Da DAnnunzio
a Pirandello
di Mario Puccini
Traduzione
di Francisco
Josè Diaz
Editing, ricostruzione ed
integrazione del testo italiano:
Carlo Santulli e Marco
R. Capelli
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redazione@progettobabele.it
Questo saggio critico dell
autore marchigiano - pubblicato in lingua
spagnola nel 1927 da Editorial Sempere
di Barcellona e inedito in Italia
- viene ora pubblicato per la prima volta
in Italia grazie al contributo della
FONDAZIONE
ROSELLINI di Senigallia proprio
nel cinquantennario della morte del suo
autore ed esattamente settanta anni dopo
la stampa della edizione spagnola.
Per la ricostruzione del testo italiano,
ormai perduto, Carlo
Santulli e Marco
R. Capelli si sono basati sulla traduzione
di Francisco
Josè Diaz e su articoli apparsi
tra il 1920 ed il 1940 su quotidiani e
riviste. La pubblicazione di questo libro
rappresenta il coronamento di tre anni
di passione e fatiche. |
RIEMERGE
DALLE CENERI DELLA GUERRA CIVILE SPAGNOLA...
...questo saggio INEDITO IN ITALIA scritto
nel 1927, pubblicato in spagnolo e perduto durante
la guerra civile, viene ora tradotto in italiano
e presentato in occasione del cinquantennario
della morte dellautore (2007).
Siamo venuti in contatto con Da D'Annunzio
a Pirandello quasi per caso. Ci eravamo
occupati su Progetto Babele, di
Mario Puccini, nel 2002, lamentando
il fatto che diverse delle sue opere rimanessero
introvabili, il che ci sembrava singolare, data
la qualità dello scrittore. Sono passati
diversi anni da allora, e altre opere di Puccini
sono state ripubblicate, ma il Puccini critico
rimane largamente inesplorato. Siamo stati contattati
da uno studente spagnolo, Francisco José
Diaz, che aveva svolto una tesi di laurea sulla
traduzione in italiano del Da D'Annunzio
a Pirandello: nonostante le inevitabili
pecche della versione dallo spagnolo, questo
dimostrava che il testo esisteva ancora, ed
era possibile, grazie al contatto con la Fondazione
Rosellini, ricostruirlo in una versione stampata,
specialmente se almeno una parte dell'originale
pucciniano in italiano poteva essere recuperata.
Era credibile, data anche la vastità
del catalogo delle pubblicazioni su giornali
e riviste di Puccini, comprendente alcune migliaia
di numeri, che una buona parte del testo fosse
stata pubblicata in italiano in forma di articolo,
prima o dopo la stesura del libro in spagnolo.
Inoltre, nella traduzione spagnola, c'erano
un certo numero di citazioni di scrittori italiani,
tradotte a senso, una procedura
scorretta in certo qual modo, giustificabile
solo per lingue molto distanti, come lo spagnolo
e l'italiano non sono.
Per ricostruire il testo, in tutti i casi in
cui un testo di riferimento esisteva, abbiamo
dato precedenza alla versione italiana, anche
se questa era cronologicamente precedente di
qualche anno all'uscita del libro.
L'operazione è stata complicata dall'abitudine
dell'autore di modificare i propri testi, magari
in modo estremamente sottile, ogni qualvolta
questi venivano ripubblicati. Può trattarsi
di un aggettivo, di una parola sostituita o
omessa, oppure, persino, di un intero paragrafo
rimosso o aggiunto per ribadire o smorzare un
concetto. Nel caso della traduzione spagnola,
altre modifiche sono dovute alla necessità
di spiegare qualche aggettivo o sostantivo non
chiaro al pubblico spagnolo (per esempio chiarendo
che il crocianesimo deriva dal filosofo
Benedetto Croce) od in altri casi, in testi
successivi al 1925, ci sono
inserti più politici, per
esempio questa frase contro il parlamentarismo,
che compare in un articolo del 18 agosto 1928
sul Corriere adriatico, che riproduce
per il resto quasi esattamente il preambolo
completo di Da D'Annunzio a Pirandello:
Spettatori cioè silenziosi di quel
parlamento romano, dove tutte le mediocrità
d'Italia affioravano e il cicaleccio, la calunnia
e l'insidia aiutavano la loro azione e la loro
ascesa? O attori! [...] Se mai, repubblicani,
socialisti, anarchici o non so che cosa, ma
insomma ribelli, ché, solo essendo ribelli,
ci si poteva sentire uomini liberi, intelligenti,
attivi: rispondere alla tradizione. Più
raramente (ma ci sono) si trovano vere e proprie
modifiche concettuali. Nei casi in cui il testo
spagnolo e quello italiano differiscono, ad
esempio, per la scelta di un aggettivo o di
un sostantivo, abbiamo preferito mantenere l'integrità
del testo italiano.
