril richiama alla memoria
perché "lo strato funzionale più
profondo della nutrizione, il quale è
anteriore nel tempo alla funzione sessuale
[
] vuol dire che il linguaggio parabolico
della regressione si trasforma in metafore
di nutrizione e digestione" . Alessandro
Serpieri rincalza il motivo fondamentale:
"nella incorporazione vanno a intrecciarsi
le due pulsioni fondamentali, la sessuale
e la alimentare, e la spinta è ambivalente,
di appropriazione e di distruzione . La psicologia
novecentesca, con Abraham e M. Klein, ha poi
sviluppato la connessione tra processo di
incorporazione e cannibalismo non già
in quanto effettivi ma come figure fantasmatiche
di divoramento dell'altro o di suoi aspetti
parziali" . Questo spiega ampiamente
perché il lupo voglia divorare Cappuccetto
Rosso, leggiamo cosa ci dice a proposito dell'avidità
del lupo Marie-Louise Von Franz: "nell'essere
umano il lupo personifica un desiderio indifferenziato
di divorare tutto e tutti, di avere tutto
[
] a causa di un'infanzia infelice.
Queste persone [
] sviluppano un lupo
affamato dentro di sé. [
] sono
totalmente soggetti alla coazione. [
]
Il lupo provoca in loro un'insoddisfazione
costante, ringhiante. [
] Essi vorrebbero
letteralmente divorare il mondo intero"
.
La Grande Madre divorante, ovverosia gli aspetti
non evoluti dell'Io, rappresentati in Cappuccetto
Rosso dalla nonna (ed anche della madre vera
e propria secondo Verena Kast ) che si trasforma
in lupo , raffigurano una confronto con i
contenuti inconsci del soggetto principale,
in questo caso la bambina, l'attuale nucleo
principale da cui si dipana, come prima svelato,
la fiaba. Il complesso di Giona, dell'inghiottimento,
si rivela come il confronto dell'Eroe (Cappuccetto
Rosso) con la propria parte meno evoluta,
Jung ci spiega quale significato possa avere
uscire dalla pancia di questa balena metaforica:
" [se] esce fuori, spesso in compagnia
di tutti coloro che il mostro aveva inghiottito
prima [la nonna]. In questo modo viene ristabilito
il normale stato precedente, in quanto l'inconscio,
defraudato della sua energia, non occupa più
una posizione privilegiata. Così il
mito [e la fiaba, prodotto diretto del floklore],
che è un sogno dei popoli, raffigura
in maniera molto chiara e trasparente [
]
il confronto con l'inconscio" .
Concludo con la lisi, la soluzione che permette
ad ogni fiaba di rappresentare per il bambino
un giusto scioglimento delle angosce, un corretto
confronto con le proprie paure, una versione
catartica delle proprie fantasie ed un sereno
approccio con gli aspetti negativi e positivi
del Sé. E come Giona uscirà
dalla balena illeso.
© Livia Bidoli
lbidol@tin.it
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