Un
po' di storia sarà utile: Mario Puccini
pubblicò il suo Da D'Annunzio a Pirandello
nel 1927, in traduzione spagnola, ad opera di
Enrique Alvarez Leyva, per i tipi dell'editore
Sempere di Valencia: Puccini, come ispanista,
era abbastanza conosciuto in Spagna. C'erano
forse altri motivi per divulgare il suo libro
in Spagna, prima che in Italia: in particolare,
il libro trattava, ed in modo non particolarmente
lusinghiero, di Gabriele D'Annunzio; il 1927
è l'anno della formazione dell'Accademia
d'Italia, ed è sicuramente il momento
in cui il fascismo inizia a prestare una certa
attenzione alla cultura, cercando, come poi
avverrà in modo molto più sistematico
negli anni '30, di influenzarla. E D'Annunzio
restava sicuramente, malgrado i suoi rapporti
altalenanti col governo fascista, un nome importante
della cultura italiana dell'epoca. Era in certo
senso urgente, secondo Puccini, chiarire che
l'influenza dannunziana sulla generazione di
scrittori cui egli stesso apparteneva era assai
meno profonda e totalizzante di come poteva
apparire a prima vista.
Comunque sia, il testo di Puccini fu composto
in Italia, e fu il frutto di parecchi anni di
lavoro e di riflessione: alcuni dei testi erano
per esempio comparsi sulla rivista Bylichnis
già tra il 1922 ed il 1923, ma l'introduzione
reca la data dell'agosto 1925, in Falconara.
Tutto il testo è stato pensato come
scritto nella vicinanza della terribile
soglia dei quarantanni, che Puccini
compiva appunto nel 1927, quando lo scrittore
sente di avere quasi un dovere morale di chiarire
il terreno della letteratura attorno a sé,
specialmente mettendo in evidenza quali fossero,
non tanto le sue simpatie personali, quanto
la sua idea di letteratura. Un'idea che rifuggiva
da ogni manierismo o calligrafismo e si rifaceva
al suo grande maestro Verga, che sulla scia
di Manzoni e poi di Carducci, grande romanziere,
ma in poesia, aveva innovato il romanzo
in Italia, secondo schemi non presi totalmente
dal romanzo estero, specialmente francese (anche
se Puccini è costretto ammettere che
Verga inizia il suo percorso letterario ispirandosi
ai romanzi di Emile Zola).
L'idea di fondo di Puccini era quella, partendo
dalla sua propria storia di studente di seminario
nella Senigallia, cioè nelle Marche di
fine Ottocento, di parlare degli scrittori che
egli aveva conosciuto personalmente, o comunque
di quegli autori della nostra letteratura che
grossomodo avevano iniziato ad avere successo
negli anni intorno al 1890. In realtà,
lo schema è contratto o dilatato a piacimento:
per esempio sono inclusi gli scrittori della
Scapigliatura, come Giuseppe Rovani e Carlo
Dossi, i cui maggiori successi datano degli
anni '70 dell'Ottocento. L'importanza degli
scapigliati è per Puccini quella di aver
tentato, non riuscendovi, di proporre un nuovo
tipo di romanzo, innovativo dal punto di vista
linguistico e strutturale, ed anche delle tematiche;
per esempio La colonia felice di
Carlo Dossi, dove si immagina che uno stato
utopistico ed ideale si insedi in un'isola deserta,
ha i suoi punti deboli, secondo Puccini, proprio
nella scarsa adesione del linguaggio alla psicologia
dei personaggi, che è proprio uno degli
aspetti che sarà la radice della forza
singolare del Verga del Ciclo dei vinti.
Un altro Verga, sarebbe potuto essere al nord
Italia Antonio Fogazzaro, ispirandosi ad Ippolito
Nievo, ma, secondo Puccini, il suo limite è
nell'eccessivo autobiografismo, e nel grande
interesse portato alle questioni dottrinarie
e politiche, specie negli ultimi romanzi, piuttosto
che alla rappresentazione oggettiva della realtà.
Puccini, non solo perché i suoi interessi
sono rivolti alla narrativa, include solo moderatamente
la poesia nel testo (ci sono appena dei modesti
cenni, per esempio di Giovanni Pascoli, ed anche
la poesia crepuscolare di Gozzano è appena
accennata in nota, ed in modo piuttosto critico):
si parla solo delle liriche giovanili di Fogazzaro,
un po' si accenna a D'Annunzio poeta, anche
se il grosso della trattazione riguarda il narratore
e, specialmente, l'uomo ed il personaggio, come
vedremo in seguito.
C'è tuttavia un lungo capitolo dedicato
a Giuseppe Ungaretti, che Puccini stimava molto,
avendolo conosciuto in guerra: la loro amicizia
perdurò a lungo, anche nel periodo, intorno
alla metà degli anni '30, in cui Ungaretti
insegnava letteratura italiana in America Latina.
Dal punto di vista storico e letterario, Puccini
riteneva che Ungaretti, vero uomo di pena,
fosse stato in grado, nelle poesie di Allegria
di naufragi, di esprimere con grande efficacia
la pena, la sofferenza di tutti gli uomini che
si trovavano in trincea, specie nel drammatico
periodo della resa di Caporetto, che ha ispirato
tra gli altri anche Ernest Hemingway. Al contrario,
altri scritti di guerra, come il Notturno
di D'Annunzio, lo lasciavano freddo.
Ed in effetti, proprio partendo dall'occasione
della sua lettura del Notturno,
Puccini espone la sua visione del personaggio
D'Annunzio. Puccini ritiene che l'incontro,
quasi cordiale, con D'Annunzio durante la guerra
gli abbia consentito una miglior comprensione
almeno della persona del Vate, se pur dubbi
gli restavano sulla sua opera. Tuttavia, tornato
dalla guerra, leggendo il Notturno,
l'impressione di artificiosità e di calligrafismo
si rinnovava, e questa sensazione di falsità
si propagava al personaggio, che, dopo alcuni
anni dalla fine della guerra, era ancora senza
dubbio in auge, anche se ormai lontano dal reale
impegno politico. Puccini arriva soltanto ad
un parziale riconoscimento dell'importanza storica
di D'Annunzio (dire rivalutazione sarebbe troppo),
indirettamente, cioè parlando del futurismo
di Marinetti, che egli vede come un movimento
di rinnovamento dell'arte dalla crisi dell'uomo
moderno, che era per lui evidenziata sia da
certi aspetti del verismo che dalla sensualità
dannunziana. Dalla crisi, secondo Puccini, non
ne esce Marinetti con le sole armi della poesia,
e di una poesia in fondo dannunziana, perché
non riesce a legare il rinnovamento alla tradizione,
come farà politicamente il fascismo,
di cui il futurismo è in fondo un precursore,
ed è proprio per questo che nel momento
in cui Puccini scrive Da D'Annunzio a
Pirandello, il futurismo, che ormai produce
poco letterariamente parlando, viene celebrato.
Il
riconoscimento, a parere di Puccini eccessivo,
di cui D'Annunzio gode in quel momento, contrasta
con il relativo disinteresse, anche fra i giovani,
per Pirandello, che Puccini considera il miglior
scrittore italiano vivente in quel momento,
superiore quindi non soltanto a scrittori molto
noti negli anni '20, come il suo concittadino
Alfredo Panzini, ma anche allo stesso D'Annunzio.
In particolare, malgrado nei primi anni '20
alcuni drammi di Pirandello, come per esempio
Enrico IV e Sei personaggi
in cerca d'autore, avessero ricevuto,
dopo qualche contrasto, un notevole riscontro
di pubblico e critica, tuttavia manca ancora
secondo Puccini il riconoscimento generale di
Pirandello come un efficace rappresentante
della vita, un profondo conoscitore degli uomini,
un maestro della prosa moderna Parlando
di Pirandello, Puccini si sofferma sull'uso
espressivo e cruciale che egli fa dell'umorismo,
ed a questo proposito non mancano nel testo
menzioni di altri umoristi apprezzati da Pirandello
stesso, uno per tutti il mentovano Alberto Cantoni.
Non mancano altri ritratti molto vividi di scrittori
famosi in quel periodo, ed ancora viventi, come
Panzini appunto, sul quale Puccini scrive un
saggio piuttosto affettuoso, pur se riconoscendo
i limiti umani della sua visione borghese della
vita, specie riferiti a La lanterna di
Diogene, o Giuseppe Antonio Borgese, o
morti di recente, come altri scrittori che Puccini
stima molto: Federigo Tozzi e Adolfo Albertazzi,
ma il cuore di Da D'Annunzio a Pirandello
è che scrivendo ciò che pensa
dei vari scrittori dell'epoca Puccini chiarisce
anche la sua idea di letteratura, che è
basata sul concetto dell'utilità,
non in senso pratico, ma in senso etico, di
alta moralità. Dice Puccini: L'arte
per l'arte, l'arte per puro spasso, il giuoco
frivolo della parola e della virgola non ci
invitano. Teniamo bensì alla parola ed
alla virgola: che siano al loro posto, proprie
ed armoniche; ma, sotto la parola, noi
cercheremo sempre di non far sentire il vuoto.
Questo concetto dell'esser utili
viene chiarito in tre caratteristiche, che sono
la chiarezza, l'ordine, l'economia. Per giungere
ad applicare queste proprietà in un testo
letterario, è tuttavia necessario conoscere
profondamente il proprio mondo e chiarirsene
il significato.
Ed allo scopo, Puccini riprende le parole che
Foscolo riferiva agli imitatori di Boccaccio:
affettati, freddi, più curiosi
delle parole che dei pensieri, più del
ritmo che della passione, applicandole
agli scrittori suoi contemporanei, in particolare
a D'Annunzio. Questo calligrafismo ed artificiosità
si oppone agli scopi della letteratura, come
egli li percepisce. Certamente, servono dei
sostegni per raggiungere la condizione di utilità
al lettore, nel senso alto in cui Puccini li
concepisce. Questi sono i suoi due pilastri:
Manzoni, come scrittore che, unico romanziere
in Italia, ha raggiunto la piena serenità
artistica, morale e religiosa, e il cui più
degno seguace è, secondo Puccini, Giovanni
Verga, e la fede.
Quest'ultima è intesa come fede nell'aldilà,
non necessariamente cattolica, infatti sentiamo
che non tutto è accettabile delle dottrine
della chiesa; ma il bisogno di sfuggire a un
mondo viziato quale ci ha lasciato l'immediato
dopoguerra ci costringe d'altronde e assolutamente,
ad una disciplina spirituale: per salvare ad
ogni costo la nostra fiducia ed ottimismo.
E con l'appoggio della dottrina di Cristo, che
permette di sentire Dio internamente noi
potremo davvero giungere ad elevarci sulle contingenze
e minutaglie, che oggi traboccano da tutti i
libri ed esprimere forse un giorno in un'epica
nuova la turbinosa tragedia del nostro tempo.
(Carlo
Santulli e Marco
R. Capelli)
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01/01/2009